IL CORTO CIRCUITO ELETTRICO
Gli incendi di apparecchiature elettriche sono spesso provocati dal corto circuito. La conoscenza dei fenomeni che ne sono alla base per prevenire gli effetti dannosi.
Prof. Ing. Umberto Ratti Professore Ordinario di Elettrotecnica presso la Facoltà d’Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma
Le esplosioni e gli incendi di apparecchiature elettriche sono incidenti provocati da guasti di ti po evolutivo, spesso prevedibili, che non possono escludersi to talmente nemmeno nel caso di applicazione integrale delle at tuali norme.
L’intento di ridurre la pesante incidenza di incendi ed esplosio ni provocati da corti circuiti può essere ragionevolmente perse guito mediante una migliore co noscenza dei fenomeni in gioco nelle apparecchiature elettriche:
è il caso di due fenomeni mate rialmente separati l’uno dall’altro, l’energia transitoria passante e la memoria dinamica, della cui combinata azione è bene essere consci per prevenire incaute operazioni ”alla cieca“, come può accadere, ad esempio, in occa sione di scavi ovvero di richiusu re di linee elettriche.
Introduzione
Lo scopo di questo articolo è di fornire un contributo alla riduzione degli incendi ed esplosioni causati da corti circuiti elettrici, mediante una migliore conoscenza dei fenomeni elettrotecnici (ed in particolare l’energia transitoria passante e la memoria dinamica delle apparecchiature elettriche) associati al corto circuito, al qua-
le, come ben noto, sono riconducibili molti effetti calamitosi.
Lo spunto è stato fornito da un incendio di grandi proporzioni verificatosi concretamente in Italia presso una cabina primaria di distribuzione, con danni alle cose per vari miliardi di lire, in uno scenario niente affatto originale: in un normale giorno lavorativo una ruspa addetta a lavori stradali di manutenzione trancia un cavo elettrico MT sotterraneo in esercizio, causando un corto circuito franco.
Ciò che invece è alquanto originale (nel quadro dei numerosi cavi elettrici ”ruspati“ quotidianamente) è che la fornitura di energia elettrica si è interrotta (black out), in quanto, pur essendo installate tutte le protezioni prescritte, numerose importanti apparecchiature elettriche in cabina sono rimaste danneggiate dall’energia elettrica passante, perché era divampato un rogo protrattosi per molte ore, nonostante gli interventi di numerose squadre dei Vigili del fuoco.
Il caso preso in esame costituisce un insegnamento valido non solo per impianti elettrici di considerevole potenza ed estensione, ma anche per quelli di minore consistenza e perfino per quelli domestici.
Si tratta di un caso emblematico che, benché insolito nelle
conclusioni, ma non nelle cause iniziali, deve insegnare quali sono tutte le conseguenze, anche quelle rilevabili non immediatamente, dell’energia transitoria passante, e quindi può essere utile:
sia a prevenire ogni possibile causa di corto circuito, abbandonando l’errata convinzione che
”tanto ci sono le protezioni“ che, con il loro intervento, garantiscono sempre e totalmente da ogni conseguenza negativa;
sia a sensibilizzare sul fatto gravissimo che anche i corti circuiti che si concludono, per l’intervento delle protezioni senza incendi ed esplosioni immediate, sono essi stessi suscettibili di recare danni che, pur non essendo immediatamente e direttamente accertabili, tuttavia sono in grado di provocare un’accelerazione nella riduzione della vita utile delle apparecchiature elettriche e quindi, in definitiva, anche una loro possibile futura esplosione e incendio.
Ciò significa che ancora oggi occorre affrontare i fenomeni connessi al corto circuito non in maniera scontata, ma avvalendosi di ogni aggiornata risorsa fornita dalla dottrina e con ogni utile approfondimento tecnico.
Il corto circuito elettrico
Fin dai primordi delle applicazioni industriali, l’elettrotecnica si è occupata delle conseguenze del cosiddetto corto circuito franco di impedenza nulla, in breve il temutissimo ”corto circuito“, vale a dire quella condizione di funzionamento in cui la tensione crolla localmente a zero, a partire dal valore di normale esercizio, e la corrente assume valori abnormi.
Come è noto, viene detta corrente di corto circuito quella circolante nelle omonime condizioni, distinguibile nelle due componenti a regime permanente e in regime transitorio.
