Diossine Furani e PCB
PREMESSA
Il presente opuscolo è stato redatto per raccogliere in modo unitario le informazioni
di base di natura tecnica, scientifica e giuridica relative alle diossine, furani
e policlorobifenili. Il lavoro non si rivolge esclusivamente a un pubblico specializzato
e pertanto è stato redatto con un taglio divulgativo per facilitarne la comprensione
ad un pubblico più vasto, pur rimanendo fedele alla sua funzione di
strumento di studio o analisi per lettori del settore scientifico e per il personale
delle Pubbliche amministrazioni e dei settori produttivi, che si trova a dover gestire
le problematiche conseguenti la scoperta della presenza di tali inquinanti
nell’ambiente o in taluni prodotti alimentari.
Diossine, furani e policlorobifenili costituiscono tre delle dodici classi di inquinanti
organici persistenti riconosciute a livello internazionale: si tratta di prodotti
particolarmente stabili e riconosciuti come tossici sia per l’ambiente che per l’uomo.
Le diossine sono sostanze che vengono immesse nell’ambiente da numerose sorgenti,
presentano una certa mobilità nei confronti delle diverse matrici ambientali,
hanno una struttura chimica stabile ed una considerevole vita media.
Le diossine possono determinare un inquinamento cronico, pressoché ubiquitario
e possono dar luogo ad eventi che, con una nuova accezione del termine, potremmo
definire “emergenze ambientali”. Infatti, si possono verificare situazioni in
cui vi siano particolari catene alimentari che, attraverso fenomeni di bioaccumulo
e pratiche/abitudini antropiche, portino le concentrazioni a livelli pericolosi per
l’ambiente e/o l’uomo anche a fronte di una presenza di inquinanti bassa, o addirittura
bassissima, che non comporterebbe rischi immediati e chiaramente identificabili.
La gestione di queste situazioni richiede studi ambientali, anche complessi, che
consentano di individuare particolari pratiche/abitudini antropiche e eventuali catene
alimentari critiche per l’uomo, o gli animali, ed infine l’adozione di strumenti
conoscitivi quali l’analisi di rischio per valutare la necessità e la tipologia delle
possibili azioni mitigative o contenitive.
Nel primo capitolo si forniscono le informazioni essenziali su cosa siano le “diossine”,
intendendo con questo termine scritto in corsivo l’insieme delle diossine e dei
furani, e si introducono concetti fondamentali quali quelli di “biodisponibilità”,
3
4
“bioaccumulo” e “bioconcentrazione” che meglio consentono di capire come sorgano
problemi per la salvaguardia dell’ambiente o per la difesa della salute.
Nel secondo capitolo si descrive il “destino ambientale” di questi inquinanti, ovvero
come una volta prodotti ed immessi nell’ambiente si distribuiscano nelle diverse
matrici ambientali (suolo, sedimenti, acque).
Nel terzo si descrive come questi inquinanti vengano prodotti e si introducono alcuni
concetti essenziali quali quelli di “sorgenti primarie e secondarie”, “precursore”
e “riserva ambientale”. A questo proposito è opportuno ribadire che le diossine
non vengono mai prodotte deliberatamente e che si tratta invece di particolari
sottoprodotti indesiderati di taluni processi chimici e/o di combustione.
Nel quarto capitolo vengono descritti i policlorobifenili che si presentano, in molti
casi, con le stesse problematiche di tossicità per l’uomo e l’ambiente viste per le
diossine. In tale contesto è opportuno segnalare quel particolare gruppo di congeneri
individuati come “diossina simili” più volte appaiati alle diossine nelle analisi
e valutazioni delle conseguenze ambientali.
Nel quinto capitolo vengono riportati gli eventi incidentali (e non) caratterizzati
da rilevanti conseguenze sanitarie e ambientali che hanno concorso a favorire un
processo conoscitivo e normativo su tali sostanze e un progressivo livello di controllo
e salvaguardia per la protezione dell’ambiente e della salute umana.
In appendice si è tentato di organizzare una sinossi delle attuali normative, internazionali
e nazionali, che consenta al lettore di avere immediati riferimenti giuridici
sulle norme e sui limiti di concentrazione in campo alimentare e ambientale e,
ove non esistenti in ambito nazionale, si sono riportati a titolo informativo normative
estere, quali quella canadese e statunitense.
Alcune volte, nel testo, si incontreranno termini segnati da un asterisco: con ciò si
intende un rinvio al glossario finale in cui si è tentato, per tutti quei concetti di
non immediata comprensione ovvero per le unità di misura, di fornire una definizione
chiara ed il più possibile orientata a supportare gli sforzi di comprensione
dei non addetti ai lavori.
