Le vigenti disposizioni legislative in materia di protezione della popolazione, in caso di incidenti con presenza di sostanze radioattive, affidano al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ( C . N . V V. F.) responsabilità e compiti indicati in forma del tutto generale. Infatti, la legge 13 maggio 1961, n. 469, all’articolo 1 attribuisce al Ministero dell’Interno, tra l’altro, “… i servizi tecnici per la tutela della incolumità delle persone e la preservazio – ne dei beni anche dai pericoli derivanti dall’impiego dell’ener – gia nucleare”. Questa attribuzione comporta, poiché non delimita in modo esplicito il campo di competenza, la presenza dei Vigili del Fuoco in tutti quei casi in cui si presenti pericolo, per la salute dei cittadini o per la sicurezza dei loro beni, a seguito della presenza di sostanze radioattive nell’ambiente. Per soddisfare questa necessità, i Vigili del Fuoco sono organizzati nel territorio nazionale con strutture capaci di operare sia a livello centrale che p e r i f e r i c o . L’intervento dei Vigili del Fuoco può, quindi, andare dalla semplice ricerca di una sostanza radioattiva smarrita, alla protezione della popolazione in caso di incidenti che comportano delle ricadute radioattive dovute ad esplosioni nucleari, connesse con eventi bellici o con incidenti dovuti all’impiego pacifico dell’energia nucleare in impianti di ricerca e/o di produzione dell’energia elettrica. Inoltre non viene suff i c i e n t emente chiarito, né quali siano i compiti precisi, né la portata dell’intervento; infatti, non raramente, si sono verificate situazioni nelle quali l’intervento dei Vigili del Fuoco non si è limitato solamente al primo soccorso, ma si è dovuto prolungare fino al completamento dell’opera di protezione. Tale situazione non è cambiata anche dopo la recente emanazione del Decreto Legislativo 17/03/95 n. 230 “Attuazione delle direttive Euratom 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641, e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti”, che ha abrogato le disposizioni contenute nel D.P. R . 185/64, in quanto sono rimaste sostanzialmente invariate le disposizioni riguardanti il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e che adesso sono principalmente contenute nei capi V, VI e X del D.L.vo 230/95. La peculiarità del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco risiede nella presenza capillare e continuativa in tutto il territorio nazionale di personale, opportunamente addestrato e fornito di adeguata strumentazione, che consente di definire la situazione radiologica ambientale conseguente ad un qualsiasi incidente che comporti la presenza di radiazioni ionizzanti nell’ambiente. Prima di iniziare a trattare l’argomento degli interventi in presenza di sostanze radioattive, si danno alcune brevi notizie sulle grandezze radiometriche di maggiore interesse. Principali grandezze radiometriche Esposizione Le radiazioni nucleari, essendo dotate di energia, producono nell’attraversare un mezzo qualsiasi (acqua, aria, terra, piombo, etc.), ionizzazione al suo interno. Ovviamente, se è alto il numero di atomi ionizzati nel materiale significa che la radiazione ha elevata intensità e sarà capace di provocare un danno maggiore alla materia attraversata. L’esposizione è appunto una grandezza correlata alla capacità che la radiazione di generare coppie di ioni in aria. In passato, si diceva che vi era una esposizione di 1 R (Roentgen) quando una radiazione eletANTINCENDIO novembre 1996 13 GLI INTERVENTI DEI VIGILI DEL FUOCO IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOAT T I V E L’importanza delle misure da adottare in caso di incidente e di incendio in relazione ai tipi di materiali radioattivi coinvolti. Dott. Ing. Antonio La Malfa tromagnetica X o g era capace di produrre in un centimetro cubo di aria circa 2.080.000.000 coppie di ioni. La nuova unità di misura dell’esposizione è il C/Kg. Si ha: 1 C/Kg = 3876 R Un’altra grandezza collegata all’esposizione è l’intensità I di esposizione; essa si esprime in C/Kg · h (R/h) ed è l’esposizione rapportata al tempo. Nel caso di una sorgente puntiforme, è possibile valutare l’intensità di esposizione I che si ha nell’ambiente a distanza d da una sostanza radioattiva avente attività A. Si ottiene: K · A I = (R/h); d 2 dove, se l’attività è espressa in Ci, la distanza in m, la costante specifica gamma K (caratteristica di ogni radioisotopo) è espressa in R · m2 / h · Ci, l’intensità di esposizione sarà valutata in R/h. Dose assorbita La dose assorbita (D) è il quoziente di dE diviso per dm, in cui dE è l’energia media ceduta dalle radiazioni ionizzanti alla materia in un elemento volumetrico e dm la massa di materia contenuta in tale elemento volumetrico. Essa descrive il danno che le radiazioni provocano alla materia nell’attraversarla; tale danno dipende, oltre che dalla natura ed energia della radiazione, anche dal tipo di sostanza attraversata. La dose assorbita si misura in Gray (1 Gy = 1 J/Kg). La vecchia unità di misura della dose assorbita è il rad. Si ha: 1 Gy = 100 rad. Equivalente di dose L’equivalente di dose (H) è una grandezza radioprotezionistica ottenuta moltiplicando la dose assorbita (D) per il fattore di qualità Q. Nel caso di esposizione non omogenea, o di una parte dell’organismo di uno o più organi, si utilizza l’equivalente di dose effi – cace che è la somma degli equivalenti di dose medi nei diversi organi o tessuti, opportunamente ponderati. L’equivalente di dose si riferisce all’esposizione omogenea del corpo intero (esposizione globale). In radioprotezione viene impiegata anche la dose impegnata, che è quella ricevuta da un organo o da un tessuto in un determinato periodo di tempo, di regola cinquant’anni per i lavoratori, in seguito all’introduzione di uno o più radionuclidi. L’equivalente di dose è utilizzato per valutare il danno che le radiazioni provocano all’organismo umano. Infatti, è stato notato che, a parità di dose assorbita, si producono nel corpo umano effetti biologici diversi al variare del tipo di radiazione assorbita. Per tenere conto di ciò si è modificata la dose, moltiplicandola per opportuni coefficienti correttivi, ottenendo una nuova grandezza chiamata equivalente di dose che si misura in Sievert. La vecchia unità di misura dell’equivalente di dose è il rem. Si ha: 1 Sv = 100 rem. Si fanno adesso delle precisazioni riguardanti le suddette grandezze per una migliore comprensione del loro significato e dei cenni sulla protezione dalle radiazioni ionizzanti. Al riguardo, si immagini una situazione, come quella indicata nella figura 1, in cui vi sia una sorgente radioattiva ed una persona che si trova ad una determinata distanza da essa. Potremo, idealmente, dividere l’ambiente in tre zone: nella prima zona dove c’è solamente la sorgente radioattiva, nella seconda il mezzo che divide la sorgente dalla persona e nella terza la persona. L’effetto che le radiazioni provocano sull’aria è misurato, come già detto, per mezzo di grandezze come l’esposizione o l’intensità di esposizione. Quindi l’esposizione è una grandezza che fa capire qual è l’effetto della radioattività sull’ambiente; si è scelta l’aria come mezzo di riferimento perché essa è sempre presente. E’ opportuno notare che può parlarsi di esposizione solo per le radiazioni elettromagnetiche (X e g). Quindi, in presenza di particelle a e b, non si riferiranno i risultati di misura C / K g×h (R/h) ma genericamente in impulsi al secondo (imp/sec) oppure in Gy/h. II danno che le radiazioni provocano sulle cose viene valutato in Gray (rad) per tutte le sostanze (legno, mattoni, aria, ferro), ANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 14 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE ed in Sievert (rem) per il corpo umano. Si ricorda che le sonde in dotazione al C.N.VV.F. misurano, se opportunamente tarate, l’intensità di esposizione. Si precisa, comunque, che il valore letto dagli strumenti (R/h) coincide numericamente con quello dei Sv/h (il valore dell’intensità dell’equivalente di dose è q
uello che più interessa, in quanto da tale valore dipende l’entità del danno causato dalle radiazioni all’organismo), poiché è pari circa ad uno il valore del prodotto dei coefficienti correttivi per cui bisogna moltiplicare l’esposizione per ottenere il valore dell’equivalente di dose (prodotto del fattore di qualità Q unitario per i raggi gamma e del coeff iciente, pari a circa 0,96, che consente di passare dal valore dell’esposizione a quello della dose). (Fig. 1) Esposizione esterna ed interna L’esposizione esterna è prodotta da sorgenti radioattive che si trovano all’esterno del corpo umano; ad esempio, un uomo si trova in strada ad una determinata distanza da una sorgente radioattiva solida. L’esposizione interna si ha, invece, quando la sostanza radioattiva penetra all’interno del corpo per ingestione, per inalazione o perché si è depositata sulla pelle (ad esempio quando un liquido radioattivo cade addosso ad una persona). Il danno che subisce l’organismo è diverso nei due casi; infatti una sorgente radioattiva che si trova all’interno del corpo provoca più danno di una che è all’esterno. La combinazione dell’esposizione esterna e dell’esposizione interna da luogo all’Esposizione totale. Per proteggersi dalle radiazioni (visto che esse non sono percepibili dai nostri sensi) bisogna tenere presente che: a) nel caso di esposizione esterna le uniche radiazioni pericolose sono quelle gamma; infatti, se si è solamente in presenza di particelle a e b, per proteggersi basta mettersi ad alcuni metri dalla sorgente radioattiva; inoltre, gli indumenti indossati sono già sufficienti a proteggere l’operatore; b) nel caso di esposizione interna, essendo tutti i tipi di radiazione pericolosi, bisogna evitare contatti di qualsiasi genere con i contaminanti radioattivi e proteggere bene tutte le parti del corpo, mediante idonee tute anticontaminazione, e le vie respiratorie. L’equivalente di dose assorbita dal personale di intervento dipende dal tempo di esposizione e, specie nel caso dell’esposizione esterna, dalla distanza dalla sorgente radioattiva. L’elemento più importante per definire, in aggiunta al tipo di radiazione emessa ed alla relativa energia, la pericolosità per esposizione interna di un radionuclide, è il processo metabolico che esso subisce nell’organismo, per il quale può essere fissato in qualche organo (organo critico) e permanervi per tempi anche l u n g h i . Se un radionuclide non viene trattenuto dall’organismo e la sua azione dura soltanto il tempo di esposizione (es. gas nobili) generalmente esso presenta un serio pericolo solo per valori di concentrazione molto elevata. In caso contrario ha importanza la permanenza del radionuclide nell’organo critico. ANTINCENDIO novembre 1996 15 g Fig. 1 Aria Sv (rem) Gy (rad) C/Kg (R) Bq (Ci) S Tale tempo dipende dal tempo di dimezzamento effettivo del radioisotopo nel