Le operazioni di ricarica delle batterie dei carrelli elettrici rappresentano uno dei fattori di rischio di incendio/esplosione solitamente meno controllati negli stabilimenti industriali e nei depositi.
La ragione può essere in buona parte individuata nel fatto che l’entità dell’evento potenzialmente sfavorevole risulta ben limitata, se confrontata con altri più importanti fattori di incendio od esplosione.
Poiché la misurazione di un fattore di rischio consiste nel dare un valore alle 2 dimensioni che lo definiscono attraverso il loro prodotto, cioè la frequenza e la gravità (o magnitudo del danno), si può senz’altro dire che le operazioni di ricarica delle batterie presentano una frequenza estremamente bassa, an-
che se a fronte di elevati potenziali di grado di danno (elevati specialmente quando le postazioni sono ubicate in aree con grandi concentrazioni di valori e non sono validamente separate da esse).
Tuttavia, se pure si può convenire sulla pericolosità relativamente contenuta delle operazioni di ricarica, non si può che restare sorpresi dal frequente riscontro della non conoscenza dei fenomeni che possono innescarsi, proprio a seguito delle operazioni stesse, da parte di molti operatori ed utenti.
Questa non sufficiente conoscenza spesso porta a non identificare o a non valutare bene il rischio esistente. Altre volte porta
Il fattore di rischio di incendio/esplosione nella fase di ricarica delle batterie dei carrelli elettrici negli stabilimenti industriali è solitamente sottovalutato.
L’entità dell’evento potenzialmente sfavorevole risulta infatti limitato,se paragonato con altri più importanti.
ad interventi non correttamente dimensionati o inutili.
Nella mia personale esperienza di lavoro mi é capitato di vedere stazioni di ricarica batterie di carrelli elettrici per le quali erano stati appositamente creati dei locali compartimentati, ma piccoli volumetricamente e non areati (cosa che aggrava il rischio anziché controllarlo); altre volte locali dotati di piccoli impianti automatici di estinzione (boccioloni contenenti
polvere estinguente, ad apertura comandata da bulbi a liquido termo-sensibile, installati sopra le apparecchiature di ricarica, che rappresentano protezioni poco adatte al caso, come si vedrà più avanti).
In questa breve relazione si trala-sciano molti approfondimenti tecnici sul generale processo elettro-
chimico di ricarica delle batterie, mentre si pone l’attenzione, in modo più approfondito, sui fenomeni di esplosione e incendio che possono innescarsi e sulle conseguenti misure di prevenzione da adottare per evitare l’evento dannoso.
PbSO4 + 2H2O
PbO2 + HSO4- + H3O+ + 2e (Anodo)
PbSO4 + 2H2O + 2e Pb + SO4 (Catodo)
schema 1
Generalità sul processo di ricarica ed introduzione ai pericoli che esso comporta
I pericoli connessi alle operazioni di ricarica delle batterie dei carrelli elettici sono, nel generale, quelli relativi alla ricarica degli accumulatori al piombo, mediante processi elettroliti-ci, con fornitura di energia elettrica. L’operazione di ricarica delle batterie è infatti un processo elettrolitico che avviene nell’accumulatore; processo attivabile mediante un gruppo convertitore di corrente elettrica, da alternata in continua, capace, agendo sulla batteria scarica, di ripristinare il potenziale energetico originario. Il sistema per l’at-tivazione del processo di ricarica consiste in sequenza di:
- un trasformatore di tensione
- un gruppo convertitore di corrente da alternata in continua (raddrizzatore)
- un sistema di cavi flessibili per le connessioni del gruppo convertitore agli elettrodi della batteria
- una batteria di accumulatori da ricaricare
Il processo di elettrolisi che avviene all’interno degli accumulatori può essere descritto nel modo seguente.
L’elettrodo positivo, nelle batterie, è costituito da un supporto a griglia (solitamente in lega a base piombo e antimonio) contenente biossido di piombo (PbO2); l’elettrodo negativo da un supporto a griglia contenente polvere di piombo o anche piombo spugnoso.
L’elettrolito è acido solforico (H2SO4) diluito in acqua distillata (soluzione al 30-35%).
Durante il funzionamento del carrello, ovvero durante la fase di scarica, ad entrambi gli elettrodi si forma solfato di piombo (Pb-SO4).
Durante la ricarica della batteria si rigenera agli elettrodi la sostanza primitiva (PbO2 e Pb spugnoso) mediante apporto di energia elettrica.
Quando si effettua la ricarica, riempiendo la batteria di acqua distillata, l’apporto di energia elettrica innesca le reazioni indicate nello schema 1.
Esse ripristinano le condizioni iniziali di accumulatore carico mediante i 2 processi di ossidazione e di riduzione del piombo nel solfato in soluzione.
Quando tutto il solfato di piombo è trasformato, o è vicino alla trasformazione, l’apporto di energia elettrica prosegue attivando la reazione chimica dell’acqua distillata (si ha la cosiddetta “elet-trolisi dell’acqua” o anche “ebolli-zione dell’elettrolita”)(schema 2).
In tal modo si liberano idrogeno ed ossigeno, con il conseguente rischio di esplosione chimica dovuto ad accumuli localizzati di idrogeno in miscela in aria arricchita in ossigeno.