1. DATI GENERALI
Con il termine generico di “diossine” si indica un gruppo di 210 composti chimici
aromatici policlorurati, ossia formati da carbonio, idrogeno, ossigeno e cloro,
divisi in due famiglie: dibenzo-p-diossine (PCDD o propriamente “diossine”) e
dibenzo-p-furani (PCDF o “furani”). Si tratta di idrocarburi aromatici clorurati,
per lo più di origine antropica, particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente,
tossici per l’uomo, gli animali e l’ambiente stesso; le diossine e i furani costituiscono
infatti due delle dodici classi di
inquinanti organici persistenti1 riconosciute
a livello internazionale
dall’UNEP2
.
Esistono in totale 75 congeneri* (specie)
di diossine e 135 di furani: di questi
però solo 17, 7 PCDD e 10 PCDF
rispettivamente, destano particolare
preoccupazione dal punto di vista tossicologico.
La tossicità* delle diossine dipende dal
numero e dalla posizione degli atomi di
cloro sull’anello aromatico, le più tossiche
possiedono 4 atomi di cloro legati
agli atomi di carbonio β dell’anello
aromatico e pochi o nessun atomo di
cloro legato agli atomi di carbonio α
dell’anello aromatico (Figura 1).
Nella terminologia corrente il termine
“diossina”, al singolare questa volta, è talora usato come sinonimo della 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina
(TCDD), ossia del congenere maggiormente tossico
(unico riconosciuto possibile cancerogeno per l’uomo) che ha 4 atomi di cloro
5
1 Persistent Organic Pollutants POPs*.
2 United Nations Environment Programme.
Figura 1: Formula di struttura delle diossine e
dei furani.
nelle posizioni β e nessuno in α
(Figura 2).
Di converso la diossina con maggior
grado di clorurazione, vale a
dire la ottaclorodibenzo-p-diossina
(OCDD), presenta una tossicità
bassa, comparata con quella
degli altri congeneri, poiché gli
atomi di cloro occupano tutte le
posizioni α.
Le diossine sono sostanze semivolatili,
termostabili, scarsamente polari, insolubili in acqua, altamente liposolubili*,
estremamente resistenti alla degradazione chimica* e biologica*. Nel suolo
si legano alla frazione organica presente e, una volta adsorbite (ovvero “legate” e
concentrate su un superficie, rappresentata, ad esempio, dalla fase solida del suolo),
rimangono relativamente immobili: a causa della loro insolubilità in acqua
non tendono a migrare in profondità. Pur essendo scarsamente idrosolubili, trovano
nell’acqua un’ottima via di diffusione una volta adsorbite sulle particelle minerali
ed organiche presenti in sospensione. Le caratteristiche chimico-fisiche sopra richiamate,
fanno diventare tali sostanze facilmente trasportabili dalle correnti atmosferiche,
e, in misura minore, dai fiumi e dalle correnti marine, rendendo così
possibile la contaminazione di luoghi lontani dalle sorgenti di emissione.
A causa della loro presenza ubiquitaria nell’ambiente, persistenza e liposolubilità,
le diossine tendono, nel tempo, ad accumularsi negli organismi viventi, si accumulano
cioè nei tessuti ed organi dell’uomo e degli animali. Inoltre, salendo nella catena
trofica (alimentare), la concentrazione di tali sostanze può aumentare (biomagnificazione*),
giungendo ad esporre a rischio maggiore il vertice di detta catena.
Modalità di ingresso di questi contaminanti nella catena alimentare
Sulla base delle conoscenze ad oggi disponibili, il meccanismo primario di ingresso
delle diossine nella catena alimentare terrestre, sembrerebbe essere la deposizione
atmosferica in fase di vapore sulle foglie delle piante e, parzialmente
sul terreno, ingeriti successivamente dagli animali.
Le diossine sono sostanze che si accumulano nei tessuti grassi degli organismi,
quindi se erba e suolo contaminati vengono ingeriti da erbivori si verifica un accumulo
di queste sostanze nei grassi delle loro carni e nei grassi del latte prodotto.
In generale, per aree non particolarmente interessate da emissioni a carattere industriale,
la presenza di diossine nell’ambiente deriva, prevalentemente, non dalle
emissioni attuali, ma dall’accumulo continuo e prolungato di quantità, anche
piccole, di questi contaminanti nelle cosiddette “riserve ambientali”.