corpo umano; esso è la combinazione del tempo di dimezzamento fisico e di quello biologico (tiene conto della capacità di smaltimento dell’organismo). Altri fattori inerenti la valutazione del rischio per esposizione interna sono lo stato di aggregazione del radionuclide, la solubilità, la tensione del vapore nel caso di liquidi, la diffusione negli aeriformi; essi determinano le eventuali concentrazioni in aria e ovviamente il tempo di permanenza nella zona contaminata. Si ricorda che, il materiale plastico con cui generalmente sono realizzate le tute anticontaminazione è in grado di schermare le particelle alfa e in buona parte anche quelle beta, ma è ineff i c a c e nei confronti delle radiazioni gamma. Pertanto, la tuta anticontaminazione protegge unicamente l’operatore dall’esposizione interna e scarsamente da quella esterna, specialmente quando si è in presenza di radiazioni gamma. Le sostanze radioattive presenti in commercio Le sostanze radioattive possono presentarsi in diverse forme a seconda della loro utilizzazione. Esse possono essere suddivise in due grandi categorie al fine di evidenziare i rischi connessi: – i radioisotopi, presenti sotto forma di “sorgenti” utilizzabili nell’industria, nei laboratori di ricerca, negli ospedali ecc.; – i materiali radioattivi che si originano negli impianti nucleari. Le sorgenti radioattive possono trovarsi sotto forma di “ so rgenti sigillate” o di “sorgenti non s i g i l l a t e ” . Le sorgenti sigillate vengono definite come: “Sorgenti formate da materie radioattive solidamente incorporate in materie solide e di fatto inattive, o sigillate in un involucro inattivo che presenti una resistenza suff i c i e n t e per evitare, in condizioni normali di impiego, dispersione di materie radioattive superiori ai valori stabiliti dalle norme di buona tecnica a p p l i c a b i l i ” . Le sorgenti non sigillate invece sono definite come: qualsiasi sorgente che non corrisponde alle caratteristiche o ai requisiti della sorgente sigillata; pertanto, esse, in condizioni normali d’impiego, non consentono di prevenire eventuali dispersioni di sostanze radioattive nell’ambiente. Le sorgenti sigillate possono contenere radionuclidi che emettono radiazioni molto penetranti (generalmente solidi incapsulati in contenitori di acciaio inossidabile o di platino iridio) o poco penet r a n t i. In questo secondo caso il contenitore ha una finestra a parete sottile per consentire l’emissione delle radiazioni. Le sorgenti non sigillate possono presentarsi allo stato solido, liquido o gassoso. (Tabella 1) La strumentazione di misura campale in dotazione al C.N.VV. F. Le radiazioni nucleari non vengono avvertite dall’uomo; quindi, una persona può essere soggetta a campi di radiazione pericolosi senza notarne la presenza. E’, pertanto, necessario adottare strumenti sufficientemente sensibili e capaci di rilevare i vari tipi di radiazioni alfa, beta e gamma che siano in grado di determinare i valori delle grandezze radiometriche al fine di consentire una valutazione delle dosi assorbite e quindi il rischio associato. Gli strumenti di misura in dotazione al Corpo Nazionale dei Vi g ili del Fuoco basano il loro principio di funzionamento sul fenomeno della ionizzazione e su quello della scintillazione. Infatti, le radiazioni nucleari sono generalmente rivelate utilizzando gli effetti che esse producono (ionizzazione, scintillazione, ecc.) nelle sostanze attraversate; nella ionizzazione si ha la formazione di coppie di ioni, il cui numero dipende dalla quantità delle radiazioni incidenti. Il comportamento di queste particelle cariche dopo la formazione, dipende dalle condizioni che esse trovano n e l l ’ a m b i e n t e . Camere di ionizzazione La rivelazione delle cariche elettriche originate dalle radiazioni nucleari può essere fatta con una camera a ionizzazione, cioè un involucro riempito di gas contenente due elettrodi posti a diverso potenziale (in tale caso, il campo elettrico fra gli elettrodi è pressoché costante). In questo modo, gli ioni prodotti dalla radiazione ionizzante, si spostano verso gli elettrodi di carica opposta neutralizzando alcune cariche presenti su di essi; si ottiene così una diminuzione di potenziale, che è il segnale che evidenzia appunto la presenza di radiazioni ionizzanti nell’ambiente. ANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 16 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE Il C.N.VV. F. ha in dotazione uno strumento portatile a camera di ionizzazione a lettura diretta, denominato R/54C, atto al controllo ed alla misura di campi di radiazioni gamma fino a valori di 0,129 C/Kg · h (500 R/h) su quattro scale lineari a commutazione manuale. Tutte le manovre sono concentrate su di un unico commutatore posto sul pannello che consente l’accensione, i controlli e le misure. Lo strumento R/54C è provvisto di una scala ruotante azionata dallo stesso commutatore, sulla quale sono riportate tutte le indicazioni necessarie per la lettura d e l l ’ i n d i c a t o r e . Contatori Geiger – Muller Questi rivelatori basano anch’essi il loro principio di funzionamento sull’effetto della ionizzazione. Essi sono composti da un tubo
metallico cilindrico (condensatore a geometria cilindrica in cui il campo elettrico cresce procedendo verso l’anodo fino a raggiungere in prossimità di esso valori molto elevati) riempito di gas, attraversato da un filo conduttore. Fra il tubo e il filo conduttore (anodo) è applicata una diff e r e nza di potenziale; quando le radiazioni attraversano il tubo, alcuni atomi del gas in esso contenuto subiscono ionizzazione. Anche qui gli ioni prodotti migrano verso gli elettrodi di carica opposta, ma gli elettroni vengono attratti dall’anodo con velocità elevatissime, a causa del crescente intenso valore del campo elettrico cui vanno incontro, tanto da essere in grado di produrre a loro volta altre ionizzazioni. In altre parole, la ionizzazione iniziale si propaga ad un gran numero di atomi, per cui una valanga di elettroni colpisce il filo centrale provocando un intenso impulso elettrico (ampiezza di circa 1 V). ANTINCENDIO novembre 1996 17 Protezione di ambienti 1) Rivelatori di fumo a camera di ionizzazione. 2) Parafulmini radioattivi. 3) Ionizzazione di atmosfere (contro pericolo di scoppio per scariche elettrostatiche). a) Magazzini di deposito merce (specie se grandi, se meccanizzati, o di merce pregiata), centri di elaborazione dati. Am241 . b) Depositi di sostanze infiammabili , edifici industriali . Am241 , Ra226 . c) Ambienti con polveri combustibili in sospensione, gas o vapori infiammabili. Am2 4 1 Controllo di qualità 1) Radiografia, gammagrafia, radioscopia, cristallografia. 2) Calibrazione dei laminati. 3) Verifica di spessori. a) Metalmeccanica. Ir192, Co60, Cs137 b) Cartaria, tessile, dei laminati plastici, metalmeccanica. Sr90, K85 . Controllo di processo e protezione 1) Misuratori di livello e/o di troppo pieno. a) Chimica, farmaceutica di base Co60, Cs137, Ir192 . Sterilizzazione e/o per lunga conservazione 1) Irradiatori di elevata attività. a) Farmaceutica, alimentare, ortomercati generali Co60, Cs137 . Localizzazione di guasti in condotte a) Metanodotti, oleodotti/Ir192 , Co60, Cs137 . Impianti nucleari indicati nel Capo VII del D. L.vo 17/03/95 n° 230. Tabella 1 PRINCIPALI IMPIEGHI DELLE SOSTANZE RADIOATTIVE Scopo Dispositivo Attività di utilizzo Per tale motivo i contatori Geiger – Muller risultano più sensibili delle camere a ionizzazione (ampiezza di qualche mV). I contatori Geiger – Muller vengono impiegati per misure di attività delle particelle b e per misure di intensità di esposizione; in particolare, quelli in dotazione al C.N.VV.F., hanno una finestra di mica molto sottile (circa 2 m g / c m2 di spessore fisico) per consentire una agevole rilevazione delle radiazioni b. Infine, i contatori Geiger – M u l l e r sono poco adatti alla rivelazione delle particelle a, mentre hanno una efficienza elevata per le particelle b (circa 97 – 99%) e bassa per i raggi g (al massimo 1 o 2%). Il C.N.VV. F. ha in dotazione diverse sonde di tipo Geiger – Muller. Esse sono denominate: GF 122 B, GF 129, GF 132 e GF 145. Contatori a scintillazione Tali strumenti basano il loro principio di funzionamento su un fenomeno, caratteristico dei cristalli fluorescenti NaI (Tl), ZnS (Ag), nei quali a seguito di un assorbimento di energia si ha l’emissione di un impulso di luce. Se tale luce colpisce un fotocatodo (di solito antimoniuro di Cesio SbCs3 ), esso emette un numero di elettroni proporzionale alla quantità di luce incidente che viene inviata alla finestra d’ingresso di un fotomoltiplicatore; in questo modo, si produce una corrente elettrica che da luogo ad una differenza di potenziale, che è appunto il segnale dal quale si può evidenziare la presenza di radiazioni ionizzanti nell’ambiente. I contatori a scintillazione in dotazione al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco sono adatti alla rivelazione dei raggi g e delle particelle a. Essi sono denominati rispettivamente F118 Bg e F118 Ba. I contatori a scintillazione, per quanto concerne la rivelazione delle radiazioni gamma, sono molto più sensibili dei contatori Geiger – Muller, in quanto la probabilità di interazioni dei raggi gamma con le sostanze cresce all’aumentare del numero atomico (nel caso dei contatori Geiger – Muller l’elemento rivelatore è un gas, mentre nei contatori a scintillazione è una sostanza solida). Ad esempio, una sonda GF 145 ha una sensibilità alle radiazioni gamma di 10 imp/s per ogni mR/h, mentre tale valore è di circa 2000 imp/s per la sonda F118 Bg. La strumentazione fin qui descritta è in dotazione a tutti i Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco. Inoltre, tutti i Comandi Provinciali hanno una catena di misura che consente di eff e t t u a r e , come meglio si dirà nel seguito, misure di attività beta totale in aria di radionuclidi attraverso l’aspirazione di quantità note, mentre presso alcuni Comandi sono anche disponibili analizzatori multicanale per l’effettuazione di misure spettrometriche gamma. A livello interregionale, il C.N.VV. F. dispone di sei laboratori mobili di rilevamento della radioattività, dislocati nell’ambito di Gruppi Operativi Speciali (G.O.S.). Tali laboratori sono equipaggiati con apparecchiature di misura più sofisticate di quelle in dotazione ai Comandi Provinciali e, pertanto, consentono un controllo più dettagliato in caso di incidenti con presenza di sostanze radioattive. Essi sono allestiti su automezzi, idonei anche per percorrenze fuori strada e capaci di autonomia operativa di alcune ore in zone altamente contaminate da polveri e gas radioattivi, in quanto risultano protetti in modo da garantire ai Vigili del Fuoco di operare in ampi limiti di sicur e z z a . In particolare, con l’ausilio dei laboratori mobili di rilevamento della radioattività si può: – delimitare una zona soggetta ad irraggiamento gamma; – prelevare