L’ampiezza della corrente di corto circuito permanente, variabile in funzione dell’istante in cui viene considerata e dell’istante di cortocircuitazione, dipende da numerosi fattori, come nel caso di linea elettrica collegata ad una rete di media tensione di grande potenza attraverso un trasformatore, la lunghezza e potenza della linea, la potenza del nodo di alimentazione, ecc.
In condizioni particolarmente
”sfavorevoli“ di linea corta, di piccola potenza e alimentata da un nodo di grande potenza, la corrente di corto circuito permanente può risultare anche oltre 100 volte superiore a quella di carico normale.
Di fatto si ha che la tensione di alimentazione della linea in corto circuito non viene mantenuta indefinitamente, proprio perché si ha l’intervento delle protezioni.
Anche la componente transitoria della corrente di corto circuito
dipende, tra l’altro, dall’istante di cortocicuitazione, e la situazione più gravosa è quella in cui tale istante coincide con quello di tensione nulla: si tratta del noto
”effetto di raddoppio“, cosiddetto in quanto si raddoppia il valore della corrente.
Poiché l’elettrodinamica insegna che gli sforzi meccanici provocati dal passaggio della corrente sono proporzionali al quadrato del valore della corrente stessa, è facile calcolare che tali sforzi, nel caso sfavorevole di
”effetto di raddoppio“, possono arrivare ad essere (Stigant & Franklin, Transformer Book, pag.
536) circa 1600 volte superiori a quelli nelle normali condizioni di funzionamento.
Ciò ha portato da tempo gli ingegneri elettromeccanici a concludere che il fenomeno maggiormente temibile per il trasformatore in caso di corto circuito di linea è proprio quello degli enormi sforzi meccanici radiali e assiali ai quali devono fare fronte le strutture elettriche e meccaniche del trasformatore stesso, e nonostante le innumerevoli soluzioni progettuali attuate, restano anco ra da registrare taluni casi di distruzione di trasformatori da sfor zi meccanici.
Si deve qui sottolineare che, in generale, le apparecchiature elettriche offrono una capacità di resistenza ad un guasto singolo che è di gran lunga superiore a quella offerta ad una serie o ”treni“ di guasti: il progressivo indebolimento che si presenta nella apparecchiatura fa sì che di due guasti uguali, quello che avviene per secondo causa un danno maggiore del primo (non distrutti-
vo), e ciò viene normalmente attribuito alla ”memoria dinamica“ della apparecchiatura elettrica (la letteratura tecnica anglosassone stabilisce che tali macchine non sono ”memory-less“).
Ciò ha anche portato come diretta conseguenza ad estendere, molto opportunamente, il semplice concetto di ”resistenza meccanica al corto circuito“ a quello più complesso (oggetto di recenti ricerche) di ”durata della vita tecnica“, in particolare sotto corto circuito.
La moderna tecnica, introdotto in generale il concetto della ”durata della vita utile“ (working life), o semplicemente ”vita“ delle apparecchiature in genere, ha formulato teorie, leggi (per esempio la legge della potenza inversa
”inverse power law“), equazioni fondamentali dell’invecchiamento e modelli (per esempio, il modello di Eyring), essenzialmente stabilendo che la vita delle apparecchiature elettriche dipende fortemente dalla vita del suo isolamento. Questa dipende fortemente dal tipo e ampiezza delle tensioni e temperature a cui è sottoposto, le cause dell’invecchiamento, che a loro volta sono molteplici e di varia natura, dipendendo sia da guasti, sia da normali operazioni di manovra (inclusi anche i cicli di sovraccarico affrontati).
In conclusione sul punto, le numerose variabili in gioco (istante di cortocircuitazione, impedenza di corto circuito, numero delle fasi/terra cortocircuitate, potenza in gioco, condizioni del sistema elettrico, ecc.) comportano che ogni corto circuito è diverso dall’altro: anche a parità di sistema elettrico linea protezioni apparecchiatura si possono avere diverse correnti di corto circuito, e quindi conseguentemente si hanno sempre eventi dannosi, ma di diversa entità.
Ciò spiega convincentemente perché, in concomitanza ad esempio di tranciamento di cavi ovvero manovre di richiusura, non si ha sempre la stessa conseguenza dell’evento dannoso, potendo talvolta l’intervento delle protezioni spesso contenerla a danni non immediatamente rilevabili a vista, ma potendosi anche avere in taluni casi, nonostante il loro intervento, conseguenze catastrofiche.