L’operazione della ricarica delle batterie è effettuata solitamente a fine giornata di lavoro o a fine settimana, ed è spesso condotta operando una ricarica a fondo, ovvero gli operatori lasciano gli accumulatori, pressoché scarichi, in ricarica durante tutto il periodo di chiusura.
2H2O + En.Elettrica (non utilizzata in elettrolisi)
2H2 + O2
Nelle ricariche a fondo sono presenti i maggiori pericoli poiché si hanno più facilmente processi di emissione di idrogeno, prodotto dalla reazione dell’acqua distillata alimentata dall’energia elettrica in surplus per l’elettrolisi.
Gran parte delle apparecchiature oggi sul mercato (in generale tutte le batterie da trazione ad elettrolita non gelificato) dosano l’entità della corrente in funzione dello stadio di ricarica, cioè sono a corrente decrescente (fig. 1), e tendono a non procedere ulteriormente quando la ricarica è ultimata.
Esse sono dotate di dispositivi automatici di scollegamento del circuito (fig. 2), capaci di interrompere la fornitura di energia elettrica a ricarica ultimata, evitando che l’energia in surplus vada a produrre la completa dissociazione dell’acqua distillata liberando idrogeno ed ossigeno. Sono tali dispositivi a qualificare un sistema di ricarica rendendone più sicure le operazioni.
I dispositivi possono essere dei semplici temporizzatori, che staccano la corrente dopo un tempo prefissato supposto utile per completare la carica, o dei relé di apertura del circuito a ricarica effettuata, o ancora sofisticati microprocessori capaci di valutare lo stadio di carica e do-sare la fornitura energetica di conseguenza.
Le emissioni di idrogeno sono quindi funzione anche dei sistemi di carica, che possono limitarle in parte maggiore o minore secondo il tipo, ma mai evitarle totalmente quando giungono in prossimità delle fasi finali della ricarica a fondo e la fornitura di energia elettrica è superiore a quella necessaria al completamento del processo di elettrolisi.
Il surplus energetico può variare, secondo il sistema di carica, da pochi punti percentuali a qualche decina di punti percentuali in aggiunta all’energia di ricarica.
La parte esuberante attiva la dissociazione dell’acqua distillata; infatti la fornitura di energia per la ricarica è maggiore della quantità ceduta dagli accumulatori con la scarica, pur considerando la parte dovuta alle inevitabili dispersioni energetiche implicite nel sistema. Ad ogni modo i dispositivi di scollegamento permettono di aprire il circuito non appena terminato il periodo transitorio della carica, evitando che si abbia la reazione di tutta l’acqua distillata presente. Da alcuni anni si realizzano sistemi di gestione delle ricariche “a rabbocco centra-lizzato” che, attraverso delle canalizzazioni, consentono sia di effettuare il rabbocco mediante un circuito chiuso, sia di raccogliere le emissioni gassose e convogliarle in un sistema di aereazione forzata. Questo consente un forte abbattimento dei rischi di esplosione. Il processo chimico elettrolitico esaminato comporta il rischio più significativo, se non altro per la sua tipicità, collegabile alle stazioni di ricarica delle batterie, ovvero quello di esplosione dovuto ad emissioni di idrogeno durante la fase della ricarica.
Al pericolo appena esaminato si aggiungono poi i rischi derivanti dagli eventuali guasti elettrici che possono aversi durante la ricarica e la possibilità che essi inneschino di conseguenza incendi. In conclusione i pericoli dell’operazione di ricarica delle batterie sono schematizzabili in 2 ordini di fenomeni:
- possibili guasti di natura elettrica e conseguenti rischi di incendio.
- possibili emissioni di idrogeno in ambiente, che comportano rischio di esplosione e conseguente incendio in caso di presenza di materiali combustibili vicini.
Il rischio derivante da guasti elettrici
Sebbene le potenziali emissioni di idrogeno sono il pericolo che maggiormente preoccupa nelle operazioni di ricarica delle batterie, non è affatto da sottovalutare il rischio dovuto a possibili guasti elettrici ed ai conseguenti fenomeni di pirolisi dei cavi o di combustione di eventuali materiali vicini che possono essere innesca-ti. I fenomeni elettrici che possono essere all’origine del danno sono ascrivibili alle seguenti cause:
- i possibili guasti elettrici che avvengono durante i periodi di ricarica delle batterie: essi presentano le stesse frequenze -significative e dipendenti dalla qualità dell’impianto – del cosiddetto “rischio elettrico” per cortocircuito, sovratensione, ecc., con l’aggravamento di avvenire a stabilimento chiuso e senza presenza di personale in loco pronto all’intervento (la ricarica delle batterie avviene solitamente proprio durante i momenti di fermo attività);
- i fenomeni imputabili ai collegamenti delle batterie alle forniture elettriche: i collegamenti sono effettuati mediante cavi flessibili, con connessioni mobili, soggette agli aggravamenti perguasti elettrici dovuti a surriscaldamenti dei morsetti, a contatti incerti od anche all’usura superiore rispetto alle condizioni di lavoro dei collegamenti fissi tradizionali; inoltre si possono avere cortocircuitazioni dei terminali degli accumulatori in carica se, inavvertitamente, un qualunque oggetto metallico o conduttore finisca su essi; la cosa si traduce in surriscaldamenti, fusioni ed inneschi delle sostanze combustibili eventualmente presenti;
- l’elettrolita degli accumulatori al piombo è acido solforico (H2SO4) diluito in acqua distillata; pertanto si potrebbe avere formazione di vapori e gocce di acido nell’ambiente (il problema è meno sentito per batterie del tipo a vasi chiusi) con conseguente deterioramento, anche se lieve, di apparecchiature elettriche e isolamenti; tutto ciò comporta l’aumento dei rischi di guasti elettrici;
- i possibili guasti tipici dei raddrizzatori: ovvero le scariche inverse (back-fires) che comportano la perdita delle proprietà, delle valvole del circuito, di condurre la corrente in un verso solo; ciò si risolve in un corto circuito interno (negli apparecchi di oggi, realizzati in plastica testata in resistenza a calore, fuoco, correnti superficiali e solitamente di classe VO a norme UL alla prova di autoestinguenza, non si hanno conseguenze di incendio ma solo di fumo); in generale questo rischio è trascurabile, rispetto ai punti precedentemente esaminati.