campioni d’aria, con o senza la fuoriuscita dell’operatore dall’automezzo, per determinarne l’entità della contaminazione mediante misure di attività; – prelevare campioni (acqua, suolo, verdure, etc.) mediante fuoriuscita di operatori opportunamente protetti; – individuare, attraverso analisi spettrometriche alfa e gamma, la natura dei radionuclidi presenti in varie matrici della zona contaminata e misurarne l’attività e la concentrazione. A livello nazionale i Vigili del Fuoco gestiscono la rete nazionale di rilevamento della radioattività dovuta al “fall out” conseguente ad incidenti nucleari di grande rilevanza. Essa è costituita da radiametri ad installazione fissa, denominati XR 29 C, distribuiti con maglie di 15-20 Km di lato su tutto il territorio nazionale, che permettono il controllo della radioattività in caANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 18 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE so di eventi bellici o di catastrofici incidenti nucleari. Tali strumenti, sono costituiti da un contatore Geiger – Muller che copre un campo di misura dell’intensità di dose assorbita che si estende su nove decadi da 0.01 mGy/h a 9.99 Gy/h. Tale rete ha, fra gli altri, lo scopo di rilevare la radioattività depositata al suolo ed in aria, in modo da consentire il tracciamento delle curve di isointensità della dose assorbita in aria, e fornire così informazioni sul grado di contaminazione ambientale. Infine, presso i locali del Laboratorio di Difesa Atomica del Centro Studi ed Esperienze, è presente una camera calda dove vengono effettuate le operazioni di collaudo, nonché le tarature periodiche, degli strumenti precedentemente elencati; a tale scopo, vengono utilizzate sorgenti radioattive campioni di Co6 0 , C s1 3 7 ed una macchina radiogena per dosimetria metrologica. Si fanno adesso alcune considerazioni sull’utilizzo della strumentazione di misura portatile. Utilizzo della strumentazione Le sonde per poter funzionare devono essere collegate ai radiametri; il C.N.VV.F. dispone attualmente di tre tipi di radiametri, di cui i primi due sono a lettura analogica. Essi sono rispettivamente: RA 143, RA 141 B/F e RA 141 C. I radiametri hanno unicamente lo scopo di conteggiare i segnali elettrici provenienti dalle sonde ad esse collegate; pertanto, in funzione del particolare tipo di radi
azione che si vuole rilevare, bisogna scegliere una sonda appropriata indipendentemente dal tipo di radiametro che ad essi si collega. Le sonde hanno differenti sensibilità di rivelare le radiazioni gamma a seconda del loro principio di funzionamento. In ordine di sensibilità crescente, si hanno prima le camere di ionizzazione, poi i contatori Geiger – Muller ed, infine, le sonde a scintillazione che sono quindi le più sensibili. Pertanto, se occorre ricercare una sorgente radioattiva gamma emettitrice, si utilizzerà per prima la sonda F 118 B g; successivamente, non appena il numero degli imp/s rilevato è tale da portare l’indice del radiametro, ad esempio RA 141 B/F, a fondo scala (10000 imp/sec vengono conteggiati per valori dell’intensità di esposizione di circa 1×1 0- 6 C / K g×h, ovvero circa 4 mR/h), per poter seguire l’andamento dei valori del campo di radiazioni, occorrerà cambiare tipo di sonda e passare ad una meno sensibile, ovvero di tipo Geiger – Muller, ad esempio la GF 145. Nel caso, che il livello delle radiazioni fosse molto elevato e capace di mandare a fondo scala l’indice del radiametro anche con questo tipo di sonda (tale valore è di 2,58×10-4 C/kg×h, cioè 1 R/h, corrispondente a 10000 imp/sec con sonda GF 145 collegata), per poter effettuare la misura bisogna ricorrere ad uno strumento ancora meno sensibile, quindi ad una camera di ionizzazione, come il radiametro campale R54 C che è in grado di misurare valori dell’intensità di esposizione fino a 1,29×10-4 C/Kg×h (500R/h). Una delle cautele da seguirsi in interventi in cui vi sia la presenza di sostanze radioattive, ad esempio nel caso di una ricerca di sostanze di cui non si conosce il valore dell’attività, è quella di iniziare la ricerca posizionando il commutatore del radiametro sulla scala più bassa. Tale procedura permette di evidenziare istantaneamente la presenza di radiazioni. Successivamente, occorre, subito commutare lo strumento sulla scala più alta in modo da verificare la pericolosità del livello di radiazione presente, perché ne fa subito conoscere il valore massimo. Inoltre, questa accortezza evita inutili allarmismi, perché se si lasciasse il commutatore su una scala di lettura bassa, l’indice del radiametro potrebbe andare a fondo scala anche per un basso valore dell’intensità di e s p o s i z i o n e . Vediamo adesso quali sonde bisogna utilizzare in funzione del tipo di radiazione da rilevare. N e l caso delle particelle a esse possono essere individuate solo dalla sonda a scintillazione F118 Ba. Le particelle b si possono rilevare con tutte le sonde di tipo Geiger – Muller, avendo però l’accortezza di togliere il cappuccio metallico posto davanti alla finestra di mica, in quanto esso le schermerebbe. Le radiazioni gamma, possono essere rilevate da tutte le sonde in dotazione ad eccezione della F118 Ba. Qualora si volesse fare una misura della intensità di esposizione, occorre notare che non tutte le sonde in dotazione al C.N.VV. F. sono tarate, nel senso che ad un determinato numero di imp/s corANTINCENDIO novembre 1996 19 risponde un preciso valore dell’intensità di esposizione. Pertanto, per effettuare una misura dell’intensità di esposizione è necessario collegare al radiametro una delle seguenti sonde: GF 122 B a finestra di mica chiusa, GF 145 col commutatore in posizione gamma e finestra di mica chiusa. Le altre sonde in dotazione possono essere utilizzate come strumenti di ricerca, poiché forniscono solamente un valore del numero di imp/s a cui non è possibile far corrispondere con esattezza un determinato valore dell’intensità di esposizione. Le sonde non tarate sono: F 118 Bg, F 118 Ba, GF 132, GM 120, e GF 145 con finestra di mica aperta e commutatore in posizione b; il livello di radiazioni da esse rilevato può essere espresso solamente, in modo qualitativo, dal valore degli imp/s conteggiati dal radiametro. Con un sistema di misura campale composto da un radiametro RA 143 collegato ad una sonda GF 145, se si mantiene la finestra di mica chiusa ed il commutatore della stessa in posizione di lettura gamma, si possono effettuare misure di intensità di esposizione fino al valore di 64,5 mC/Kg×h (250 mR/h). Invece, con un radiametro RA 141 B/F collegato ad una sonda GF 145, mantenendo la finestra di mica chiusa e il commutatore della stessa in posizione gamma, si possono effettuare misure di intensità di esposizione fino al valore di 0,258 mC/Kg×h (1 R/h). Dopo queste necessarie premesse, si tratta adesso l’argomento riguardante gli interventi in presenza di sostanze radioattive. Esso è stato suddiviso in diverse sezioni. Incidenti durante il trasporto di sostanze radioattive Le sostanze radioattive vengono trasportate in contenitori a bordo di vettori autorizzati. La resistenza al fuoco di questi contenitori è variabile per cui la protezione da essi assicurata dipende dal tipo di materiale con il quale vengono realizzati. Si possono considerare due categorie di contenitori di protezione: a) contenitori solidali con il rad i o e l e m e n t o , ed utilizzati con esso. Questa categoria comprende le sorgenti sigillate. b) contenitori non solidali con il radioelemento, che servono da imballaggio per il trasporto, per lo stoccaggio o per la protezione. A questa categoria appartengono, ad esempio, i contenitori di piombo, i bidoni, i fusti, i contenitori di vetro trasportanti sorgenti liquide utilizzate per analisi cliniche di tipo radioimmunologico. Durante il trasporto può verificarsi, a seguito di incidente, o la rottura dei contenitori di protezione con versamento della sostanza radioattiva su superfici (con possibile rilascio nell’aria a seguito dell’evaporazione), o l’incendio dei predetti contenitori. Quindi, la liberazione di radioelementi dai relativi contenitori può comportare a seconda dei casi: la contaminazione di superfici, pavimenti, terreno o la contaminazione dell’aria. a) contaminazione delle superfici e del pavimento. Questo tipo di contaminazione può essere provocata da: 1) versamento o proiezione di liquidi radioattivi; 2) dispersione di materie radioattive solide sotto forma di polveri, pastiglie, ecc. Occorre prendere ogni precauzione utile per evitare l’estensione della contaminazione, per cui i differenti mezzi da usare sono: – nel primo caso prodotti assorbenti (terra, sabbia, polvere, ecc.) – nel secondo caso, salvo norme particolari, umidificare leggermente per mezzo di acqua nebulizzata onde evitare la risospensione in aria della sostanza radioattiva Particolare cura deve essere attuata in tale circostanza per evitare inutili spargimenti di acqua che potrebbero allargare la zona contaminata; inoltre, le zone contaminate dovranno essere delimitate e segnalate per impedirne l’accesso incontrollato. b) contaminazione dell’aria (esterna). Essa può essere provocata da radioelementi sotto forma di polveri, aerosol, vapori e gas ecc.; l’estensione della zona contaminata è legata alle condizioni meteorologiche ed è, ovviamente, difficilmente controllabile. Quando si verifica una diffusioANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 20 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE ne della sostanza radioattiva dal suo contenitore all’ambiente esterno insorgono pericoli di inalazione, ingestione o di assorbimento, con conseguente possibilità di esposizione interna. E’ necessario, quindi, proteggere gli operatori isolandoli dall’ambiente a mezzo di tute anticontaminazione e di idonei mezzi di protezione delle vie di respirazione. In caso d’incendio, a seconda dell’imballaggio o del contenitore coinvolto, si potrà decidere circa l’urgenza e il tipo di misure da prendere in relazione al tipo di incidente, poiché la natura e l’importanza di dette misure dipendono dalle caratteristiche o dai materiali radioattivi coinvolti. Se l’incendio minaccia, direttamente o indirettamente, i contenitori può verificarsi, come già detto, la rottura delle protezioni delle sorgenti o dei materiali radioattivi; i danni in tal caso, per i soccorritori presenti sul luogo o per le persone che si trovano nelle vi