L’ingresso delle diossine nella catena alimentare acquatica avviene, soprattutto,
ad opera del particolato* (deposizione secca ed umida, erosione, scarichi, ecc.)
che viene trasferito nell’ambiente acquatico. La natura lipofilica (affine ai grassi)
delle diossine e la loro bassa solubilità in acqua fa sì che queste siano adsorbite ai
composti organici e bioaccumulate negli organismi acquatici con diverse modalità
di assunzione. L’assunzione di diossine da parte degli organismi acquatici avviene
attraverso la bioconcentrazione* dall’acqua e il trasferimento nelle reti trofiche.
La quantità di diossine bioaccumulate da tali organismi dipende fortemente, oltre
che dalla concentrazione di diossine presenti nell’ambiente acquatico, dalla per-
6
Figura 2: Formula di struttura della 2,3,7,8-TCDD
centuale di contenuto in grasso dell’organismo.
Dalle considerazioni sopra esposte si può quindi concludere che le diossine sono
contaminanti ubiquitari; in conseguenza di ciò tutti noi abbiamo accumulato una
quantità di diossine più o meno significativa che varia in funzione delle abitudini
alimentari, delle caratteristiche dell’ambiente che ci circonda, delle caratteristiche
fisiche.
Occorre però ricordare che non tutte le diossine presenti nell’ambiente risultano
essere “biodisponibili”, ovvero essere in forma tale da “passare” nella catena alimentare
e provocare un impatto sulla salute. La biodisponibilità dipende dalle caratteristiche
ambientali (suolo, acque, sedimenti) e dalle caratteristiche del contaminante
(le sostanze appartenenti alla categoria “diossine” hanno diverse caratteristiche
chimico-fisiche e tossicologiche).
Valutazione dell’esposizione alle diossine
L’uomo può venire in contatto con le diossine attraverso tre principali fonti di
esposizione: accidentale, occupazionale ed ambientale.
La prima riguarda contaminazioni dovute ad incidenti, argomento trattato nel
quarto capitolo, la seconda riguarda gruppi ristretti di popolazione (professionalmente
esposti), come nel caso di coloro che lavorano nella produzione di pesticidi
o determinati prodotti chimici.
L’esposizione ambientale, infine, può interessare ampie fasce della popolazione e
può avvenire, per lo più, attraverso l’alimentazione con cibo contaminato, anche
se vi possono essere altre vie di esposizione quali l’inalazione di polvere o il contatto.
Recenti studi hanno stimato che circa il 95% dell’esposizione alle diossine avviene
attraverso cibi contaminati ed, in particolare, di grassi animali, come risulta
dal grafico3 sottostante (Figura 3).
7
3 Adattato da dati dell’US EPA del 2004, riferiti, ovviamente, a consumi tipici di alimenti prodotti negli USA.
4 PCBdl: PCB dioxin like, trattati nel successivo capitolo 4.
Figura 3: Esposizione a PCDD, PCDF e PCBdl
4 attraverso il cibo (adattato da dati EPA 2004)
16%
6%
14%
Carne
di
manzo
L’assunzione di latte e latticini contaminati rappresenta approssimativamente il
37% dell’esposizione, tuttavia una percentuale apprezzabile del totale deriva dall’assunzione
di carni bovine, suine e di pesce. I prodotti di origine vegetale contribuiscono
in piccola percentuale.
Il metodo migliore per ridurre l’esposizione5 a queste sostanze risulta essere, ad
oggi, l’adozione di un regime alimentare povero di grassi animali.
1.1 Bioaccumulo
Con il termine bioaccumulo* si indica quel fenomeno di accumulo irreversibile di
una sostanza nei tessuti degli organismi viventi: esso viene utilizzato, indirettamente,
come parametro per la determinazione degli effetti tossici delle diossine, dal
momento che fornisce una stima più precisa del reale livello di contaminazione
degli organismi, rispetto al solo calcolo dell’esposizione continua dovuta all’assunzione
giornaliera.
Il bioaccumulo delle sostanze tossiche può avvenire o direttamente dall’ambiente
in cui l’organismo vive o attraverso l’ingestione lungo le catene trofiche oppure
in entrambi i modi: nel primo caso il fenomeno viene definito bioconcentrazione,
nel secondo caso biomagnificazione.