L’onda di corrente di corto circuito
E’ ben noto che i fenomeni elettrici nel vuoto si ”propagano“ alla velocità del suono di
300.000 Km/sec. Meno noto è che:
tale velocità non può essere superata dalle correnti elettriche nei conduttori: in questi ultimi, con riferimento al caso qui in esame di un cavo, la rispettiva velocità di propagazione è dell’ordine di circa 150.000
Km/sec;
che al crearsi di una situazione di corto circuito, due onde migranti di tensione e corrente iniziano la loro propagazione lungo il conduttore (linea aerea o cavo), e ad esse è associata una consistente energia viaggiante (travelling);
che tale energia è solo in piccola parte dissipata lungo il percorso, sicché può produrre danni considerevoli alle apparecchiature elettriche investite, che quindi da un lato sono già in fase di progetto sovradimensionate per fare fronte alle sollecitazioni massime prevedibili, dall’altro in fase di installazione sono protette da protezioni ”ad hoc“.
La teoria delle onde viaggianti ha completamente spiegato, con i fondamentali contributi di R. Rudenberg e C.P. Steinmetz la complessa fenomenologia che si verifica per il caso delle onde di tensione/correnti migranti, che riescono a raggiungere e quindi
”colpiscono“ l’apparecchiatura in testa linea (ad esempio, gli avvolgimenti di trasformatori di linea). In sintesi:
le onde incidenti, attenuate e distorte nel percorrere il tratto tra la loro origine e il trasformatore, giunte al punto di entrata del trasformatore penetrano all’interno solo per la parte relativa alle frequenze inferiori alla cosiddetta
”frequenza critica“ degli avvolgimenti trifase dell’avvolgimento (che viene quindi da loro percorso ad una velocità di circa 160 metri al microsecondo), mentre la parte a frequenze ipercritiche viene riflessa sulla linea: di qui la riscontrata e tipica fenomenologia delle oscillazioni che causa frequenti sovratensioni;
le onde di corrente e tensione impulsive (”step impulse“) che penetrano all’interno dell’avvolgimento, anche se in parte limitate dagli effetti magnetici, sono mol-
to pericolose per le spire d’ingresso, e come già espresso in precedenza per fare fronte a queste sollecitazioni è buona norma, come prima protezione di tipo cosiddetto ”passivo“, rinforzare le prime spire d’avvolgimento del 10% circa;
le onde di corrente e tensione impulsive a treni (”periodic impul se trains“) penetrano facilmente e con modesta attenuazione all’interno dell’avvolgimento, e se l’isolamento delle spire intermedie a mezza lunghezza d’onda del treno periodico è al di sotto della rigidità dielettrica (qui si dovrebbe porre la distinzione tra rigidità a breve ovvero lungo termine), si può avere il cedimento dell’isolamento con formazione d’arco.
Spesso si verifica che tale arco non è sostenuto dalla tensione nominale, e tutto si risolve con una ”offesa“ al trasformatore.
Questa apparentemente non ne pregiudica l’immediato funzionamento, ma in realtà ha degradato l’isolamento e accelerato l’invecchiamento, vale a dire che ha predisposto una maggiore vulnerabilità agli shock successivi. In buona sostanza, si deve qui ritenere che l’energia passante relativa alle correnti di corto circuito produce tre effetti dannosi:
a) effetto termico, con l’aumen to progressivo della temperatura del rame e dei materiali isolanti circostanti, con conseguente possibile fusione del rame, formazione di gas e carbonizzazione degli isolanti organici se non si provvede ad interrompere entro brevissimo tempo tali sovracorrenti, alle quali sono legate in parte sia le ”micro-scariche“ o
”scariche parziali“, sia in parte la cosiddetta ”energia d’arco“, se e quando l’arco elettrico si manifesta;
b) effetto meccanico, con ingenti ed istantanei sforzi elettrodinamici, soprattutto nel primo semiperiodo del fenomeno (cioè, a 50 Hz, nei primi millesimi di secondo), vale a dire prima del possibile intervento delle protezioni: per fronteggiare tali inevitabili sforzi è buona norma sovradimensionare tutte le parti dell’impianto elettrico dal punto di vista meccanico, in modo da sopportare con minimo danno gli sforzi meccanici prevedibili nelle peggiori condizioni di anomalo funzionamento;
c) effetto di sovraccarico di linee/apparecchiature non direttamente colpite dal guasto, se non si attua il coordinamento della selettività delle protezioni, con conseguente allargamento progressivo delle utenze non servite (trattasi, nel caso estremo, del raro e ben noto fenomeno del black out delle reti elettriche).