cinanze, possono essere più gravi (gli operatori sono contemporaneamente soggetti ad esposizione interna ed esterna) di quelli che sono provocati da un incendio di tipo “classico”. Per questa ragione, il responsabile della squadra di intervento dovrà assicurare la protezione dei materiali radioattivi minacciati oltre ad osservare le normali regole antincendio; inoltre, l’intervento dovrà essere attuato dal minor numero possibile di persone. In questo incidente è importante, per valutare la pericolosità della situazione, effettuare al più presto negli ambienti circostanti il luogo dell’incidente, misure di concentrazione in aria dei radionuclidi. Intervento con presenza di una sorgente radioattiva esposta Vediamo adesso quale comportamento occorre tenere quando si debba effettuare un intervento in cui sia presente una sorgente radioattiva solida esposta. In tale caso, che più frequentemente si presenta negli interventi, si ha esposizione esterna dovuta, nella quasi totalità delle situazioni, a sorgenti radioattive gamma emettitrici. In questa circostanza, per proteggersi non è s u fficiente mettersi a qualche metro di distanza, come per le particelle a e b, ma è opportuno attenuare, quando possibile, l’intensità di esposizione che raggiunge gli operatori interponendo, tra essi e la sorgente radioattiva, uno schermo protettivo. Si sottolinea che, in tale incidente l’uso della tuta anticontaminazione è assolutamente inefficace. Questi interventi possono verificarsi, ad esempio, a seguito di un incidente stradale in cui sia coinvolto un automezzo adibito al trasporto di sostanze radioattive, nella caduta di un parafulmine radioattivo dal proprio sostegno, quando una sorgente radioattiva utilizzata per gammagrafie non rientra dopo l’esposizione nel proprio contenitore, ecc. La prima azione da fare è assumere il maggior numero di dati sulla sorgente radioattiva. In particolare, occorre conoscere l’attività della sorgente radioattiva e lo stato fisico (solido, liquido, aeriforme), al fine di decidere l’utilizzo delle tute anticontaminazione; nella maggior parte dei casi, non è fondamentale conoscere il tipo di sostanza radioattiva (eventualmente, per sapere il tipo di radiazioni che emette) poiché, purtroppo, nella maggior parte dei casi le sostanze coinvolte emettono radiazioni gamma. Assunte le informazione necessarie, occorre tempestivamente delimitare una zona circostante la sorgente, al cui margine l’intensità di esposizione sia pari a valori che non comportino pericolo per la popolazione. Ciò si può fare in due modi: o servendosi della formula teorica, nel caso sia nota l’attività della sorgente, o facendo delle misure di intensità di esposizione con una sonda tarata. Nel primo caso si può valutare la distanza d alla quale, ad esempio, si ha probabilmente un’intensità di esposizione pari a 6,45×1 0- 7 C / K g× h (2,5 mR/h), utilizzando la formula già citata: d = (k×A/I)1/2; nella quale si pone: I = 6,45×10-7 C/Kg×h (2,5 mR/h). Esempio: se si è in presenza di una sorgente solida sigillata di Cs 1 3 7 avente attività di 1,85 TBq (50 Ci), a quale distanza bisognerebbe porre la delimitazione se al margine si vuole una intensità di esposizione di 2,5 mR/h? Servendoci della formula predetta e sapendo che la costante ANTINCENDIO novembre 1996 21 gamma specifica k (vedi tabella 2) del Cs 137 è pari a 0,323 [ R×m2 / ( h×Ci)] ed imponendo un valore di intensità di esposizione pari ad 2,5 mR/h, avremo: d = (0,323×50/0,0025)1/2 = 80,4 m; Con maggiore precisione, si può valutare la zona di rispetto anche effettuando una misura di intensità di esposizione, con un radiametro RA 141 C collegato ad una sonda GF 145 ed individuando i punti nei quali si registrano 25 imp/s. Tale metodo può però diventare lento in presenza di sorgenti radioattive aventi elevata attività; in tal caso conviene effettuare la delimitazione della zona di intervento avvalendosi della formula predetta. E ffettuata la delimitazione, se la situazione è tale da non creare un imminente pericolo per le persone, si può programmare l’intervento di recupero, oppure sorvegliare la zona in attesa dell’arrivo della U.S.L. o dell’esperto qualificato, appositamente convocati, i quali provvederanno eventualmente al recupero della sorgente radioattiva ed al suo deposito in luogo sicuro. Vediamo adesso come bisogna comportarsi quando è necessario ricercare una sostanza radioattiva. Nella fase iniziale si utilizzerà una sonda molto sensibile alle radiazioni gamma; questa è la sonda a scintillazione F 118 Bg, la quale, accoppiata ad un radiametro RA 141 B/F fornisce, se esposta al fondo naturale di radiazioni, un numero di imp/s, variabile da località a località, da 30 a 150 imp/s. Se durante la ricerca si registra un aumento del numero di imp/s, significa che ci si sta avvicinando alla sorgente radioattiva. Adesso è necessario continuare l’intervento anche con una sonda tarata in modo da poter valutare istante per istante, l’intensità di esposizione e rendersi così conto della pericolosità della situazione. Ci sono varie tecniche che possono adottarsi nel caso di una ricerca. Ad esempio, si potrebbe procedere nel seguente modo: all’inizio si va in una direzione qualsiasi e si vede se il numero di imp/s aumenta o diminuisce. Un aumento significa che ci si sta dirigendo verso la parte giusta; se ad un certo istante si nota una diminuzione degli imp/s rilevati allora bisogna ritornare indietro, rifacendo lo stesso percorso, fermandosi nel luogo dove era iniziata la diminuzione. Da tale punto ci si muoverà lungo una direzione diversa dalla precedente e sempre nel verso che conduce ad un aumento degli imp/s regis t r a t i . Alla fine, per successive approssimazioni, si individuerà l’esatta posizione della sorgente radioattiva. Nel caso in cui vi sia un immediato pericolo per la salute delle persone o sia necessaria una rapida rimozione della sorgente in relazione all’ambiente in cui ci si trova (autostrada, ferrovia, ecc.), occorrerebbe recuperare tempestivamente la sorgente agendo in modo che il personale di intervento non assorba eccessivi valori dell’equivalente di dose. Qualora si abbia fondato motivo di ritenere che i valori dell’equivalente di dose cui può andare incontro il personale di intervento possano essere particolarmente elevati, dovranno attuarsi le procedure relative all’esposizione eccezionale concordata di cui si dirà nel seguito. In ogni caso, è opportuno che l’intervento venga attuato in modo che l’equivalente di dose totale assorbita sia ugualmente ripartito fra tutto il personale p r e s e n t e . Si noti, comunque, che i V V. F., tranne casi eccezionali (ad esempio, su incarico dell’Autorità Giudiziaria) non possono trasportare o tenere in deposito una sorgente radioattiva, per cui l’intervento deve essere finalizzato ad eliminare il pericolo imminente. Generalmente, dopo averne effettuato il recupero, si potrà collocare la sorgente radioattiva dentro uno schermo di piombo posto in ambiente sorvegliato, in attesa di un suo definitivo recupero da parte di personale qualificato. Si ritiene opportuno ricordare che, in caso d’incendio che coinvolge la sostanza radioattiva (solida, liquida o gassosa), essa cambierà il suo stato fisico iniziale, tramite processi, a seconda dei casi, di fusione, ebollizione, sublimazione con formazione di prodotti di combustione (corrispondenti alle caratteristiche chimiche del corpo) che si presentano sotto forma di ceneri, polveri, aerosol, vapori o gas; inoltre, l’incendio, comunque, non farà variare l’attiANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 22 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE vità della sostanza radioattiva. Quindi, in caso d’incendio, ne consegue un innalzamento del rischio radiologico, non essendo nel frattempo mutate le caratteristiche radioattive delle sostanze, poiché si passerà per l’operatore da una situazione iniziale di sola esposizione esterna ad una finale di esposizione interna ed esterna. In tale situazione è importante e ffettuare tempestivamente, ai fini
della valutazione della pericolosità dell’incidente e dell’equivalente di dose eventualmente assorbita dagli operatori, la misura della concentrazione in aria dell’attività beta totale (tramite la “catena beta“, di cui si dirà nel seguito) e quella dell’attività gamma dei vari radionuclidi (tramite una spettrometria gamma). Pertanto, dovranno essere al più presto prelevati campioni di aria ambiente, sia nel luogo dell’incidente, sia nei luoghi circostanti, al fine di poter seguire il movimento della nube radioattiva ed intraprendere in tempo eventuali provvedimenti a tutela dell’incolumità pubblica. Contemporaneamente, in via subordinata, dovranno anche essere eseguite misure dell’intensità di esposizione, soprattutto nel luogo dell’incidente; successivamente, saranno effettuate misure di contaminazione delle superfici coinvolte. Nel caso che nell’incendio siano coinvolte sostanze emittenti particelle alfa (è un caso non frequente), le misure, sia su campioni di aria prelevati, sia su superfici, saranno condotte con la sonda F 118 Ba p onendola quasi a contatto con il campione da misurare. Qualora durante un intervento in presenza di una sorgente radioattiva gamma emittente allo stato solido, si ha la possibilità di utilizzare uno schermo protettivo, l’equivalente di dose assorbita per l’operatore è ovviamente minore. L’ e fficacia dello schermo dipende dal suo spessore, dal materiale con cui è costituito e dall’energia dei raggi gamma emessi dalla sostanza radioattiva che produce l’irraggiamento. Per esempio, uno schermo di ferro dello spessore di 1,8 centimetri è in grado di dimezzare l’intensità di esposizione prodotta nell’ambiente da una sorgente di Co6 0 . Per ottenere lo stesso eff e t t o con uno schermo di calcestruzzo occorrerebbe invece uno spessore di 5,4 centimetri; infatti, gli schermi costruiti con materiali più pesanti sono maggiormente e fficaci. Si definisce spessore di dimezzamento di uno schermo protettivo, quello capace di dimezzare l’intensità di esposizione incidente su esso. Nella tabella 2 sono indicati per alcuni materiali, a titolo esemplificativo, i valori in centimetri dello spessore di dimezzam e n t o . Incidenti che provocano l’immissione di sostanze radioattive n e l l ’ a t m o s f e r a Quando nel corso di un intervento si produce una contaminazione dell’aria, in aggiunta alla misura dell’intensità di esposizione, acquista particolare importanza la misura della concentrazione in aria del radionuclide; infatti, com’è noto, potrebbero aversi significativi valori di dose da esposizione interna per la popolazione e per il personale che interviene. In tale eventualità, è necessario procedere al prelievo di campioni di aria in più punti dell’ambiente. Sui filtri contaminati prelevati verrà eseguita, sia la misura dell’attività beta totale dei radionuclidi beta emettitori (con l’ausilio della catena beta), sia un’analisi spettrometrica gamma (con un analizzatore multicanale) per determinare il valore dell’attività dei campioni tramite una misura gamma. Si coglie l’occasione per fare alcune considerazioni al riguardo. Il controllo ambientale della contaminazione radioattiva è fondato sulla possibilità di rilevare variazioni anormali del fondo naturale di radiazioni e, successivamente, nell’identificare la sorgente che ne è la causa. Se si ha un rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente, una delle prime azioni da eff e t