Il rischio di esplosioni
Il rischio di esplosioni – come visto – è connesso alla possibilità che durante il processo di ricarica si abbia liberazione di idrogeno per effetto della dissociazione dell’acqua distillata con cui si riempiono le batterie.
L’idrogeno, che è gas altamente combustibile, può così originare pericolose sacche di miscele con aria potenzialmente esplosive.
Lo sviluppo dell’idrogeno è maggiore durante la fase finale di carica, come detto, quando la maggior parte dell’energia elettrica assorbita va a decomporre l’acqua dell’elettrolita.
E’ quindi nelle ricariche a fondo, con “ebollizione” dell’elettro-lita, che si arriva ad una notevole produzione di idrogeno, e possibile formazione di atmosfere pericolose.
Le ragioni che fanno accadere facilmente le esplosioni in ambienti in cui sia presente una certa quantità di miscela aria-idrogeno sono le seguenti:
- l’accensione della miscela aria-idrogeno richiede basse energie di innesco (ordine di alcune decine di millijoule) e pertanto le sorgenti di attivazione potrebbero essere diverse: scintille dovute a cariche elettrostatiche, impianti elettrici e di illuminazione, superfici calde introdotte in ambiente, frizioni ed attriti, ecc.;
- le concentrazioni di idrogeno
in aria presentano un ampio campo di reazione (i limiti inferiore e superiore di infiammabilità dell’idrogeno in aria: sono del 4% e del 75%, a condizioni ambiente di pressione e temperatura) che si accresce sensibilmente con l’arricchimento in ossigeno dell’aria stessa, ossigeno prodotto sempre dalla decomposizione dell’elettrolita. La pericolosità dell’evento è ac-
cresciuta dal fatto che la reazione chimica che genera l’esplosione è fortemente esotermica e quindi può a sua volta innescare un incendio sulle eventuali concentrazioni di sostanze combustibili vicine (Tab. 1). Le emissioni di idrogeno dipendono, come già visto, dalla qualità del sistema di carica.
E’ stato detto dei dispositivi di dosaggio e interruzione della corrente in funzione dello stato di ricarica, che limitano i periodi di emissioni gassose. E’ stato detto anche dei recenti sistemi a rabbocco automatico con raccolta dei gas in emissione e relativo allontanamento. Si segnala ora che molti carrelli transelevatori montano oggi batterie di tipo a vasi chiusi o ermeutiche, regolate da valvole e tappi filtranti capaci di ridurre, in parte significati-
va, i rilasci di gas nell’ambiente. Solo quando la pressione inter-
na supera certe soglie, le valvole si aprono per far effluire le emissioni gassose, che vengono ridotte quantitativamente per mezzo di un sistema di ricombinazio-ne dell’ossigeno; non si ottengono però riduzioni per la produzione di idrogeno (i vantaggi delle batterie di tipo chiuso sono più sensibili nel campo dell’infortuni-stica). I rischi di esplosione per tali batterie sono quindi un po’ più contenuti rispetto ai modelli a celle aperte, che tuttavia sono abbastanza comuni tra le aziende utilizzatrici di carrelli elettrici transelevatori.
Provvedimenti: metodologia e corretta installazione delle stazioni di ricarica delle batterie
I provvedimenti sono divisi su 2 ordini di interventi:
- – le misure di prevenzione, ovvero l’attuazione di quelle iniziative atte ad impedire l’inne-sco del fenomeno, intese
Tab. 1 – Parametri relativi
alle esplosioni di alcuni vapori e gas combustibili a confronto
quindi come controllo delle probabilità di accadimento dell’evento;
- – i mezzi di protezione, rivolti al contenimento della magnitudo del grado di danno potenziale.
MISURE DI PREVENZIONE
Sono di estrema importanza in quanto per il rischio in esame è molto semplice ed utile intervenire sull’abbattimento del fattore di “frequenza” del rischio.
Controllo della ventilazione degli ambienti in cui si effettua la ricarica
E’ il provvedimento più importante ai fini del trattamento dei rischi collegati alle operazioni di ricarica. Il controllo della ventilazione mira ad evitare che le potenziali emissioni di idrogeno durante le fasi di ricarica possano accumularsi stazionando nell’ambiente e quindi formare atmosfere infiammabili od esplosive una volta superata la soglia del limite inferiore di infiammabilità.
L’idrogeno è un gas combustibile estremamente leggero (densità relativa all’aria pari a 0.07) e quindi, in caso di emissioni, si raccoglie facilmente a soffitto ed in ogni volume chiuso di esso.