Nel caso della bioconcentrazione le concentrazioni della sostanza nei tessuti dell’organismo
diventano progressivamente più alte di quelle presenti nell’ambiente
da cui è stata assorbita. Il fattore di bioconcentrazione6 viene definito come il rapporto
all’equilibrio tra la concentrazione di una sostanza tossica nell’organismo e
quella nel mezzo circostante7
. Naturalmente tale fattore varia, oltre che da sostanza
a sostanza, anche da specie a specie: ad esempio nella Daphnia magna (specie
di crostaceo cladocero) il fattore di bioconcentrazione per la TCDD è stato valutato
pari a 2.000, mentre in esemplari di trota iridea è stato stimato pari a 20.131.
Valori di BCF maggiori di 1.000 misurati nei pesci suggeriscono che la bioconcentrazione
negli organismi acquatici è molto elevata (dati HSDB8
).
Bisogna sottolineare che elevati fattori di bioaccumulo sono responsabili del fenomeno
di “amplificazione” delle concentrazioni, che portano quantità e concentrazioni
nei comparti ambientali dai livelli di traccia a livelli tali da risultare potenzialmente
preoccupanti.
1.2 Fattore di Tossicità Equivalente
Generalmente le diossine non vengono rilevate nelle diverse matrici come singoli
composti, ma come miscele complesse dei diversi congeneri; si ribadisce, inoltre,
che non tutti i congeneri sono tossici o lo sono alla stessa maniera.
Per riuscire a esprimere la tossicità dei singoli congeneri, è stato introdotto il concetto
di fattore di tossicità equivalente9 (TEF*). I fattori di tossicità equivalente si
8
5 Il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti (Department of Health and Human Services, HHS), congiuntamente
al Dipartimento per l’Agricoltura (U.S. Department of Agriculture, USDA), pubblicano ogni 5 anni, a
partire dal 1980, delle linee-guida contenenti indicazioni sulla dieta da seguire per ridurre l’esposizione a contaminanti
tossici e/o cancerogeni (Dietary Guidelines for Americans, Gennaio 2005).
6 Bioconcentration Factor (BCF).
7 Per gli organismi acquatici il mezzo circostante corrisponde all’acqua, mentre per gli organismi terrestri esso corrisponde
al cibo di cui si nutrono (Travis and Arms, 1988).
8 Hazardous Substances Data Bank.
9 Toxicity Equivalence Factor (TEF).
basano sulla considerazione che i PCDD e i PCDF sono composti strutturalmente
simili che presentano il medesimo meccanismo strutturale di azione (attivazione del
recettore Ah*) e producono effetti tossici simili: proprio il legame tra le diossine e
il recettore Ah è il passo chiave per il successivo innescarsi degli effetti tossici. I
TEF vengono calcolati confrontando l’affinità di legame dei vari composti organoclorurati
con il recettore Ah, rispetto a quella della 2,3,7,8-TCDD, considerando
l’affinità di questa molecola come il valore unitario di riferimento.
Per esprimere la concentrazione complessiva di diossine nelle diverse matrici si è
introdotto il concetto di tossicità equivalente (TEQ*) che si ottiene sommando i
prodotti tra i valori TEF dei singoli congeneri e le rispettive concentrazioni,
espresse con l’unità di misura della matrice in cui vengono riscontrate10, ovvero:
Per i TEF sono stati proposti due schemi di classificazione: quello degli
International TEFs11 e quello del World Health Organization (WHO)12 WHOTEFs13
(Tabella 1):
Tabella 1: I fattori di tossicità equivalente secondo NATO e WHO
PCDD/F I-TEFs (NATO/CCMS14, 1988) WHO-TEFs (Van den Berg et al, 1998)
2,3,7,8-TCDD 1 1
1,2,3,7,8-PeCDD 0,5 1
1,2,3,4,7,8-HxCDD 0,1 0,1
1,2,3,6,7,8-HxCDD 0,1 0,1
1,2,3,7,8,9-HxCDD 0,1 0,1
1,2,3,4,6,7,8-HpCDD 0,01 0,01
OCDD 0,001 0,0001
2,3,7,8-TCDF 0,1 0,1
1,2,3,7,8-PeCDF 0,05 0,05
2,3,4,7,8-PeCDF 0,5 0,5
1,2,3,4,7,8-HxCDF 0,1 0,1
1,2,3,6,7,8-HxCDF 0,1 0,1
1,2,3,7,8,9-HxCDF 0,1 0,1
2,3,4,6,7,8-HxCDF 0,1 0,1
1,2,3,4,6,7,8-HpCDF 0,01 0,01
1,2,3,4,7,8,9-HpCDF 0,01 0,01
OCDF 0,001 0,0001
(T = tetra, Pe = penta, Hx = hexa, Hp = hepta, O = octa)
9
10 Le unità di misura della concentrazione vengono espresse, generalmente in:
suolo/sedimenti: mg/kg – μg/kg – ng*/kg;
acque: mg/l – μg/l – ng/l;
aria: mg/m3 – μg/m3 – ng/m3
.