Ai primi due effetti sono da ascrivere le conseguenze dannose che, immediatamente ovvero cumulandosi nel tempo per la predetta ”memoria dinamica“, causano eventi calamitosi, suscettibili di diversa evoluzione in dipendenza della combustibilità delle sostanze interessate.
Coerentemente, per i trasformatori elettrici di potenza le Nor-
me IEC 76-5 del Comitato Elettrotecnico Internazionale distinguono espressamente (Parte 5: Abilità a sostenere corti circuiti) le sollecitazioni termiche, dalle sollecitazioni dinamiche.
Le protezioni
di linea e di macchina
Un problema tipico dell’esercizio delle reti elettriche di distribuzione MT è quello della eliminazione dei guasti permanenti su linee radiali ramificate, e quindi della relativa ricerca del guasto, in particolare in condizioni sotto guasto persistente.
Contro i due guasti più comunemente registrati sulle linee MT, due sono le protezioni impiegate:
relè di massima corrente bipolare a tempo indipendente, con due soglie d’intervento, contro le sovracorrenti di linea;
relè direzionali di terra a sensibilità varmetrica, contro le sovratensioni che si stabiliscono nei sistemi a neutro isolato in caso di guasto tra una fase e terra, e conseguente grave squilibrio nelle tensioni verso terra.
Per inquadrare il problema delle protezioni nel tema qui considerato, occorre dire che l’eliminazione del guasto presenta diversi aspetti, in quanto deve essere:
la più rapida possibile, per contenere al minimo il disagio degli utenti e il mancato collocamento d’energia da fatturare, così è stato introdotto il parametro
del tempo medio tra guasti MTBF anche a questo scopo, nella più vasta problematica della qualità del servizio di fornitura elettrica;
la più precisa possibile, come individuazione topologica per contenere l’impegno delle squadre d’intervento;
la più avanzata tecnicamente per ridurre il numero delle manovre e l’accelerato logorio degli apparecchi di manovra e degli impianti elettrici;
e ultima, ma prima per importanza, la più sicura sia per gli utenti che per le apparecchiature.
Criteri economici di gestione e affidabilità degli impianti, in termini di qualità dell’energia venduta, determinano in pratica il compromesso tra i diversi requisiti anche per quanto riguarda la scelta di quello che viene detto il
”sistema di telecontrollo e di teleoperazione“.
Essenzialmente, i requisiti in questione sono:
l’affidabilità, intesa come attitudine ad intervenire in tutti i casi in cui la grandezza controllata della protezione raggiunge i limiti di taratura;
la selettività, che nelle rete radiali è l’attitudine del sistema a mettere fuori servizio soltanto il componente in avaria dell’impianto: la selettività è detta ”totale“ se il guasto verificatosi in un punto della linea è eliminato dal solo dispositivo di protezione posto immediatamente a monte del guasto, così realizzando la salvaguardia della continuità del servizio per la restante parte dell’impianto;
la rapidità d’intervento, come capacità di eliminare l’anomalia nel più breve tempo possibile, allo scopo di contenere al minimo i danni, senza pregiudicare la selettività della protezione.
La rapidità d’intervento di apertura del circuito in avaria, anche quella ottenibile con più moderni interruttori automatici detti talvolta ”a scatto istantaneo“, non può mai essere istantanea:
il tempo di selettività che intercorre tra il verificarsi del guasto e la effettiva apertura del circuito è la somma del tempo di transito dell’onda di corrente dal punto di guasto al punto di installazione della protezione, dei ”tempi propri“ di funzionamento dell’interruttore vero e proprio e dei relé ausiliari, del tempo di taratura della protezione, e dal tempo ”c“ coefficiente di sicurezza fissato dal costruttore per tenere conto delle varie precisioni degli organi interessati e di eventuali alterazioni per vetustà.
la sensibilità a rilevare anche piccole variazioni della grandezza controllata;
la semplicità, la robustezza e costi moderati.
I due requisiti fondamentali delle protezioni ampermetriche (per le sovracorrenti) sono la sensibilità (attitudine a interveni-
re quando la grandezza da controllare supera il valore di taratura di soglia) e il tempo di intervento (istantaneamente o con ritardo).