Nel caso di basse altezze degli intradossi delle coperture, nel caso di volumetrie contenute dei locali ospitanti le ricariche ed anche nel caso di particolari tipologie delle coperture – ad esempio, formanti degli spazi chiusi e poco arieggiati – si possono avere degli accumuli pericolosi di idrogeno.
In sostanza, al fine di valutare il rischio di esplosione o di incendio nella zona dove viene eseguita la ricarica delle batterie, occorre stabilire se è possibile che in essa si determini il formarsi di una miscela esplosiva di idrogeno con aria.
La normativa italiana sull’argo-mento prevede l’opportuna ventilazione dei locali quale principale misura di prevenzione: ventilazione artificiale, introducendo meccanicamente mediante un impianto l’adeguato volume d’aria per il ricambio; ventilazione naturale, come si può avere nei locali con ampie aperture sull’esterno; o ricambio d’aria, come si può avere nei grandi ambienti, assicurato dal naturale movimento fluidodinamico delle masse d’aria, all’interno dei locali stessi, che disperde i vapori di idrogeno in accumulo.
All’art. 303 del D.P.R. 27.04.55,
n° 547, si ha:
“… i locali contenenti accumulatori, i quali, in relazione alla loro cubatura ed alle capacità e tipo delle batterie in essi esistenti, possono presentare pericolo di esplosione delle miscele gassose, devono:
- essere ben ventilati;
- non contenere macchine di alcun genere, né apparecchi elettrici o termici …”.
Anche le norme CEI dedicano opportuna attenzione alla ventilazione dei locali contenenti accumulatori al piombo. Il Comitato Elettrotecnico Italiano ha colma-to, da circa un anno, con le norme CEI 21-20, la lacuna esistente riguardo alle corrette procedure di gestione degli accumulatori al piombo per veicoli elettrici. Prima di tali norme esisteva il solo riferimento delle CEI 21-6/3, rivolte però alle batterie di accumulatori stazionari al piombo, ed estensibili con qualche difficoltà interpretativa alle batterie dei transelevatori in ricarica (si ricorda che sono stazionarie tutte le batterie destinate alla utilizzazione in installazioni fisse – per le quali non sono previste cioè utilizzazioni fuori posto come per i carrelli transelevatori – e collegate permanentemente ad un carico ed una sorgente di corrente continua).
Ventilazione nei locali destinati a ricarica delle batterie
Le norme CEI prevedono che nei locali in cui si effettua la ricarica si debbano evitare accumuli di idrogeno e formazioni di sacche di miscele esplosive, assicurando sempre un’aereazione non inferiore a quella calcolabile con la formula riportata in basso.
Pertanto nel caso di locali destinati alla ricarica delle batterie dei carrelli elettrici dovrà essere sempre assicurato un ricambio d’aria almeno pari ad un valore P
(mc/h) ottenuto dalla sommatoria di tutte le Q calcolabili con la formula predetta per ciascuna batteria di elementi in ricarica sul posto. Sarà quindi
P (mc/h) = i Qi
(con i numero delle batterie in ricarica in loco)
Il ricambio d’aria nei locali di ricarica delle batterie sarà quindi ottenibile mediante un impianto di ventilazione forzata (da eseguire in configurazione antideflagrante AD-PE in rispondenza alle norme CEI 64-2) della capacità di P mc/h.
Tuttavia un adeguato ricambio d’aria è anche assicurabile mediante la ventilazione naturale del locale. Quest’ultima è sufficiente solo se, come riportano le norme CEI 20-21,
“…sono soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:
- sono presenti aperture di ingresso e di uscita aventi sezione trasversale S (cmq) minima pari a:
S = 28 Q,
dove Q (mc/h) è la portata sopra calcolata;
- la velocità dell’aria attraverso queste aperture non è inferiore a 0,1 m/s. questa condizione è soddisfatta in ambienti ben ventilati il cui volume libero (mc) sia pari ad almeno 2,5 volte la portata d’aria richiesta Q (mc/h) …”
E’ buona norma eseguire la ventilazione sia nelle zone più al-
te del locale, poiché la leggerezza dell’idrogeno vi porta gli accumuli gassosi, sia nelle zone immediatamente soprastanti gli accumulatori, dove stazionano le prime nebbie, prevalentemente di acidi, in formazione.
La dislocazione delle aperture di ventilazione o delle bocchette di asportazione dell’aria deve essere realizzata, se non anche sopra le apparecchiature, quanto meno a filo dell’intradosso della copertura del locale, ovvero nella parte più alta, specialmente se la copertura di esso è a sheds, a volta o a morfologia tale da consentire accumuli localizzati di vapori. Si deve badare poi a rispettare le norme di buona esecuzione delle aperture di esalazione, cioè non ponendole in zone nelle quali le correnti d’aria esterna non possono allontanare i vapori o ne provocano dei reingressi, ed in zone dove il deflusso dell’aria è impedito da ostacoli (camini, cornicioni, ecc.).
L’immissione di aria, dall’im-pianto di ventilazione forzata nel locale, andrà invece effettuata dal basso.