I fattori di emissione sono, invece espressi, in generale, su base oraria o giornaliera (vedi capitolo 5). 11 NATO/CCMS, 1988.
12 Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). 13 Van den Berg et al., 1998. 14 NATO/CCMS: North Atlantic Treaty Organization/Committee on the Challenges of Modern Society.
1.3 Effetti sulla salute umana e sugli organismi
Effetti sulla salute umana
L’uomo, in quanto vertice della catena trofica, risulta esposto alle conseguenze
derivanti dalla presenza di diossine nell’ambiente anche a concentrazioni basse o
addirittura bassissime. Qui di seguito si sintetizzano gli effetti maggiormente noti
di tali contaminanti sull’organismo, evidenziando che si tratta prevalentemente di
patologie conseguenti a esposizioni acute tipiche di eventi incidentali e/o esposizioni
professionali. Occorre inoltre osservare che, in alcuni casi, la relazione causa-effetto
tra esposizione alla contaminazione ed effetti sull’organismo non è stata
pienamente accertata.
Si riportano qui di seguito i risultati15 di una ricerca bibliografica effettuata per
sintetizzare le conclusioni degli studi sperimentali disponibili sui potenziali effetti
biologici delle diossine.
La cloracne è stata storicamente la prima espressione clinica e patologica collegata
all’esposizione alle diossine; essa fu infatti individuata per la prima volta nel
189716. Fu segnalata come malattia occasionale tra i lavoratori addetti alla produzione
dei primi pesticidi negli anni ‘30, e tra i lavoratori degli impianti per la sintesi
dei policlorobifenili (PCB). La malattia si manifesta con eruzioni cutanee e
pustole simili a quelle dell’acne giovanile, però con possibile localizzazione estesa
all’intera superficie corporea e con manifestazioni protratte, nei casi più gravi,
per diversi anni.
Studi condotti su animali e sull’uomo evidenziano le alterazioni a carico del sistema
immunitario indotte da diossine anche a dosi molto limitate17. Tali alterazioni
consistono nella riduzione e nel danneggiamento della popolazione dei linfociti
(cellule che svolgono una funzione importante nelle difese dell’organismo e altri
microrganismi infettivi).
Altri studi evidenziano come l’azione delle diossine può essere particolarmente
dannosa durante lo sviluppo fetale, al momento cioè della differenziazione tissutale
del sistema immunitario, determinando alterazioni a lungo termine, sia in
senso immunodepressivo che ipersensibilizzante.
Altri importanti effetti delle diossine si riscontrano a livello del sistema endocrino;
tali contaminanti vengono infatti classificati tra i modulatori endocrini, termine
che indica “un agente esogeno che interferisce con produzione, rilascio, trasporto,
metabolizzazione, legame, azione o eliminazione di ormoni naturali del corpo,
responsabili del mantenimento dell’omeostasi (situazione che consente di mantenere
in uno stato di equilibrio biochimico dinamico le condizioni di vita dell’ambiente
interno del nostro organismo) e della regolazione dei processi riproduttivi e
di sviluppo”18.
Nei feti esposti a concentrazioni di diossine pari o lievemente superiori ai valori di
base durante la fase gestazionale sono stati riscontrati effetti sullo sviluppo del sistema
nervoso e sulla neurobiologia del comportamento, oltre che effetti sull’equilibrio
ormonale della tiroide.
10
15 Le informazioni riportate sono quindi da intendersi come una sintesi dei dati disponibili e non come una validazione
degli stessi da parte di APAT. 16 Herxheimer, 1899. 17 U.S. E.P.A., 1994. 18 European Commission, 1996.
La TCDD è stata riconosciuta quale agente cancerogeno per l’uomo (classificata
gruppo 1) dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro19.
L’esposizione cronica subletale alla TCDD provoca un accumulo di porfirine nel
fegato (porfiria20) ed un incremento dell’escrezione urinaria di queste sostanze.
Nei casi conclamati, l’accumulo di porfirine si estende anche alla milza ed ai reni.
La TCDD è irritante per gli occhi, la cute e il tratto respiratorio. La sostanza può determinare
effetti, anche in tempi ritardati rispetto all’esposizione, sul sistema cardiovascolare,
sul tratto gastrointestinale, sul fegato, sul sistema nervoso e sul sistema
endocrino. Contatti ripetuti o prolungati con la cute possono causare dermatiti.