Più precisamente, gli interruttori automatici di massima corrente, fondamentali per la protezione dei circuiti elettrici contro le sovracorrenti, proprio per evitare gli scatti intempestivi, non sono del tipo ”a tempo di funzionamento Istantaneo“, ma ”Ritardati“ (o a tempo costante indipendente dalla grandezza da controllare; ovvero a tempo dipendente dalla grandezza da controllare, con ritardi regolabili, tanto più piccoli quanto maggiore è il valore della corrente), così:
Nei tempi propri di intervento delle protezioni (di linea e di macchina) a tempo di funzionamento istantaneo (e quindi a maggior ragione anche in quelli a tempo di intervento ritardato) si ha che il circuito ”protetto“ non è protetto, ma è attraversato dalla piena corrente di guasto.
Orbene, nei tempi d’intervento
(che come minimo sono quelli
”propri“, mai nulli) si sviluppa una quantità di energia meccanica e di energia termica, che sono quelle ”lasciate passare“ dal dispositivo di protezione, che sollecitano termicamente e meccanicamente le parti dell’impianto da proteggere: come ben noto, a tale energia è stato dato appropriatamente il nome di ”energia passante“ (ovvero ”energia specifica passante“, se espressa per unità di resistenza), e viene semplicemente indicata di norma con ”i quadrato per t“ ovvero ”Ampère quadrato per secondo“, dal termine sottostante il noto integrale
di Joule.
Se, con licenza, si volesse usare un linguaggio da divulgazione scientifica, si potrebbe ben dire che una protezione a relé non deve essere considerata come ”un ombrello sempre aperto“, ma come un ”ombrello che necessita di un tempo minimo di apertura“, durante il quale la funzione protettiva non si esplica.
E’ quindi un errore fondamentale ritenere che una protezione funzionante lasci sempre (e per di più totalmente) integra l’apparecchiatura ”protetta“, questa risultando nel caso migliore solo parzialmente protetta, avendo cioè solo limitato il danno.
Per di più, anche nel caso di intervento della protezione apparentemente senza danno, si deve ricordare che in realtà l’apparecchiatura, a causa della predetta ”energia specifica passante“, ha subito una qualche offesa, che sommandosi alle precedenti, accorcia la vita utile dell’apparecchiatura stessa, secondo il concetto precedentemente ricordato della ”memoria dinamica“ della macchina: in ciò consiste la combinazione dei due concetti autonomi di energia passante e memoria che, combinandosi, danno luogo al concetto cu mulativo di ”offese memorizzate“ cioè offese prodotte dall’energia passante e memorizzate per effetto memoria che funge da totalizzatore delle offese.
Sicché, la didattica elettrotecnica si sforza ad ogni livello di addestrare gli operatori anche non elettrotecnici a tenere sempre conto dell’”energia specifica passante“ e quindi a non sollecitare le ”protezioni“ e i sistemi protetti con tentativi di prove che potrebbero essere razionalmente evitati, per non accorciare inutilmente la durata della vita tecnica delle apparecchiature, nel miglio re dei casi.
Del pari, non può essere semplicemente imputabile a ”sfortuna“ l’avere provocato un corto circuito che, con minima diligenza e responsabilità (come ad esempio una semplice ricognizione delle mappe catastali disponibili o qualche semplice misura) sarebbe stato evitabile, nella convinzione che tutt’al più la corrente di un accidentale corto circuito avrebbe potuto provocare un semplice scatto di un interruttore e nessun danno alle macchine elettriche a monte perché tutte nuovissime e ”a protezione integrale“ !
Ogni corto circuito è diverso dall’altro, come l’ampia disamina precedentemente volta ha evidenziato, e anche le ripercussione dello stesso corto circuito è diversa da macchina a macchina colpita: il corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza non è quindi una costante, e tantomeno una costante a garanzia di copertura assoluta da ogni rischio di danno, stante la ”energia specifica passante“.
Per quanto riguarda le perturbazioni sulle linee elettriche, a seguito di accurati rilievi statistici è derivata la distinzione tra guasti transitori e semipermanenti (che si autoeliminano togliendo la tensione di alimentazione alla linea interessata per qualche decimo di secondo) e guasti permanenti (che si eliminano solo con l’intervento di squadre d’intervento sul posto del guasto).