Q = 0,05 x I x n
dove: Q = portata del ricambio volumetrico dell’aria (in mc/h) riferibile alla singola batteria in carica
I = corrente di carica in Ampere (valore della corrente, in relazione alle caratteristiche dell’impianto di carica, raggiungibile durante la fase finale, quella con sviluppo di gas negli accumulatori;
il valore è indicato dai costruttori ed è solitamente prossimo al 4% del valore della capacità nominale della batteria, come si vede nel diagramma di andamento della corrente di carica in fig. 2)
n = numero degli elementi in serie costituenti la batteria e sottoposti a carica
N.B. – La formula viene data dal Comitato Elettrotecnico Italiano come già comprensiva di un in -trinseco fattore di sicurezza pari a 5; tuttavia per ambienti a particolare rischio di incendio o esplosione é suggerito di raddoppiare il fattore di sicurezza, calcolando una portata di valore doppio di quella Q data dalla formula
– Se si hanno batterie del tipo a vasi chiusi le norme consentono, invece, ridurre della metà il valore di Q calcolato.
Una prescrizione particolar-
mente importante, da seguire sempre nell’esecuzione dei sistemi di ventilazione forzata, è l’ap-plicazione di dispositivi che inter-rompano la ricarica delle batterie in caso di blocco, malfunzionamento o guasto dell’impianto di ventilazione. In tal modo si possono evitare gli incidenti conseguenti ad emissioni di ricarica con impianto di ventilazione non attivo.
Postazioni di ricarica non ubicate in appositi locali
Accade spesso che gli stabilimenti aziendali non siano dotati di appositi locali compartimentati per la ricarica delle batterie.
Le postazioni di ricarica possono essere posizionate nei vari settori in cui sono utilizzati i carrelli, laddove è più comodo per l’operatore; così i transelevatori del magazzino hanno solitamente le proprie postazioni in loco, e quelli della produzione ciascuno nel proprio reparto.
Per esaminare e valutare il rischio collegato a tali postazioni non si può seguire soltanto la strada del calcolo analitico, ma si
devono effettuare anche delle osservazioni e deduzioni logiche. Ad un’azienda che dispone di pochi carrelli elevatori (pochi relativamente alle dimensioni dello stabilimento), ubicati con le relative ricariche in capannoni industriali volumetricamente ampi e con tetto alto, può non essere necessario chiedere di creare un apposito locale di ricarica o di installare un sistema di ventilazione forzata. Occorre stabilire di volta in volta, quindi, se le potenziali emissioni di idrogeno – in fase di ricarica – costituiscono o no un pericolo, valutando se il ricambio di aria, assicurato soltanto dall’ampiezza delle volumetrie presenti, garantisce sufficienti condizioni di sicurezza.
Per valutare la ventilazione delle postazioni di ricarica, comunque ubicate all’interno di un capannone industriale, occorre procedere con le seguenti 2 verifiche:
- valutare la tipologia del locale in cui sono inserite le ricariche, esaminandone: la volumetria, l’altezza dell’intradosso delle coperture e, se il tetto non è piano, l’eventuale presenza di particolari morfologie dell’intra-dosso, immediatamente soprastante le postazioni, che possono consentire l’accumulo dei vapori di idrogeno;
- valutare il naturale ricambio d’aria presente sul luogo delle ricariche, dovuto soltanto alla libera circolazione dell’aria all’in-terno dell’ambiente, ovvero stabilire se il locale è abbastanza grande da smaltire le eventuali emissioni soltanto grazie all’am-piezza delle volumetrie.
Per quanto riguarda il primo punto si deve desumere, con il ragionamento, se le eventuali particolari forme o concavità dell’intradosso delle coperture possono o no essere causa di accumuli di idrogeno.
Andranno quindi evitate postazioni sottostanti soppalchi, tetti a sheds (se gli spazi laterali tra le travi reticolari di una campata e dell’altra sono chiusi) e tetti con forme che permettono accumuli e ristagni di aria soprastanti le ricariche (figure 2 e 3).
Per quanto riguarda il secondo punto, ovvero la valutazione del naturale ricambio d’aria sopra le postazioni di ricarica, per quanto consentito dalle sole volumetrie del locale, la traccia indicata dalle norme CEI 21-20 per locali con ventilazione naturale si segue con difficoltà. Infatti se volessimo, con una forzatura, tracciare un ipotetico volume pari a 2,5 volte Q mc intorno all’area di ricarica e verificare che tale volume sia inferiore a quello del locale, non potremmo certo avere lo stesso interscambio di aria sostituendo all’ambiente esterno, con le sue correnti d’aria, quello costituito dalla parte restante di capannone (non dotata di significativi movimenti dell’aria interna), che circonda l’ipotetico volume considerato, questo specialmente se la parte restante é ben poca o ha gli spazi molto sfruttati.
A buon senso, comunque, un fabbricato ampio 5-6 volte il valore ottenibile per Q espresso in mc, potrebbe garantire buone condizioni di sicurezza.
Per ambienti ampi, dove il ricambio d’aria è ottenuto per il solo limitato movimento delle masse interne al fabbricato, si suggerisce allora di cambiare l’approccio al problema, calcolando il volume minimo dell’am-biente partendo dalle emissioni di idrogeno ed applicandovi dei coefficienti di sicurezza.