Effetti sugli organismi
Oltre al bioaccumulo sono stati osservati effetti tossici, sia cronici che acuti, che
consistono generalmente in una riduzione della fertilità, disturbi della crescita,
immunotossicità e cancerogenità in esemplari della fauna selvatica esposti alle
diossine nel proprio ambiente.
Tuttavia, fuori del laboratorio è spesso impossibile dimostrare chiaramente un
rapporto causa/effetto tra l’esposizione alle diossine e i fenomeni osservati. Da
studi effettuati sulle prime fasi di vita (uova, embrioni, fasi larvali) risulta che la
maggior parte delle specie è sensibile alle diossine, poiché tali sostanze agiscono
su diversi sistemi determinanti per la crescita e lo sviluppo, tra cui il metabolismo
della vitamina A e degli ormoni sessuali21.
11
19 IARC, 1997, Volume 69. 20 La porfiria è una malattia che provoca una serie di effetti tra i quali distruzione di globuli rossi e fotosensibilità.
21 Strategia comunitaria sulle diossine, 2001
2. COMPORTAMENTO E DISTRIBUZIONE AMBIENTALE
Come visto in precedenza, le diossine vengono emesse in atmosfera, da una o più
sorgenti, e possono essere trasportate per grandi distanze e successivamente depositarsi,
ed essere ritrovate nell’acqua, nei suoli e nei sedimenti.
Le diossine possono quindi depositarsi sul suolo e sulle parti arboree dei pascoli e
dei seminativi rendendosi così disponibili per l’ingestione da parte degli animali da
pascolo e da allevamento; possono inoltre essere trasportate dalle acque superficiali
e raccolte nei sedimenti e raggiungere quindi la fauna ittica (Figura 4).
2.1 Ambiente atmosferico
Per comprendere il comportamento di PCDD/F nei diversi comparti ambientali è
necessario prima identificare le principali vie di trasporto ed i parametri che con-
13
Figura 4: Destino e trasporto ambientale
trollano il trasferimento di queste sostanze nelle diverse matrici. Occorre quindi
capire le leggi che regolano il movimento di PCDD/F nell’ambiente atmosferico,
e quali caratteristiche chimico-fisiche devono essere considerate per individuare i
possibili effetti sugli ecosistemi e il destino ambientale.
Le PCDD/F sono composti definibili “semivolatili” e, nell’atmosfera, sono presenti
sia in fase vapore che come particolato.
Conoscere la forma (gas o particolato) in cui queste sostanze si trovano nell’atmosfera
è importante in quanto da essa dipendono i fenomeni a cui PCDD/F sono sottoposti:
quali il trasferimento in altre matrici ed i meccanismi di degradazione22.
La deposizione sul suolo, sulla vegetazione e sulle superfici acquatiche di questi
contaminanti può avvenire attraverso meccanismi di “deposizione secca e umida”.
Nel caso di deposizione umida le diossine possono impattare suolo, corpi idrici e
vegetazione in due modi: o si dissolvono nelle precipitazioni o sono associate al particolato
rimosso dalle precipitazioni. La deposizione umida è il meccanismo primario
attraverso il quale il particolato di piccole dimensioni viene rimosso dall’atmosfera.
In conclusione le diossine vengono rimosse23 fisicamente dall’atmosfera per:
• deposizione umida (rimozione attraverso precipitazioni);
• deposizione secca di particolato (caduta gravitazionale delle particelle) ed
infine deposizione secca della fase vapore (assorbimento di queste sostanze
in fase vapore dalla vegetazione).
2.2 Ambiente terrestre
L’ambiente terrestre può ricevere gli inquinanti ambientali attraverso differenti
vie; le più importanti sono:
• deposizione atmosferica;
• spandimento di fanghi e compost;
• spandimento di sedimenti provenienti da esondazioni;
• erosione da aree contaminate nelle vicinanze.
Nel suolo la TCDD, ad esempio, non presenta mobilità significativa in quanto è
adsorbita dal carbonio organico del suolo stesso; una volta adsorbita, rimane relativamente
immobile ed a causa della bassa solubilità in acqua non mostra tendenza
alla migrazione in profondità. La via di fuga più probabile della TCDD presente
sulla superficie del suolo umido è la volatilizzazione24, l’adsorbimento può attenuare
questo processo.