Mentre sulle linee aeree i guasti più frequenti sono quelli transitori e semipermanenti (che si autoeliminano in quanto la disalimentazione consente la naturale deionizzazione dell’arco prodottosi localmente da fulminazioni atmosferiche, rami d’albero, colpi di frusta per caduta di manicotti di ghiaccio, ecc.), sulle linee in cavo la quasi totalità dei guasti è di tipo permanente.
La ricerca ed eliminazione rapida dei guasti richiede idonei protocolli di richiusura automatica e quindi i relativi dispositivi atti a pilotare prestabiliti cicli di richiusure automatiche dell’interruttore di linea, dopo che questo ha eseguito un primo scatto per l’intervento dei relé di protezione.
Proprio in considerazione delle diverse rilevazioni statistiche di guasto sulle linee aeree e in cavo, tali protocolli sono diversi nei due casi, e precisamente le linee MT in cavo non attuano richiusure automatiche.
Nel caso della distribuzione urbana, si notano tre circostanze di tipo prudenziale:
a) il dispositivo di richiusura automatica a corredo della protezione viene di norma escluso sistematicamente;
b) le procedure di richiusura sono di tipo manuale, non affidate quindi ad automatismi ma ad operatori istruiti alle diverse situazioni di guasto;
c) le predette procedure manuali per cavi hanno tempi di attuazione molto più lunghi di quelli per linee aeree. Infatti, per i cavi la prima richiusura rapida dell’in-
terruttore è di norma prevista dopo un minuto dalla prima apertura dell’interruttore di linea (contro il mezzo secondo circa generalmente usato per le linee aeree); mentre, sempre per i cavi, la seconda richiusura lenta dell’interruttore è prevista dopo tre minuti dalla seconda apertura dell’interruttore di linea (contro il mezzo minuto circa generalmente usato per le linee aeree).
Nonostante i criteri di maggiore prudenza sopra indicati per i cavi, resta che le due richiusure so no effettuate ”alla cieca“, in modo che la relativa energia passante si scarica su apparecchiature elettriche che potrebbero già essere prossime al collasso.
Sulla questione della affidabilità dei complessi di protezione, un indice rilevante è quello della cosiddetta ”sicurezza semplice (n-1)“, secondo cui, in caso di distacco di un qualsiasi elemento della rete (linea, trasformatore, sbarre), i restanti omologhi elementi debbono reintegrare quelli fuori uso, per evitare strozzature intollerabili al flusso energetico.
I dati statistici aggiornati forniti dagli esercenti europei hanno evidenziato un valore medio ritenuto buono, attestandosi su
10/1000 aperture intempestive e su 3/1000 aperture non effettuate o troppo temporizzate.
E’ noto che l’apertura intempestiva è meno gravida di conseguenze della non apertura per il rispetto del principio di sicurezza (n-1): tuttavia, in entrambi i casi si registra ancora energia passante, pregiudizievole per l’appa recchiatura elettrica.
Risulta di tutta evidenza che una protezione soddisfacente deve evitare i cosiddetti ”scatti intempestivi“, vale a dire quelli in corrispondenza di sovraccarichi che possono essere sopportati dalla apparecchiatura da proteggere perché contenuti entro limiti tollerabili di tempo e ampiezza della quantità da controllare.
Si deve qui anche ribadire il carattere particolarmente insidioso delle ”scariche parziali“, che non sono rilevate dai relé (p.e. quelli a gas) finché non si superano i valori convenzionali d’intervento.
Occorre considerare anzitutto che la questione che qui si pone è nota in elettrotecnica come
”scariche parziali“ ovvero ”microscariche“, che ricade nel capitolo del cosiddetto ”comportamento di conduttore in un mezzo dielettrico imperfetto“, ed è stata risolta nel senso che il conduttore di rame sotto ipotesi di imperfetta aderenza con il dielettrico (perché sottoposto alle azioni ponderomotrici delle correnti di corto circuito) dà luogo a linee di forza del vettore densità di corrente che penetrano nel dielettrico e rientrano nel conduttore in punti a potenziale inferiore a quello dei punti dai quali escono, dando luogo alle cosiddette correnti elettriche di dispersione, le quali dissipano potenza elettrica per effetto Joule nel dielettrico stesso, sopraelevandone la temperatura.