Si può pertanto fare riferimento alla seguente formula:
V min = 25 x c x (i ni x Ii) x E (mc)
dove: Vmin = volume minimo richiesto all’ambiente (in mc.) per assicurare l’adeguato ricambio d’aria sopra le ricariche
25 = coefficiente moltiplicativo dovuto al campo di infiammabilità dell’idrogeno in aria, che presenta limite inferiore del 4%; pertanto il volume minimo di sicurezza deve essere pari al 4% del volume dell’am-biente (trascurando le ulteriori
ma irrilevanti diminuzioni del limite inferiore di infiammabilità, dovute all’arricchimento in ossigeno dell’atmosfera causato dalla dissociazione elettrolitica dell’acqua distillata), cioè il coefficiente deve valere 1/0,04 = 25
c = coefficiente di sicurezza (si assume uguale a 5 per impianti usuali, e a 10 per impianti speciali, ad esempio ubicati in miniere od in presenza di sostanze infiammabili o comunque particolari pericolosità)
i = riferita alle (i) batterie presenti
in ricarica in loco; è costituita dalla somma dei prodotti calcolabili per ciascuna delle (i) batterie, della corrente di carica (Ii) per gli elementi (ni) che la compongono;
ni = numero degli elementi sottoposti a ricarica per la iesima batteria (le indicazioni sul numero degli elementi in ricarica sono date dal fornitore del carrello: gli elementi possono
variare in un ampio range, grossomodo tra 12 ed 80 secondo il tipo di transelevato-re; solitamente si fa riferimento a batterie da 24 o 36 elementi)
Ii = corrente in ampere associabile all’intera fase emissiva della ricarica, per tutta la durata di questa (circa 3 ore); il valore è una caratteristica delle batterie utilizzate e viene indicato dal costruttore. In mancanza di dati si può pensare che un carrello di medio ton-nellaggio utilizza batterie con capacità nominale sui 700 Ah; dalla capacità si risale al valore di Ii, associabile alla fase emissiva, assegnando ad esso un valore pari a 0,25 per ogni Ah (in realtà Ii varia con il sistema di carica:
per i sistemi di maggior qualità, che dosano la corrente in funzione dello stato di carica, il surplus di energia che provoca la dissociazione può ridursi al 5%; per vecchi sistemi non automatizzati e suscettibili delle maggiori dissi-pazioni di energia, si può giungere a percentuali del 35-40%)
In conclusione, per un calcolo di massima, in mancanza di dati precisi, si potrà considerare per Ii, con sufficiente cautela, un valore di 0,25 per ogni Ah.
E = emissività di vapori di idrogeno nell’ambiente in fase di ricarica a fondo (il dato è poco sensibile alle variazioni dovute al modello di batteria; si può pertanto assumere un’emissività pari a 0,42 lit di idrogeno in ambiente per ogni unità di capacità dell’accumu-latore, cioè E = 0,42 lit/Ah; durante una ricarica infatti si ha normalmente dissociazione di 0,34 gr di acqua per ogni Ah di capacità impegnata, cui corrispondono 0,42 lit di idrogeno e 0,22 lit di ossigeno in emissione; il parametro importante, ai fini della valutazione della pericolosità dell’atmosfe-ra, è la quantità 0,42 lit/Ah di idrogeno; l’ossigeno può dare un arricchimento di comburente nell’aria, ma esso risulta insignificante (infatti il limite infe-
riore di infiammabilità dell’idro-geno in ambiente a totale presenza di ossigeno, non varia di molto, mantenendosi sul valore del 4% valido anche in aria).
Ottenuto Vmin espresso in mc, quale volume minimo dell’ambien-te capace di soddisfare le condizioni di sicurezza, occorre con-frontarlo con il volume del locale in cui sono ubicate le ricariche.
Ovviamente il volume del locale andrà valutato senza considerare gli spazi adiacenti e comunicanti con esso, se divisi da qualunque forma di separazione o di parete; anzi occorrerà considerare anche gli elementi di disturbo presenti nel locale, e cioè quelli che occupano spazi elevati o fanno in qualche modo da ostacolo al movimento dell’aria (grandi scaffalature, elevato sfruttamento degli spazi, ecc.) apportando al calcolo del volume minimo degli opportuni coefficienti correttivi di sicurezza.
Come si vede la valutazione della sicurezza per le stazioni di ricarica ubicate in un ambiente ampio e non ventilato si basa principalmente su deduzioni e valutazioni dovute all’esperienza, e non sono utilizzabili formule a carattere deterministico, ma nel calcolo è sempre presente una certa aleatorietà.
Come esempio operativo possiamo fare il caso di un capannone industriale di volumetria interna pari a 10.000 mc, sufficientemente alto, con tetto pressoché piano, che non generi accumuli localizzati di vapori ascendenti, e con basso sfruttamento degli spazi interni.
In esso siano collocate in gruppo 10 postazioni di ricarica batterie per carrelli elettrici delle seguenti caratteristiche: 4 di esse da 24 elementi ciascuna e con capacità di 700 Ah, e le altre 6 con batterie da 36 elementi e da 500 Ah. Sia il coefficiente di sicurezza c = 5 e si assumano, come emissività potenziale di vapori di idrogeno nell’ambiente il valore di 0.45 lit per ogni unità di Ah, e come corrente associabile alla fase emissiva della carica un valore pari a 0,3 per ogni Ah, ipotizzando, a vantaggio della sicurezza, che tale valore sia sempre maggiore o uguale a quello relativo ad ognuna delle batterie presenti.
Allora il volume minimo di sicurezza sarà come evidenziato nel seguente riquadro.
Essendo il volume del capannone pari a 10.000 mc, e pertan-
to ben maggiore di Vmin, la verifica di sicurezza è soddisfatta anche tralasciando le valutazioni su eventuali ingombri negli spazi interni.