La persistenza di TCDD negli strati superficiali del suolo è stimata con un’emivita*
pari a 9-15 anni, mentre l’emivita stimata per gli strati più profondi è di 25-
100 anni (HSDB). I suoli costituiscono, quindi, dei recettori naturali per le diossine
e, a causa della limitata rimozione e del lungo periodo di emivita, rappresentano
una tipica matrice accumulatrice.
14
22 Degradazione della fase vapore a seguito di reazioni con i radicali idrossili prodotti fotochimicamente. 23 Marklund et al., 1990; Rippen e Wesp, 1993; Welsch-Pausch et al., 1993. 24 Sulla base della costante di Henry (5.0·10-5 atm m3
/mole) è trascurabile
2.3 Ambiente acquatico
L’ambiente acquatico può ricevere le PCDD/F attraverso:
1. deposizione atmosferica,
2. immissione di reflui industriali,
3. dilavamento di suoli contaminati.
Una volta immesse nei corpi idrici le diossine possono volatilizzare e quindi rientrare
in atmosfera, o adsorbirsi ai sedimenti o bioaccumularsi negli organismi. Le
15
Figura 5: Destino e trasporto in ambiente terrestre
Figura 6: Destino e trasporto in ambiente acquatico
diossine sono molecole scarsamente idrosolubili, ma trovano nell’acqua un’ottima
via di diffusione una volta adsorbite sulle particelle minerali ed organiche che si trovano
in sospensione su di essa.
2.4 Assorbimento e contaminazione nei vegetali
L’assorbimento dei composti organici da parte delle piante è controllato da vari
fattori:
• proprietà chimico-fisiche del composto (solubilità in acqua, pressione di vapore*,
coefficiente di ripartizione ottanolo-acqua25, peso molecolare);
• fattori ambientali (temperatura, contenuto di carbonio organico nei terreni,
contenuto di acqua nel suolo);
• caratteristiche delle piante26.
I vegetali possono essere contaminati da sostanze inquinanti attraverso tre meccanismi:
1. assorbimento radicale (trasferimento dell’inquinante dal suolo alla parte alta
della pianta attraverso l’assorbimento da parte delle radici);
2. volatilizzazione dal suolo;
3. deposizione atmosferica (direttamente sulle foglie).
La concentrazione totale di contaminante presente nelle piante è calcolata come
la somma di contaminante assunto attraverso tutti questi meccanismi.
16
25 Misura la lipofilicità del composto 26 DETR (Department of the Environment, Transport and the Regions), 1999
Figura 7: Vie di contaminazione delle piante
2.4.1 Assorbimento radicale
L’assorbimento radicale di diossine da parte delle piante rappresenta una via di
contaminazione poco significativa, poiché nel suolo sono fortemente adsorbite al
carbonio organico e quindi risultano poco disponibili per le piante27.
Una importante eccezione riguarda la famiglia delle cucurbitacee (zucchine, zucche,
ecc.), le quali rilasciano particolari sostanze nel suolo (essudati radicali) che
sono in grado di mobilizzare le diossine in prossimità delle radici rendendole disponibili
all’assorbimento radicale. Una volta assorbite, vengono trasportate, tramite
i sistemi vascolari delle piante, dalle radici ai frutti28. Per quanto riguarda i
vegetali che crescono sottoterra, come patate e carote, essendo trascurabile l’assorbimento
radicale, i bulbi sono interessati solo da un assorbimento superficiale
dovuto al contatto diretto delle diossine presenti nel suolo e quindi la rimozione
della buccia comporta l’eliminazione del contaminante29.
2.4.2 Volatilizzazione di diossine dal suolo
Un’altra via attraverso la quale i vegetali possono essere contaminati è rappresentata
dalla volatilizzazione di diossine dal suolo ed il conseguente assorbimento
del vapore da parte delle foglie: tale meccanismo di contaminazione è rilevante
solo se il suolo considerato presenta alte concentrazioni di diossine30 .
Nel rapporto finale sul campionamento delle zone inquinate di Seveso, oltre le
zucchine, anche spinaci e mais presentavano alte concentrazioni di diossina
(TCDD). Gli autori ritenevano che la contaminazione di questi vegetali, presenti
nelle aree interessate dall’incidente ICMESA, fosse dovuta al fenomeno della volatilizzazione,
date le elevate concentrazioni di diossina presenti nel suolo e dato che
il contributo dovuto alla deposizione atmosferica non superava il 5%. La diossina,
infatti, evaporando dal suolo, forma uno strato con alte concentrazioni in prossimità
della superficie del terreno, determinando così un assorbimento diretto da parte
delle vegetazione bassa31.