Ciò posto, occorre richiamare alcuni fondamenti della scarica elettrica , intendendo per ”scarica“ i fenomeni associati al passaggio della corrente elettrica in mezzi che in condizioni di normale esercizio sono isolanti.
L’elettrotecnica, che distingue tra ”scarica intrinseca“ che avvie ne per fenomeni d’instabilità elet tronica, e ”scarica termica“ dovuta a instabilità termica dovuta a insufficiente capacità del dielettrico di smaltire il calore, stabilisce che entrambe possono divenire
”scarica disruptiva“ in corrispondenza al passaggio (molto spesso distruttivo, da cui il termine) di corrente elettrica attraverso un mezzo isolante, causato da perdita di isolamento nello spazio (detto ”intervallo spinterometrico“) in cui avviene la scarica provocata da tensione superiore a quella massima ammissibile, riferita all’unità di lunghezza, che viene detta ”rigidità dielettrica“ e misurata in kV/cm.
La teoria dei dielettrici spiega la cosiddetta ”scarica termica“ in quanto all’aumentare del campo elettrico applicato ad un dielettrico, questo ha un progressivo aumento di temperatura che porta al suo cedimento, in conseguenza all’enorme aumento di portatori di carica per ionizzazione termica o per collisione con altri portatori accelerati dal campo applicato, vale a dire, nel caso di campi elettrici alternativi sinusoidali, per effetto dell’isteresi dielettrica dovuta al ritardo con cui la polarizzazione dipolare segue la variazione del campo.
Per le miscele liquido-gassose, la ”tensione di innesco“ della scarica disruptiva dipende da nu merosi fattori: dal tipo di miscela, dalla superficie e dalla distanza degli elettrodi, dalla forma dei volumi in gioco, dall’andamento nel tempo della differenza di potenziale applicata agli elettrodi, da costituzione, temperatura e pres-
sione della miscela , ed entro certi limiti, dalla corrente esistente prima del verificarsi della scarica.
Le scariche parziali sono così dette in quanto il loro percorso si sviluppa solamente su parte della distanza spinterometrica, potendosi esplicare sia in prossimità dei conduttori (scariche parziali Superficiali), sia all’interno del dielettrico (s.p. Interne), sia in corrente continua che alternata. In quest’ultimo caso il fenomeno delle scariche parziali acquista una importanza preminente nel fenomeno di scarica, in quanto, se sussistono le condizioni, basta che una scarica si manifesti perché ad essa ne seguano altre, il numero di scariche in un periodo via via aumenta (il campo esistente nel vacuolo essendo la somma del campo applicato e del campo inverso), esaltandosi più o meno rapidamente, portando alla rottura o cedimento finale (final breakdown).
Si deve anche qui precisare che i vacuoli possono esistere nel dielettrico fin dall’origine della costruzione del trasformatore per imperfezioni costruttive iniziali, ma più spesso si formano, e comunque si aggravano, con ”l’invecchiamento“ a causa delle sollecitazioni alle quali il dielettrico viene sottoposto durante l’esercizio, sia normale che anormale.
Si può facilmente concludere da quanto molto sinteticamente riassunto (non è questa la sede adatta per intrattenersi sulla legge di Paschen o sul meccanismo di breakdown di Townsend, né sulle cariche spaziali, ovvero la colonna positiva, gli spazi detti oscuri ma che totalmente oscuri
non sono di Crookes e di Faraday, sulla legge di Weibull generalizzata per la funzione di distribuzione della probabilità di guasto e così via) che è assai complesso lo studio delle scariche nella miscela in cui si possono trovare almeno in parte gli avvolgimenti di un trasformatore soggetto ad energia passante transitoria, e che esso richiede la conoscenza di elementi di non facile o addirittura impossibile determinazione per l’evento calamitoso.
Tuttavia, per esso si deve convenire che al verificarsi del progressivo aumento della corrente negli avvolgimenti in rame, si determina una deformazione degli stessi con conseguente discontinuità di isolamento all’interno delle spire dell’avvolgimento, sotto forma di vacuoli (ovvero di lame) pieni di miscela aeriforme, discontinuità che a sua volta ha prodotto proprio in corrispondenza di detta discontinuitàaddensamenti del gradiente di tensione del tutto nuovi rispetto alla situazione preesistente di normale funzionamento, nella quale l’insieme dielettrico, seppure a strati strutturalmente disomogenei e differenziati, teoricamente escludeva discontinuità o vacuoli, e praticamente, semmai vi fossero stati, consentiva l’esercizio.