Disponendo invece di un locale per l’effettuazione delle operazioni di ricarica delle batterie ed intervenendo con l’installazione di un impianto di ventilazione forzata, capace di operare il necessario ricambio d’aria per la sussistenza delle condizioni di sicurezza, allora considerando gli stessi carrelli dell’esempio precedente, la portata da assicurare sarebbe per le norme CEI pari a: (vedi riquadro in alto).
Il valore di Ii è stato ottenuto moltiplicando il valore della capacità nominale per un coefficiente di 0,05, considerando che la corrente è riferita alla fase finale di carica (fig. 2) e pertanto solitamente assume valori poco inferiori al 5% (intorno al 4%-4,5%).
Tale andamento decrescente della corrente di ricarica nelle batterie da trazione è dovuto al sistema di ricarica: il valore del 4% è pertanto spiegato sia dal fatto che l’energia che finisce in dissociazione dell’acqua rappresenta una percentuale dipendente dalla qualità del sistema di ricarica, sia dalla corrente eroga-bile dal caricabatteria che generalmente non eccede il valore di 1/5 del valore nominale.
Controllo dell’impianto elettrico e dell’illuminazione
Gli impianti elettrici installati nei locali contenenti ricariche di batterie di accumulatori al piombo sono regolati dalle norme CEI che tuttavia li subordinano, per importanza come misura preventiva e per priorità di esecuzione, alla ventilazione del locale.
Come per tutti i luoghi nei quali possono aversi presenze di miscele gassose, vapori o polveri esplosive od infiammabili, anche i locali per ricariche sarebbero infatti soggetti alle norme CEI 64-2, che prevedono, al fine di evitare i rischi di esplosione a causa di gas presenti nell’am-biente, di realizzare impianti elettrici in configurazione antideflagrante (AD-PE).
Le stesse norme CEI però an-tepongono l’esecuzione dell’im-pianto di ventilazione all’impian-to elettrico del tipo a sicurezza, e dispongono (CEI 21-20) che:
“… la norma CEI 64-2, che tratta gli impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione, subentra solamente nei casi in cui non sia possibile assicurare la portata d’aria Q di cui sopra
Vmin=25x5x(4x24x0,3×700+6x36x0,3×500)(Ah)x0.45 (lit/Ah)=2.956,5 mc
…” cioè prende in considerazione gli impianti elettrici nei locali di carica degli accumulatori solamente per quei casi in cui, in detti locali, sia “impossibile” soddisfare i requisiti di ventilazione prescritti.
Sempre le CEI prevedono poi che se gli accumulatori sono del tipo “a vasi aperti”, ovvero privi di coperchio sulla batteria (cosa riscontrabile nella maggior parte dei carrelli elevatori) gli impianti elettrici devono essere eseguiti con grado di protezione almeno pari ad IP 44.
In conclusione, qualora i locali con le ricariche soddisfano i requisiti di ventilazione richiesti dalle CEI 21-20, compreso il sistema di blocco ricarica in caso di blocco o guasto della ventilazione, non si ha la prescrizione normativa di installare un impianto elettrico di tipo antideflagrante (si badi che l’esecuzione di un impianto antideflagrante non è una alternativa alla realizzazione del sistema di ventilazione: quest’ultimo deve sempre essere realizzato, salvo quando sia possibile attivare una ventilazione naturale.
Se le postazioni di ricarica non sono ubicate in apposito locale, allora, verificata l’ampiezza delle volumetrie, non è richiesto alcun impianto di tipo antideflagrante; tuttavia sarebbe consigliabile eseguirlo su tutta la zona delle ricariche, valutandola come luogo di classe C1Z1 ai sensi delle CEI 64-2 (luogo con presenza di sostanze in forma di vapori, gas o nebbie che possono determinare, con l’aria, atmosfere pericolose in relazione alle condizioni di ventilazione dell’ambiente).
P = 4 Q1+6 Q2 = 0,05x(4x700x0,05×24+6x500x0,05×36) = 438 mc/h
Rivelatore di gas e strumentazioni di preavviso dello stato di potenziale esplosività
Attuando una buona ventilazione del locale di ricarica batterie ed eseguendovi gli impianti elettrici in configurazione antideflagrante sono ottenute delle buone misure preventive, capaci di rendere trascurabili i rischi di incendio ed esplosione sul posto. Se sono necessarie ulteriori misure di prevenzione, a causa della pericolosità dell’ambiente (ad es. miniere) od alla “impossi-bilità” di intervenire con un sistema di ventilazione adeguato, può essere opportuno installare dei sensori di gas per idrogeno.
Solitamente si tratta di sonde, per il più generale utilizzo come rivelatori di gas combustibili, da installare a filo soffitto essendo l’idrogeno un gas “leggero”.
Tali sensori possono essere realizzati su tecnologie ad elementi catalitici (un filo di platino è capace di ossidare i vapori di idrogeno in aria e producendo calore di ossidazione attiva un allarme) od a semiconduttore (il sensore è costituito da una superficie sensibile al vapore di idrogeno e attiva l’allarme quando la concentrazione di gas supera una fissata soglia) o con altri meccanismi.
L’impianto di rivelazione di presenza di idrogeno può essere tarato su più soglie (solo allarme locale, allarme remoto, ecc.), ma
deve esistere sempre un dispositivo tale che, se le concentrazioni di gas superano una fissata soglia di pericolosità, siano immediatamente interrotte le operazioni di ricarica e sia segnalato l’allarme.