t u a r e , come già detto, è quella di realizzare dei rilevamenti atti a determinare l’aumento dei livelli di radioattività nei luoghi circostanti, attraverso misure di concentrazione in aria di determinati r a d i o n u c l i d i . Sono, inoltre, necessarie misure di intensità di esposizione ed altre per identificare la natura e determinare la quantità dei radionuclidi eventualmente ris c o n t r a t i . ANTINCENDIO novembre 1996 27 Pertanto, nella prima fase dell’incidente le valutazioni saranno eseguite in aria e sulle verdure, riservandosi di misurare altre matrici (latte, acqua, terreno, etc.) in seguito; ad esempio, il latte entrerà nella catena alimentare mediamente dopo quattro giorni dalla contaminazione, mentre la verdura potrebbe essere consumata dalla popolazione subito dopo la contam i n a z i o n e . A seconda dei casi possono eseguirsi misure di attività alfa totale, beta totale e/o analisi spettrometrica alfa o analisi spettrometrica gamma. Ad esempio, il radionuclide che più interessa la radioprotezione, nel caso di incidente ad un impianto nucleare che comporti l’immissione nell’ambiente di isotopi radioattivi, è lo I1 3 1; le misure di protezione per la popolazione dipendono, infatti, dalla quantità di I131 fuoriuscita. Attraverso misure di spettrometria gamma, si riesce a determinare con esattezza l’attività di I 131 presente nell’ambiente, in modo da poter intraprendere tempestivi interventi che riducano il rischio da inalazione o di ingestione, principalmente di verdure, per la popolazione (come si è già detto, per il latte si ha più tempo a disposizione per intervenire con idonei provvedimenti). E’ però necessario, considerata l’elevata pericolosità di tale radioisotopo nei confronti dell’organismo umano, che la misura dello I 1 3 1 sia la più rapida possibile; infatti, ad esempio, una concentrazione in aria di I1 3 1 d i 115 nCi/m 3 (4,2 KBq/m 3 ) già comporta per un bambino un elevato valore dell’intensità dell’equivalente di dose all’organo critico (tiroide) di 1 mSv/h (0,1 rem/h). E’ proprio a tale scopo che è stato in precedenza indicato, che una prima misura, indicativa dello stato di contaminazione, consiste appunto nel valutare la concentrazione dello I131 q u a n d o è ancora diffuso in aria. Il sistema attualmente utilizzato dal Corpo Nazionale dei Vi g i l i del Fuoco per effettuare la misurazione di campioni per misure di concentrazione in aria di I131 è quello di prelevare lo Iodio su un filtro di carbone attivo (casa costruttrice Schleicher & Schuell modello SS 508), di diametro di 55 mm, mediante l’aspirazione di una determinata quantità di aria (almeno pari ad 1 m3 ) . Il flusso di aria aspirata passa prima attraverso un prefiltro di carta (casa costruttrice Schleicher & Schuell modello SS 5 8 92 ), ove vengono depositate le particelle in sospensione presenti in essa, e poi in un filtro in carbone attivo dove si fissa lo I 1 3 1; è prudente assumere per tale filtro un rendimento di raccolta dello Iodio pari a n = 0,8. Su tale filtro aspirato, possono essere condotte misure di particelle beta e/o di raggi gamma. Il sistema utilizzato per la misurazione dell’attività delle particelle beta che è in dotazione ai Comandi VV. F. è chiamato “catena beta “. Esso comprende: – una unità volumetrica modello PC 9 (tale sistema è composto da un aspiratore ed unità volumetrica; esso è in grado di aspirare per almeno 50 minuti una portata media di aria di circa 90 l/min); – una sonda Geiger – Muller modello GF 145 (in tale tipo di misura la sonda viene utilizzata con il commutatore in posizioANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 28 Tabella 2 VALORI APPROSSIMATI DELLO SPESSORE DI DIMEZZAMENTO (cm) Materiale Radiazioni gamma emesse da: schermante Co60 Cs137 I 131 Ra226 Piombo 1,1 0,86 0,4 1,4 Ferro 1,8 1,5 1,1 2,3 Calcestruzzo 5,4 4,6 3,15 7,1 Legno 18 16 10,3 23,5 Acqua 12,5 11 7,25 16,5 Muratura di mattoni 6,2 5,8 3,6 8,2 Terra 8,3 7,7 4,6 10,9 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE ne beta); – un radiametro modello RA 141 C; – un pozzetto di piombo modello KS 101 B. Per poter misurare il valore della concentrazione in aria di I 131, occorre preventivamente conoscere l’efficienza eb di conteggio alle particelle beta della sonda nelle condizioni di impiego nella catena di misura; al riguardo, il valore di eb dipende dai seguenti fattori: – predisposizione della catena elettronica di conteggio del sistema di misura; – uniformità di contaminante sulla superficie del filtro; – geometria di misura; – superficie del filtro effettivamente investita dal flusso di ari
a aspirato. Tali parametri influenzano il valori di eb la cui espressione è: [(c.p.s.)s – (c.p.s.)f ] eb = (c.p.s./Bq); A dove (c.p.s.)s rappresenta il valore medio dei conteggi per secondo ottenuto con un sorgente radioattiva campione, di attività nota, depositata su un filtro posto all’interno del pozzetto di piombo, (c.p.s.)f è il valore medio dei conteggi per secondo del fondo naturale di radiazioni all’interno del pozzetto di piombo, ed A è l’attività della sorgente radioattiva campione. Si reputa utile rappresentare che, da esperienze condotte presso il Laboratorio di Difesa Atomica si è accertato che eb assume valori variabili da 0,07 a 0,08 con sorgenti radioattive campioni emittenti particelle beta aventi energia massima di circa 500 – 600 KeV. Quindi, nei calcoli può cautelativamente assumersi per il sistema di misura “catena beta” precedentemente descritto: eb = 0,070. Si precisa che, qualora nella catena beta si sostituisse la sonda GF 145 con la sonda GF 132 il valore da assumere nei calcoli è eb = 0,05. Non appena conosciuto il valore di eb , il valore della concentrazione C in aria di I131, può valutarsi approssimativamente con la formula: [(c.p.s.)x – (c.p.s.)f ] C = (Bq/m3 ); eb × n × Vasp. dove, (c.p.s.)x è il valore medio dei conteggi per secondo del campione aspirato in zone contaminate, Vasp. è il volume di aria di misura aspirato, espresso in m3 , (c.p.s.)f , rappresenta la media dei valori dei conteggi per secondo dovuti al fondo naturale di radiazioni, riscontrati in precedenza nell’ambiente a seguito di numerose misurazioni eseguite su filtri aspirati in diverse ore della giornata e con condizione di tempo variabili. Dalle campagne di misure condotte negli ultimi anni dal C.N.VV.F., è risultato mediamente sul territorio nazionale un valore (c.p.s.)f, del fondo naturale di radiazioni di circa 0,2 c.p.s. Pertanto, se si suppone che: – la minima attività rilevabile dal sistema di misura corrisponda cautelativamente ad un conteggio almeno doppio di quello dovuto al fondo naturale di radiazioni; – si abbia a che fare con radioisotopi che emettano particelle beta di energia massima pari a circa 500 – 600 KeV, come lo I 131 ed il Cs137; – la quantità di aria aspirata sia pari a 4 m3 (il tempo necessario per aspirare tale quantitativi di aria è di circa 45 minuti). Nelle predette condizioni, la catena beta ha, in prima approssimazione, una sensibilità di misura pari a: 0,2 C = = 0,9 Bq/m3 ; 0,07 × 0,8 × 4 E’ il caso di osservare che, nel caso dello I1 3 1, il D.L.vo 230/95 indica, in condizioni normali, per i lavoratori esposti una concentrazione in aria massima ammissibile di 700 Bq/m3 ; quindi, poiché in caso di incidente è ragionevole presumere che tali valori possano essere ancora maggiori, si può affermare che la strumentazione in dotazione ai Vigili del Fuoco è in grado di poter misurare adeguatamente i valori di misura attesi in caso di incidente. Negli interventi che comportaANTINCENDIO novembre 1996 29 no una esposizione interna è molto spesso necessario eff e ttuare un’analisi qualitativa e quantitativa dell’aria contaminata, per determinare con esattezza i singoli radioisotopi presenti e la loro attività. Infatti, i valori massimi della concentrazione in aria, consentiti in determinate circostanze, variano in relazione al tipo di radioisotopo e delle persone coinvolte nell’incidente (in tabella 2 sono riportati i valori per alcuni radioisotopi); la predetta analisi viene eseguita tramite apparecchiature denominate analizzatori multicanale, preventivamente tarate con l’utilizzo di sorgenti radioattive campioni che emettono raggi gamma di energia nota su un vasto campo di valori. L’analisi qualitativa e quantitativa dell’aria contaminata è quasi sempre possibile ad esclusione di incidenti dove sono presenti sostanze radioattive che emettono solamente particelle beta; infatti, tramite una misura beta non si è in grado di distinguere il contributo che i vari radioisotopi danno all’attività totale del campione, poiché le particelle beta non vengono emesse con una energia ben definita ma variabile da zero fino ad un valore massimo Emax. Pertanto, in tali misurazioni viene utilizzata una tecnica, chiamata “analisi spettrometrica”, dove i vari radionuclidi sono individuati grazie alla proprietà che hanno di emettere, a seconda del loro schema di decadimento, raggi gamma e particelle alfa sempre della stessa energia. Pertanto, poiché nella maggior parte degli interventi sono presenti sostanze radioattive che emettono raggi gamma, è possibile misurare con esattezza i quantitativi degli eventuali radioisotopi presenti nell’ambiente effettuando un’analisi spettrometrica gamma. Con tale tecnica di misura si riescono ad apprezzare anche debolissimi valori della contaminazione volumetrica, dell’ordine di 0,1 Bq/m 3 (2,7 pCi/m 3 ), in quanto vengono impiegati quali elementi rilevatori delle radiazioni gamma degli scintillatori di grosse dimensioni di Ioduro di sodio attivato al Tallio NaI (Tl) o di Germanio ad elevata eff i c i e nza (50% di quella dell’equivalente cristallo di Ioduro di sodio attivato al tallio). Si precisa che, i rivelatori allo NaI (Tl) hanno una efficienza di conteggio maggiore di quelli al Germanio, però hanno una risoluzione in energia minore che non consente, qualora si debbano misurare radionuclidi aventi energia dei raggi gamma pressoché uguali, ad esempio, Ba133 e I 1 3 1, di poter distinguere la presenza contemporanea dei due radioisotopi nell’ambiente. Interventi che comportano la valutazione della contaminazione superficiale Vediamo adesso come bisogna comportarsi nel caso che, a seguito di incidente, sia invece necessario eseguire una valutazione approssimata della contaminazione rimovibile presente su una superficie. Tale tipo di contaminazione, a d i fferenza di quella di tipo fisso che produce solo esposizione esterna, può prevalentemente dar luogo a significative contaminazioni ambientali a seguito della risospensione in aria del radionuclide e, conseguentemente, esposizione interna; nei calcoli, può ragionevolmente assumersi un valore del fattore di risospensione pari a 1× 10-5 m-1 (tale coefficiente permette di passare dal valore della contaminazione superficiale rimovibile a quella volumetrica; in pratica, in condizioni normali migra dalla superficie in aria una particella del radioisotopo