Tali addensamenti di gradiente diventano pericolosi sia in regime permanente (in particolare sinusoidale), sia in regime transitorio: in ciò risiede il carattere particolarmente insidioso delle scariche parziali, che possono dare luogo a ”tempi di cova“ durante i quali non si avverte la sintomatologia del fenomeno in progres-
sione, finché non si perviene al cedimento finale.
La pericolosità deriva dal fatto, ben noto agli elettrotecnici, che a parità di spazio tra gli elettrodi e di tensione applicata, non è vero che due dielettrici sono meglio di uno: vero è invece che l’occupazione dello spazio interelettrodico di due dielettrici comporta che il gradiente di potenziale è maggiore nel mezzo avente costante dielettrica minore, vale a dire che aggrava le sollecitazioni sul dielettrico a minore costante dielettrica e diminuisce le sollecitazioni sul dielettrico a maggiore costan te dielettrica.
Nel caso del passaggio da esclusivo dielettrico (avente costante dielettrica relativa di qualche decina), a dielettrico in serie con miscela gassosa e con aria (con costante dielettrica relativa pari a circa l’unità il sottile strato (almeno inizialmente) di dielettrico misto a vapori è sottoposto ad un gradiente notevolmente superiore alla propria rigidità dielettrica (di circa 30 kV/cm), con i fenomeni distruttivi di perdita delle proprietà isolanti che ne conseguono.
L’esempio di scuola dell’accoppiamento di due condensatori piani in serie (a campo uniforme) con dielettrici carta impregnata e aria mostra, stante la rigidità dielettrica della carta variabile da
200 a 1200 kV/cm circa in funzione dell’essiccamento, degassazione, uniformità e compattezza), come fatto più probabile da attendersi il cedimento dell’aria e non della carta, per piccoli spessori di aria come i vacuoli per l’appunto.
Conclusioni
Con l’effetto totalizzante, combinazione dei concetti dell’energia transitoria passante e della memoria dinamica delle apparecchiature elettriche, si possono spiegare dalla genesi tutti i fenomeni causati da un corto circuito, e quindi è possibile prevenirne gli effetti calamitosi.
Con riferimento al caso generalizzato di corto circuito localizzato a distanza (e quindi non necessariamente all’interno) di apparecchiatura elettrica, si è stabi lito che:
a) ogni corto circuito è diverso dall’altro: non solo perché diverse possono essere le cause scatenanti, ma anche perché, a parità di sistema elettrico linea-protezioni-apparecchiatura, si possono avere diverse correnti di corto circuito, e quindi conseguenze diverse.
b) nei tempi propri di intervento delle protezioni a tempo di funzionamento istantaneo (e quindi a maggior ragione anche in quelli a tempo di intervento ritardato) si ha che il circuito che si ritiene
”protetto“ in realtà non è protetto, ma è attraversato dalla piena corrente di guasto.
Orbene, nei tempi d’intervento
(che come minimo sono quelli
”propri“ mai nulli) si sviluppa una quantità di energia meccanica e di energia termica, che sono quelle ”lasciate passare“ dal dispositivo di protezione, che sollecitano termicamente e meccanicamente le parti dell’impianto da proteggere: a tale energia è stato dato appropriatamente, come già detto, il nome di ”energia passante“.
E’ quindi un errore fondamentale ritenere che una protezione funzionante lasci sempre (e per di più totalmente) integra l’apparecchiatura ”protetta“, questa risultando nel caso migliore solo parzialmente protetta, avendo cioè solo limitato il danno.
3) Per di più, anche nel caso di intervento della protezione apparentemente senza danno, si deve ricordare che in realtà l’apparecchiatura a causa della predetta ”energia passante“ ha subito una qualche ”offesa“, diversa di volta in volta secondo i meccanismi delle scariche parziali, dei tempi di cova e dell’arco sopra richiamati.
4) Ogni ”offesa“, sommandosi alle precedenti secondo il concetto totalizzatore della ”memoria dinamica“ dell’apparecchiatura, contribuisce ad accorciare la vita utile dell’apparecchiatura stessa, e quindi risulta tanto più pericolo sa e anticipatrice del collasso dell’apparecchiatura, quanto maggiore è l’entità delle ”offese memorizzate“ dall’apparecchiatura stessa.