Divieto di fumare
La misura preventiva del divieto di fumare deve essere attuata nel locale di ricarica e, nel caso che non si disponga di apposito locale, in prossimità degli accumulatori stessi, sopra i cui vasi aperti sono spesso presenti nebbie di vapori di idrogeno e acido solforico (la misura ha pertanto carattere anche di prevenzione per il settore dell’antinfortunisti-ca).
Divieto di operazioni a fiamma libera
Ogni operazione a fiamma libera deve essere evitata nei locali di ricarica, se non previa “bo-nifica” del locale prima delle operazioni (intendendo per bonifica l’allontanamento delle batterie dal locale prima di lavorarvi e la ventilazione dell’area, oltre a tutte le generali misure preventive da attuarsi sempre in caso di esecuzione di saldature ed operazioni similari).
Altrettanto, se le ricariche non sono ubicate in apposito locale, non saranno eseguibili saldature ed altri processi a caldo sulla zona senza aver adottato prima le opportune precauzioni.
Divieto di introdurre/installare nell’ambiente in cui si esegue la ricarica macchinari, utenze elettriche corpi caldi, impianti, ecc.
A condizione di soddisfare i requisiti di ventilazione di cui alle norme CEI 21-20 si possono installare, nei locali ospitanti le ricariche degli accumulatori al piombo, altre apparecchiature elettriche, purché posizionate -come precisano le stesse CEI 21-20 – a distanza superiore di 0,5 m. dalle superfici aperte delle batterie.
E’ buona norma comunque dedicare i locali di ricarica esclusivamente alla loro funzione, non installando alcun altro impianto o utenza in essi.
Segnalazioni relative ai comportamenti
da tenere nei locali di ricarica
Ogni misura preventiva da attuare va segnalata con gli appositi cartelli evidenziatori.
Sulla porta del locale con le postazioni di ricarica andrà affisso quindi un cartello con le specifiche indicazioni sulle misure di prevenzione obbligatorie e sulle norme comportamentali (divieto di fumare, divieto di operazioni a fiamma libera, non introdurre corpi caldi, ecc.) e con le istruzioni di funzionamento e manutenzione.
Mezzi di protezione
Le stazioni di ricarica delle batterie non richiedono specifici
mezzi di protezione attiva: il rapporto tra i costi di realizzazione dei sistemi attivi ed i benefici ap-portabili non è decisamente conveniente. E’ più opportuno affidarsi alle misure di prevenzione: una buona ventilazione garantisce a costi contenuti elevati gradi di sicurezza.
Può essere importante, al contrario delle protezioni attive, realizzare degli efficienti sistemi di protezione passiva, comparti-mentando il locale che ospita le ricariche e dividendolo da ogni accumulo di materiali combustibili o da vicini settori produttivi.
La realizzazione di specifici locali compartimentati di ricarica consente inoltre di gestire al meglio la ventilazione degli ambienti: è molto più sicuro il calcolo del ricambio d’aria per un impianto di ventilazione forzata attivo su un locale ben definito, piuttosto che la valutazione, espressa con criteri maggiormente aleatori, del ricambio naturale d’aria sopra delle postazioni di ricarica ubicate in un grande ambiente destinato ad altri usi.
Si deve dare poi una buona importanza alla capacità che hanno le protezioni passive di circoscrivere l’eventuale danno al solo locale compartimentato, evitando il coinvolgimento dei vicini ambienti di lavoro.
Nel caso di assenza di adeguati divisori una esplosione locale potrebbe coinvolgere tutti i reparti vicini e produrre così più focolai su più punti circostanti quello dell’esplosione; cioè secondo i settori sui quali la forte energia termica liberata riesce ad innescare l’incendio.
Questo è il motivo per cui
spesso accade che, a danno avvenuto, non si riesce ad identificare nelle operazioni di ricarica delle batterie l’origine dell’incen-dio. Non si riesce cioè a stabilire la correlazione logica tra la causa e l’evento, manifestatosi come un incendio con focolaio di origine non localizzabile, non permettendo così di prendere in considerazione gli inneschi dovuti a sacche di idrogeno in aria formatesi nella ricarica.
Pertanto le bassissime percentuali di incendi attribuiti alle stazioni di ricarica delle batterie devono essere incrementate statisticamente di una certa quota parte di danni che finiscono nel cumulo degli eventi dovuti a cause non accertate.
Bibliografia
AA.VV., Magazzini e Depositi di Merci; pubblicazioni Concordato Italiano Incendio; Milano 1989
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Colombo, Manuale dell’Inge-gnere; Milano, 1987, ed. Hoepli
Comitato Elettrotecnico Italiano, Norme CEI 21-20 – Guida per l’esercizio e la sicurezza di batterie di accumulatori al piombo per veicoli elettrici – aprile 1995 –
Comitato Elettrotecnico Italiano, Norme CEI 21-5 – Batterie al
piombo per trazione: prescrizioni generali e metodi di prova –
P. Silvestroni, Fondamenti di chimica; Roma 1982, ed. Veschi
Buonasera
vorrei leggere l’articolo IL RISCHIO INCENDIO NELLA RICARICA DI BATTERIE DEI CARRELLI ELETTRICI
marzo 24, 2016 by admin 0 1556
ma la visualizzazione sul sito non me lo permette.
è possibile stampare l’articolo e leggerlo?
grazie