ogni centomila) in accordo con quanto indicato nel 1982 dalla United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation (UNSCEAR); infatti, come già detto, la contaminazione fissa di superfici produce solamente esposizione esterna che, generalmente, non assume valori particolarmente elevati a causa dei bassi valori dell’attività che si fissa sulle superfici; tuttavia, tali piccoli valori di attività, se dovessero migrare nell’ambiente circostante, sarebbero in grado di produrre valori della concentrazione volumetrica che per esposizione interna potrebbero essere suscettibili di indurre nell’organismo umano significativi assorbimenti di equivalente di dose. La valutazione della contaminazione superficiale rimovibile prodotta da un radionuclide, può e ffettuarsi in prima approssimazione con l’ausilio della catena beta, nelle seguenti ipotesi: a) radionuclide b,g emittente (sono la maggior parte); ANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 30 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE b) radionuclide che emette una particella b ed un raggio gamma per ogni disintegrazione; c) radionuclide avente particelle b di energia massima pari a circa 500 – 600 KeV. In tali ipotesi, può pertanto risalirsi all’attività di un campione, conteggiando il numero di particelle b o quello dei raggi gamma, in quanto la quantità di particelle emesse nell’ambiente nell’unità di tempo coincide. Quindi, si può risalire all’attività del campione tramite la “catena beta” misurandone l’attività beta. Pertanto, sapendo che l’eff icienza eb di conteggio delle particelle b, è pari a circa 0,070 (sonda GF 145, pozzetto KS 101 B e RA 141 C), se si esegue un prelievo di un campi
one con la tecnica dello “smear test“, su una area A avente superficie di 100 cm2 , mediante un filtro di diametro 55 mm del tipo di quelli utilizzati per le misure di contaminazione volumetrica, si ottiene: (c.p.s.)x – (c.p.s.)f C = ; eb × A × F dove, C è il valore della contaminazione superficiale rimovibile, (c.p.s.)x è il numero medio dei conteggi per secondo del campione “strofinato” sulla superficie contaminata, ( c . p . s . )f è il numero medio dei conteggi effettuato all’interno del pozzetto su filtri prelevati su superfici analoghe a quelle di misura ed in punti diversi non soggetti a contaminazione (fondo naturale di radiazioni), F è il fattore di rimozione che, in prima approssimazione, può assumersi pari a 0,1 (norma UNI 9101). Come ordine di grandezza (livello di riferimento derivato), si ricorda che un valore della contaminazione superficiale rimovibile relativo a radioisotopi beta e/o gamma emettitori di circa 1 × 10-4 mCi/cm2 (37 KBq/m2 ) è già da considerarsi pericoloso. Infatti, ad esempio, nella Circolare n. 334096/30 del 03/12/92 emanata dal Ministro dei Trasporti, relativa al trasporto aereo di sostanze radioattive, è fissato per i radionuclidi beta e gamma emettitori ed alfa emettitori a bassa tossicità un valore massimo della contaminazione superficiale rimovibile all’esterno dei colli di 0,4 Bq/cm2 ( 1 , 1 × 1 0- 5 mC i / c m2 ), mentre per i radionuclidi alfa emettitori a tossicità più elevata il predetto limite è pari a 0,04 Bq/cm2 ( 1 , 1 × 1 0- 6 mC i / c m2 ) . E’ opportuno specificare che, la tecnica di misurazione indiretta della contaminazione superficiale con la valutazione dell’attività rimovibile dalla superficie contaminata (tecnica dello “smear test”) non presenta una elevata accuratezza a causa, soprattutto, dell’incertezza del valore del fattore F di rimozione. Un esempio di calcolo, potrà essere utile per avere un ordine di grandezza dei dati di misura che possono essere indici di situazioni pericolose; esso è utile anche per verificare se la sensibilità di tale sistema di misura in dotazione ai Comandi Provinciali Vigili del Fuoco è in grado di poter rilevare situazioni pericol o s e . Supponiamo che si abbia una superficie contaminata con I1 3 1 e che sia stato misurato un fondo naturale di radiazioni: ( c . p . s . )f = 0,15 c.p.s.. Calcoliamo il numero di conteggi per secondo (c.p.s.)x c h e il campione dovrà dare per avere un valore di contaminazione superficiale rimovibile di 1 × 1 0- 4 mCi/cm2 . Si ricava: (c.p.s.)x – 0,15 1×10-4 · 3,7× 104 = , 0,07 ×100 × 0,1 cioè (c.p.s.)x = 3,7 · 7× 0,1 + 0,15 = 2,74 c.p.s.. Analogamente a quanto fatto in precedenza, può calcolarsi la sensibilità di tale sistema di misura. Si può ritenere che, in prima approssimazione quando venga strofinata una superficie di 100 cm2 , essa sia pari a 2,85 KBq/m2 (7,7 · 10-6 mCi/cm2 ). Pertanto, il predetto sistema di misura (catena beta), oltre ad essere versatile, può anche essere idoneamente utilizzato in interventi tesi alla valutazione della contaminazione superficiale rimovibile di beta e gamma emettitori (sono la maggior parte dei casi) alla superficie dei colli utilizzati nei trasporti aerei. ANTINCENDIO novembre 1996 31 La valutazione dell’equivalente di dose assorbita negli interventi In relazione alle modalità dell’incidente ed al modo con il quale la sostanza radioattiva viene dispersa nell’ambiente può variare il tipo di misure da eseguire e le conseguenti valutazioni dosimetriche. Nel caso di una sorgente radioattiva solida che emette raggi gamma e che ha conservato il grado di integrità anche dopo l’incidente, è sufficiente eff e t t u are la misura, o la valutazione, dell’intensità di esposizione per poter successivamente fare una stima approssimata dell’equivalente di dose assorbita dal personale intervenuto con la formula: H = I · 0,96 · t · Q; dove I è l’intensità di esposizione espressa in R/h, t il tempo di esposizione alle radiazioni valutato in ore, H rappresenta l’equivalente di dose assorbita valutato in rem, Q è il fattore di qualità che per i raggi gamma è pari ad 1 e 0,96 è un coefficiente che consente di passare da intensità di esposizione ad intensità di dose (tale coefficiente viene ottenuto moltiplicando 0,87 per 1,11 che rappresenta il valore medio alle varie energie del rapporto fra i coefficienti di assorbimento massico del tessuto umano e dell’aria). Qualora il radioisotopo abbia un tempo di dimezzamento fisico piccolo, e comunque comparabile con il tempo di esposizione alle radiazioni ionizzanti durante l’intervento, la predetta espressione diventa: 1 – e-l·t H = I · 0,96 · · Q; l dove l = 0,693/T1 / 2, è la costante di decadimento del radioisotopo, T1 / 2 è il suo tempo di dimezzamento fisico, espresso in ore e t è il tempo di esposizione alle radiazioni anch’esso espresso in ore. Supponiamo che durante un intervento in cui sia coinvolta una sorgente radioattiva solida sigillata di Co60, di attività pari 30 Ci ( 1 , 11 TBq), un Vigile del Fuoco stazioni per 15 minuti dietro un muro di mattoni, spesso 18,6 cm (schermo costituito da tre spessori di dimezzamento alle energie del Co60) e distante 8 m dalla sorgente, in attesa di programmare il recupero della sorgente radioattiva. In tale ipotesi, il Vigile del Fuoco assorbirà in questa fase dell’intervento un equivalente di dose assorbita pari a: H = 1,298 · 30/82 · 0,96 · 1/4 · 1/23 · 1 = 18,2 mrem (182 mSv); dove 1/4 rappresenta la frazione di ora di esposizione alle radiazioni, 1/23 è il fattore di attenuazione che si ha a causa della schermatura dei raggi gamma operata dal muro di mattoni e 1,298 R×m2 / ( h×Ci) è la costante gamma specifica k (vedi tabella 2) del Co60 . Invece, qualora in tale fase l’operatore non si fosse riparato dietro il muro, esso avrebbe assorbito un equivalente di dose pari a: H = 18,2 · 8 = 145,6 mrem (1,456 mSv). Per quanto concerne il valore dell’equivalente di dose assorbita dagli operatori in un incidente che possa dar luogo ad esposizione interna, esso può, in prima approssimazione, essere valutato con la seguente formula: H = C · F · Vresp.; dove, C è la concentrazione volumetrica del radioisotopo presente nell’ambiente espressa in Bq/m3 , Vresp. è il volume di aria contaminata introdotta nell’organismo dall’operatore, espresso in m3 ed F è il valore dell’equivalente di dose impegnata per unità di assunzione via inalazione espresso in Sv/Bq. Inoltre, nel D.L.vo 230/95 sono indicati i valori del limite annuale di introduzione (ALI), che rappresenta l’attività che, introdotta nell’organismo, comporta per l’individuo una dose impegnata pari al limite annuale appropriato. Nel predetto Decreto Legislativo vengono anche dati i Limiti derivati di concentrazione in aria (DAC) dei vari radionuclidi, cioè le concentrazioni medie in aria dei vari radionuclidi, espresse in unità di attività per unità di volume, che, in un determinato periodo di esposizione, comportano un’introduzione per inalazione pari al limite di introduzione annuale ovvero comportano per il cristallino o la pelle un equivalente di dose pari al pertinente limite. Tali valori si riferiscono a situaANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 32 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE zioni ambientali normali che possono essere tollerate, in quanto comportano che, in un determinato periodo di tempo, l’equivalente di dose assorbita si mantenga inferiore a livelli che danno luogo a rischi ritenuti dal legislatore accettabili. Durante un incidente, possono essere presenti per un limitato periodo di tempo valori superiori a quelli indicati negli allegati del D.L.vo 230/95. Infatti, ad esempio, se si suppone che durante l’incendio di un laboratorio, di volume 100 m3 , di un ospedale dove vengono effettuate analisi di tipo radioimmunologico (ad esempio, scintigrafia alla tiroide) vengano dispersi nell’ambiente in modo uniforme 37 MBq (10 mCi) di I131, si avrà che la concentrazione volumetrica di I131 sarà pari a 370 KBq/m3 (100 mCi/m3 ); nella tabella IV. 1 del
D.L.vo 230/95 è indicato che per lo I131 il limite derivato di concentrazione in aria per i lavoratori esposti è molto inferiore ed è pari a 0,7 KBq/m3 . Nell’ipotesi che un Vigile del Fuoco durante le operazioni di soccorso sia rimasto nel locale contaminato per trenta minuti, in assenza di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, il valore dell’equivalente di dose assorbita nell’intervento, a causa dell’esposizione interna, dall’operatore sarà approssimativamente di: Hint. = 3,7 · 105 · 7,4 · 10-9 · 1,5/2 = 1 mSv (100 mrem); nell’espressione 7,4 · 10- 9 Sv/Bq è il valore restrittivo dell’equivalente di dose impegnata per unità di assunzione via inalazione per lo I131; inoltre, nel calcolo è stato ipotizzato che il Vigile del Fuoco abbia avuto un’attività respiratoria media durante l’intervento di 36 m3 di aria al giorno, cioè di 1,5 m3 /h. E’ utile sapere che, in condizioni normali, un adulto inala in media un quantitativo di aria 22,2 m 3 a l giorno, secondo quanto indicato nella pubblicazione n. 66 dell’anno 1994 della International Commission on Radiological Protection (ICRP) “Human respiratory tract model for radiological protection”. In tale caso, il Vigile del Fuoco è anche sottoposto ad esposizione esterna a causa della presenza della nube radioattiva che lo circonda. L’equivalente di dose assorbita per esposizione esterna, è valutato con l’espressione: Hest. = C · F1 ; dove, C è la concentrazione del radioisotopo nell’ambiente, espressa in Bq/m3 , ed F1 è il valore del rateo dell’equivalente di dose efficace giornaliera da esposizione esterna da nube per concentrazione unitaria del radionuclide, espresso in Sv · Bq-1 · m3 · d-1 (i valori relativi ai vari radioisotopi sono riportati nel rapporto sugli effetti e rischi delle sorgenti di radiazioni ionizzanti pubblicato nell’anno 1988 dalla UNSCEAR). Quindi, l’equivalente di dose assorbita nell’intervento descritto è pari a circa: Hest. = 3,7 · 105 · 1,44 · 10-9 · 1/48 = 11,1 mSv (1,11 mrem); dove, 1/48 è la frazione giornaliera del tempo di esposizione (30 minuti) alla nube ipotizzato per l’operatore ed 1,44 · 10-9 Sv · Bq-1 · m3 · d-1 è il valore del suddetto rateo F1 per lo I131 . L’esposizione totale alla quale è stato sottoposto il Vigile del Fuoco durante l’intervento, sarà pari a: Htot. = Hint. + Hest. = 100 + 1,11 = 101,11 mrem (1,01 mSv); Come può notarsi, a conferma di quanto affermato in precedenza, l’equivalente di dose assorbita per esposizione interna è di gran lunga maggiore di quello per esposizione esterna. Infine, si vuole effettuare un calcolo, per dare un ordine di grandezza, dell’equivalente di dose assorbita da esposizione esterna prodotta da una superficie uniformemente contaminata da un radionuclide. Come già affermato tale tipo di contaminazione può prevalentemente dar luogo a significative contaminazioni ambientali, e conseguentemente a rischio di esposizione interna per il personale di intervento, a seguito della risospensione in aria del radionuclide, mentre non desta particolare preoccupazione per l’entità dell’esposizione esterna a causa dei livelli di intensità di esposizione prodotti nell’ambiente. Comunque, in entrambi i casi i valori dell’equivalente di dose assorbita per esposizione interna ed esterna provocati dalla contaminazione superficiale rimovibile di un radionuclide non destano particolare preoccupazione. Nel seguito, si effettua il calcoANTINCENDIO novembre 1996 37 lo dell’equivalente di dose assorbita da esposizione totale al quale si sottopone un Vigile del Fuoco durante un ipotetico intervento, della durata di 60 minuti, in un ambiente dove sia presente una superficie uniformemente contaminata con Cs134, avente un valore della contaminazione superficiale rimovibile di 1×10-4 mCi/cm2 (37 KBq/m2 ). In tale situazione, l’equivalente di dose assorbita per esposizione esterna, è valutato approssimativamente con l’espressione: Hest. = Csup. · F2 ; dove, Cs u p . è il valore della contaminazione superficiale rimovibile espressa Bq/m2 ed F2 è il valore del rateo dell’equivalente di dose efficace giornaliera da esposizione esterna da contaminazione superficiale unitaria del radionuclide, espresso in Sv · B q-1 · m2 · d-1 (i valori relativi ai vari radioisotopi sono stati pubblicati dal National Radiological Protection Board (NPRB) nell’anno 1986). Quindi, l’equivalente di dose assorbita nell’intervento descritto è pari a circa: Hest. = 3,7 · 104 · 1,1 · 10-10 · 1/24 = 0,17 mSv (17 mrem); dove, 1/24 è la frazione giornaliera del tempo di esposizione (60 minuti) alla superficie uniformemente contaminata ipotizzato per l’operatore ed 1,1 · 10-10 Sv · Bq-1 · m2 · d-1 è il valore del predetto rateo F2 per il Cs134 . Per quanto concerne il valore dell’equivalente di dose assorbita dagli operatori a causa dell’esposizione interna, esso può, in prima approssimazione, essere valutato con la seguente formula: Hint. = K · Csup. · F · Vresp.; dove, K è il fattore di risospensione pari a 1·10-5 m-1, Csup. è il valore della contaminazione superficiale rimovibile, espressa Bq/m2 , Vresp. è il volume di aria contaminata introdotta nell’organismo dall’operatore espresso in m3 , ed F è il valore dell’equivalente di dose impegnata per unità di assunzione via inalazione espresso in Sv/Bq. Dalla predetta espressione, si ricava: Hint. = 1·10-5 · 3,7 · 104 · 6,6 · 10-9 · 1,5/1 = 3,7 nSv (0,37 mrem); nell’espressione, 6,6 · 10- 9 Sv/Bq è il valore restrittivo dell’equivalente di dose impegnata per unità di assunzione via inalazione per il Cs1 3 4; inoltre, nel calcolo è stato ipotizzato che il Vigile del Fuoco abbia avuto un’attività respiratoria media durante l’intervento di 36 m3 di aria al giorno, cioè di 1,5 m3 /h. L’ e s p o s i z i one totale alla quale è stato sottoposto il Vigile del Fuoco durante l’intervento, sarà pari a: Htot. = Hint. + Hest. = 0,37 + 17 = 17,37 mrem (173,7 nSv); Come può notarsi, in tale tipo di intervento l’operatore è soggetto a limitatissimo rischio, in quanto il valore dell’equivalente di dose assorbita risulta molto basso. In definitiva, com’era già noto, può affermarsi che negli interventi in presenza di sostanze radioattive che in pratica possono presentarsi, i valori più elevati dell’equivalente di dose assorbita si hanno nei casi di esposizione esterna, a causa di sorgenti solide sigillate aventi valori dell’attività dell’ordine di qualche Curie e nel caso di incendio di un’attività che coinvolge sostanze radioattive. I calcoli effettuati in precedenza hanno avuto unicamente lo scopo di fornire agli operatori l’ordine di grandezza dell’equivalente di dose assorbita che bisogna ragionevolmente aspettarsi ed al quale sarà sottoposto il personale nell’intervento; in questo modo, sarà possibile programmare le necessarie azioni in modo da evitare, quanto più possibile, il superamento dei limiti dell’equivalente di dose assorbita ed, in ogni caso, ripartire in modo equo l’assorbimento di radiazioni fra tutti i soccorritori impegnati nell’occasione. Le dosi massime ammissibili per il personale VV.F. durante gli interventi Come già detto in precedenza, le possibilità di intervento che i Vigili del Fuoco sono chiamati ad effettuare nel settore dell’impiego dell’energia nucleare sono molteplici. Da un punto di vista legislativo, la classificazione ai fini della radioprotezione di questi lavoratori non ha finora avuto una precisa collocazione. Con l’emanazione del Decreto Legislativo 17/03/95 n. 230 (pubANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 38 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE blicato nel Supplemento ordinario n. 74 alla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 13/06/95), tale situazione dovrebbe essere al più presto definitivamente chiarita, in quanto all’art. 74 di tale decreto legislativo viene indicato che per i soccorritori di protezione civile (ad esempio, i Vigili del Fuoco) saranno stabiliti le modalità ed i livelli di esposizioni di emergenza con apposito decre
to del Ministro dell’Interno. Al riguardo, si ricorda che il predetto decreto legislativo definisce l’esposizione di emergenza come “esposizione giustificata in condizioni particolari per soc – correre individui in pericolo, pre – venire l’esposizione di un gran numero di persone o salvare una installazione di valore e che pro – voca il superamento di uno dei limiti di dose fissati per i lavora – tori esposti”. Pertanto, per meglio inquadrare l’attuale quadro legislativo si è ricondotti a valutare la posizione dei “lavoratori esposti”. Il D.L.vo 230/95 definisce i lavoratori esposti quelle “ p e r s o n e sottoposte, per l’attività che svol – gono, ad un’esposizione che può comportare dosi superiori ai pertinenti limiti fissati per le per – sone del pubblico. Sono lavora – tori esposti di categoria A i lavo – ratori che, per il lavoro che svol – gono, sono suscettibili di riceve – re in un anno solare una dose superiore ad uno dei pertinenti li – miti stabiliti; gli altri lavoratori esposti sono classificati di cate – goria B.”. E’ evidente come i Vigili del Fuoco, che sono deputati nella loro attività istituzionale a svariati compiti in aggiunta a quelli derivanti dall’impiego dell’energia nucleare, non possono essere tutti classificati lavoratori esposti. Tuttavia, qualora all’interno del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco venisse individuato del personale destinato ad essere specificatamente impegnato in interventi in presenza di sostanze radioattive, tali operatori potrebbero essere classificati lavoratori esposti. Pertanto, nelle more dell’emanazione del predetto decreto ministeriale, che dovrà definire le modalità ed i livelli di esposizione di emergenza da adottare per i Vigili del Fuoco, e che si auspica fornisca anche utili indicazioni per individuare e classificare i lavoratori esposti del C . N . V V. F., potrebbero attualmente applicarsi ai Vigili del Fuoco, per analogia, i limiti dell’equivalente di dose stabiliti per i “lavoratori esposti”. Il D.L.vo 230/95 ha stabilito per i lavoratori esposti, sia il limite di equivalente di dose per esposizione globale, sia il limite per l’equivalente di dose efficace, indicando in entrambi i casi un valore di 100 mSv (10 rem) in cinque anni solari consecutivi qualsiasi, con l’ulteriore condizione che non venga superato il limite di 50 mSv (5 rem) in un anno solare. Quindi, attualmente, per i Vigili del Fuoco la pianificazione dell’intervento potrebbe essere attuata in modo da non superare il limiti dell’equivalente di dose assorbita previsti per i lavoratori esposti. In situazioni particolari di emergenza quali, ad esempio: a) salvataggio di vite umane o soccorso a persone per la limitazione di danni fisici; b) azioni tese ad evitare l’esposizione di un gran numero di persone; c) azioni mirate ad evitare lo svilupparsi di condizioni catastrofiche. In tali casi, il personale dei Vigili del Fuoco, anche ai sensi di quanto disposto in forma generale dall’art. 1 della legge 469/61, potrebbe essere sottoposto ad una “esposizione eccezionale c o n c o r d a t a ” (il D.L.vo 230/95 la definisce come un’esposizione che comporta il superamento di uno dei limiti di dose annuale fissati per i lavoratori esposti; essa è ammessa in via eccezionale). Tuttavia, poiché l’operatore in tale circostanza potrebbe assorbire valori dell’equivalente di dose suscettibili di provocare seri danni al suo organismo, egli deve volontariamente dichiararsi disponibile e deve ricevere un’informazione completa sui rischi e sulle precauzioni da adottare nel corso dell’intervento in questione. Dalle considerazioni fin qui svolte, è evidente che la conoscenza dell’equivalente di dose assorbita dal personale durante un intervento è importante per stabilire se un operatore, che ha già assorbito radiazioni in precedenti occasioni possa nuovamente, entro un determinato intervallo di tempo, essere chiamato ad eseguire interventi in presenza di sostanze radioattive. ANTINCENDIO novembre 1996 39 Il servizio dosimetrico del C.N.VV.F. Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, tramite il Laboratorio di Difesa Atomica del Centro Studi ed Esperienze, gestisce un servizio dosimetrico per il controllo dell’equivalente di dose assorbita dal personale (Circ. n. 15 M.I.S.A. (84) del 03/05/84) che utilizza dosimetri a termoluminescenza al fluoruro di litio (TLD 100); tali dosimetri sono costituiti da “card” di forma rettangolare di dimensioni (4,3 · 3,1) cm nelle quali sono contenuti due piccolissimi cristalli di LiF di dimensioni (3,17 · 3,17 · 0,89) mm. I materiali termoluminescenti restituiscono, se opportunamente riscaldati, parte dell’energia assorbita dalla radiazione ionizzante incidente sotto forma di l u c e . Questo fenomeno permette di misurare con buona precisione la dose assorbita dal dosimetro, e quindi quella del Vigile del Fuoco che deve sempre indossarlo durante gli interventi con presenza di radiazioni ionizzanti; le misure sono eseguite con una particolare apparecchiatura di lettura che identifica i dosimetri mediante l’uso di una sorgente luminosa. Tale macchina fornisce automaticamente il valore dell’equivalente di dose assorbita dal personale di intervento se viene opportunamente inserito il coeff iciente di taratura di conversione dei nC ai mSv; tale coeff i c i e n t e viene valutato sperimentalmente irraggiando periodicamente i dosimetri in camera calda a valori crescenti di dose noti ed ottenuti tramite l’utilizzo di sorgenti radioattive campioni. I valori dell’equivalente di dose assorbita misurati, che vengono comunicati ai Comandi Provinciali ed al Servizio Sanitario dei Vigili del Fuoco, sono archiviati. Si ricorda che i dosimetri a termoluminescenza forniscono solamente la misura dell’equivalente di dose assorbita per esposizione esterna dal personale nell’intervento e non danno, invece, indicazioni sui valori dell’equivalente di dose assorbita per esposizione interna. La decontaminazione del personale Si danno adesso delle brevi indicazioni sul comportamento da tenere nel caso che durante un incidente che coinvolge delle sostanze radioattive, ad esempio un incendio, avvenga la contaminazione del personale di intervento a causa, o del deposito dei vapori del radioisotopo sulle parti del corpo eventualmente scoperte (mani, capelli, ecc.), o dell’inalazione, o dell’ingestione accidentale della sostanza (gli ultimi due casi sono ovviamente i più gravi). Quando la sostanza radioattiva dopo l’incidente si è depositata all’esterno del corpo, occorre assolutamente evitare che passi all’interno dell’organismo, per ingestione accidentale, per inalazione o attraverso la pelle; inoltre, occorre anche adottare le dovute cautele per impedire il trasferimento della contaminazione all’ambiente o ad altre persone. Quindi, è necessario effettuare al più presto la decontaminazione della persona possibilmente sul posto eseguendo un accurato lavaggio della superficie di pelle contaminata con acqua abbondante sapone detergente. E’ particolarmente importante evitare che, durante tale fase si producano abrasioni e/o ferite sulla pelle che potrebbero condurre ad una immissione della sostanza radioattiva all’interno del corpo. Al termine di tale azione, occorre verificare la presenza residua di contaminante con gli strumenti in dotazione, ad esempio con la sonda F 118 Bg, ed eventualmente procedere nuovamente al lavaggio di quelle parti rimaste ancora contaminate; inoltre, gli indumenti indossati devono essere posti in contenitori, ad esempio di polietilene, e trattati come rifiuti radioattivi. In caso di ferite contaminate, dovrà attuarsi, in aggiunta alle normali procedure di pronto soccorso, il lavaggio con acqua abbondante di ogni ferita sospetta di essere contaminata. In tale fase, si favorirà la fuoriuscita di sangue dalla ferita al fine di evitare quanto più possibile l’incorporazione del radionuclide. Nel caso che la sostanza radioattiva penetri nell’organismo umano, bisognerà anche prestare particolare attenzione alla tossicità dell’elemento (ad esempio, il plutonio è fortemente radioto
ssico). In tale situazione (contaminazione interna dell’individuo), per stabilire l’entità della contaminazione subita, dovranno quanto prima eseguirsi esami mirati alla valutazione dell’attività del radioisotopo incorporato, per indiviANTINCENDIO novembre 1996 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE 40 INTERVENTI IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE duare i provvedimenti tempestivi da intraprendere a salvaguardia dell’integrità dell’individuo. Pertanto, la persona dovrà essere sottoposta ad esami radiotossicologici delle urine ed a misure di spettrometria gamma al corpo intero tramite il Whole Body Counter (W.B.C.). Per completezza si danno adesso alcune informazioni sui danni che possono provocare le radiazioni quando vengono assorbite dall’organismo umano. Essi possono essere classificati principalmente in tre categorie: – danni somatici non stocastici (o graduati); – danni somatici stocastici (o probabilistici); – danni ereditari. I danni somatici non stocastici si manifestano a breve tempo dall’irradiazione che ha comportato l’assorbimento di equivalenti di dose elevati. Pertanto, queste lesioni si possono produrre durante l’effettuazione di interventi di particolare gravità. Per avere un ordine di grandezza, è utile sapere che il valore dell’equivalente di dose al corpo intero che produce il 50% di morti a 30 giorni dall’irradiazione acuta è pari a circa 4 Sv (400 rem). Invece, i danni somatici stocastici possono aversi dopo l’assorbimento di equivalenti di dose di varia entità (piccoli o grandi, cioè non mostrano una soglia di dose al di sotto della quale sicuramente non si verificano) e danno luogo all’insorgenza di tumori maligni con frequenza che dipende, sia della quantità di radiazioni, sia dalla superficie investita del corpo umano. I danni ereditari sono quelli che si manifestano nelle future generazioni e non nell’individuo direttamente irradiato. L’azione di prevenzione dei Vigili del Fuoco Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, in aggiunta all’azione di protezione a seguito di incidenti, svolge anche compiti di prevenzione nel settore dell’energia nucleare; al riguardo, non è superfluo sottolineare che una efficace azione di prevenzione può già considerarsi una misura di protezione. Infatti, il C.N.VV. F. ha come compito istituzionale, nello specifico settore della radioattività, quello della prevenzione degli incendi. Tale incarico si esplica nel controllo delle attività, comprese nei seguenti punti dell’elenco del Decreto del Ministro dell’Interno 16/02/1982, soggette ai controlli di prevenzione incendi: punto 75 istituti, laboratori, stabilimenti e reparti in cui si effettuano, anche saltuariamente, ricerche scientifiche o attività industriali per le quali si impiegano isotopi radioattivi, apparecchi contenenti dette sostanze ed apparecchi generatori di radiazioni ionizzanti (art. 3 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860 ed art. 102 del D.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185, adesso art. 27 del D.L.vo 230/95); punto 76 – esercizi commerciali con detenzione di sostanze radioattive (capo IV del D.P.R. 13 febbraio 1964 n. 185, adesso capo VI del D.L.vo 230/95); punto 77 autorimesse di ditte in possesso di autorizzazione permanente al trasporto di materie fissili speciali e di materie radioattive (art. 5 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860 sostituito dall’art. 2 del D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704); punto 78 impianti di deposito delle materie nucleari, escluso il deposito in corso di spedizione (individuati anche all’art. 33 del D.L.vo 230/95); punto 79 impianti nei quali siano detenuti combustibili nucleari o prodotti o residui radioattivi (art. 1, lettera b, della legge 31 dicembre 1962, n. 1860 – individuati anche al capo VII del D.L.vo 230/95); punto 80 impianti relativi all’impiego pacifico dell’energia nucleare ed attività che comportano pericoli di radiazioni ionizzanti derivanti dai predetti impieghi (individuati anche al capo VII del D.L.vo 230/95): a) impianti nucleari; b) reattori nucleari, eccettuati quelli che facciano parte di un mezzo di trasporto; ANTINCENDIO novembre 1996 41 c) impianti per la preparazione o fabbricazione delle materie nucleari; d) impianti per la separazione degli isotopi; e) impianti per il trattamento dei combustibili nucleari irradianti. L’analisi generale di prevenzione incendi, nelle predette attività, consiste nell’individuare le possibili cause di un incendio, prevedere quali siano gli eventi capaci di compromettere le protezioni poste a salvaguardia dell’attività, quindi delle persone, e conseguentemente, intraprendere provvedimenti atti a scongiurare, con largo margine di sicurezza, il verificarsi degli incidenti previsti. In particolare, per quanto riguarda gli impianti nucleari, la prevenzione incendi viene eff e ttuata in due momenti diversi: – in un primo tempo in sede di esame dei singoli progetti particolareggiati nella Commissione Tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria di cui all’art. 9 del D.L.vo 230/95, ove sono sempre presenti esperti in materia di sicurezza nucleare, di protezione sanitaria dalle radiazioni ionizzanti e di difesa antincendio; – in un secondo tempo da parte del Comando Provinciale dei Vi g i l i del Fuoco in quanto, come precedentemente affermato, tali impianti sono compresi nell’elenco delle attività contemplate dal D.M. 16.02.1982 e necessitano, quindi, del rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi previsto dalla legge 966/65 e dal D . P. R . 5 7 7 / 8 2 . Sugli impianti quindi, vengono disposte, da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco competente per territorio, periodiche visite di controllo al fine di verificare anche se i manufatti e le attrezzature a disposizione dell’impianto consentono, in qualsiasi momento, ai soccorritori l’effettuazione di un intervento rapido, sicuro ed efficace. Si sottolinea che in tali attività la possibilità di un intervento rapido, sicuro ed efficace non è stato in passato sempre possibile come, ad esempio, in occasione dell’incidente alla centrale elettronucleare inglese di Browns Ferry, dove, a causa d e l l ’ i n e fficienza delle soluzioni tecniche relative alla prevenzione incendi, l’intervento di estinzione da parte dei Vigili del Fuoco, nonostante la loro presenza immediata, dovette essere ritardato di alcune ore. Contemporaneamente, particolare cura viene data alla verifica di tutte le misure antincendio, predisposte per la sicurezza dell’impianto e la salvaguardia delle persone, affinché mantengano inalterata nel tempo la loro e fficacia. In definitiva l’incendio, pur non costituendo nelle attività predette la principale fonte di pericolo, può però rappresentare il primo anello di una catena incidentale che potrebbe condurre ad eventi dannosi dalle gravi conseguenze per l’incolumità della popolazione. ANT
GLI INTERVENTI DEI VIGILI DEL FUOCO IN PRESENZA DI SOSTANZE RADIOATTIVE
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