2.4.3 Deposizione atmosferica
La deposizione atmosferica può essere classificata secondo tre diverse tipologie:
• deposizione secca di gas;
• deposizione secca di particolato;
• deposizione umida.
L’incidenza di queste tre vie di contaminazione dipende dalla ripartizione
gas/particolato di PCDD/F in atmosfera.
Il trasferimento sulla vegetazione di tutti i congeneri delle diossine, esclusi
HpCDD/F e OCDD/F (presenti principalmente nel particolato atmosferico), avviene
attraverso meccanismi di deposizione secca della fase vapore, mentre i congeneri
epta e octa sostituiti contaminano suolo e vegetazione attraverso meccanismi
di deposizione secca e umida di particolato32.
17
27 Hulster and Marschner, 1993; Muller et al., 1993; Schroll and Scheurnet, 1993; Mc Crady, 1994; ARPAG,
1995; Simonich and Hites, 1995; Welsch-Pausch et al., 1995; McLachlan, 1997 28 Hulster et al., 1994; McCrady, 1994; Simonich and Hites, 1995; Lovett et al., 1997; Barbiere et al.,2000;
Meneses et al., 2002 29 Facchetti and Balasso, 1986; Hulster and Marschner, 1993 30 Bacci et al., 1992; DETR, 1999. 31 Barbiere et al., 2000. 32 Gaggi and Bacci, 1985; Bacci et al., 1990; Rippen and Wesp, 1993; McLachlan et al., 1995; Simonich and
Hites, 1995; Welsh-Pausch et al., 1995
Secondo i risultati degli studi condotti da Meneses et al. (2002) la via di contaminazione
più significativa è rappresentata dall’assorbimento della fase vapore con
un contributo di PCDD/F di circa il 66%, la deposizione secca di particolato presenta
un contributo di circa il 13%, la deposizione umida di particolato è pari a
circa il 21%, mentre l’assorbimento radicale di diossine è trascurabile.
In conclusione, la deposizione atmosferica di queste sostanze rappresenta una via
di contaminazione molto significativa per i vegetali, poiché le diossine che si depositano
sulla loro superficie, insieme ad altre particelle atmosferiche, vengono
assorbite dalla cuticola cerosa presente sulla superficie fogliare.
Una volta che le diossine sono fissate sulla superficie delle foglie non presentano
mobilità all’interno della pianta, in quanto non vi sono meccanismi in grado di
trasportare queste sostanze all’interno dei tessuti dei vegetali.
I fattori principali che controllano la deposizione di diossine nella fase vapore sono
la concentrazione in atmosfera di PCDD/F, la superficie di esposizione, la
quantità e la qualità delle strutture cerose ed altre caratteristiche delle piante: dati
sperimentali indicano che, per un breve periodo di esposizione, maggiore è la superficie
specifica di esposizione della foglia, maggiore è la quantità di diossine
assorbita33.
2.5 Valori di fondo nei comparti ambientali
Per effettuare una corretta valutazione dello stato della contaminazione di un territorio
è opportuno conoscere i valori tipici che si possono trovare come valori di
fondo nei vari comparti ambientali. Il valore di fondo rappresenta il livello stimato
di un inquinante in assenza di fonti di contaminazione vicine e quindi questo
parametro assume particolare rilievo nel caso delle diossine poiché, come già detto,
a causa delle loro caratteristiche chimico-fisiche, esse si possono trovare anche
in matrici/comparti ambientali distanti da sorgenti inquinanti.
A tal proposito si riportano in Tabella 2 i valori di fondo relativi a diverse località
del Nord America presentati in un documento EPA. I dati di tale indagine si riferiscono
a matrici ambientali che sono rappresentative di zone lontane da potenziali
sorgenti di emissione ed i valori rappresentano la media aritmetica dei TEQ e la
deviazione standard.
Tabella 2: Livelli di fondo di PCDD/F nelle matrici ambientali
Matrice ambientale PCDD/PCDF (TEQ-WHO98)
Suolo urbano (ppt*) 9,3 ± 10,2
range = 2-21
Suolo rurale (ppt) 2.7
range = 0,1-6
Sedimenti (ppt) 5,3 ± 5,8
range = < 1 - 20
Aria urbana (pg*/m3
) 0,12 ± 0,094
range = 0,03 – 0,2
Aria rurale (pg*/m3
) 0,013
range = 0,004 – 0,02
Acqua (ppq)34 0,00056 ± 0,00079
18
33 McCrady, 1994 34 ppq*: parti per quadrilione (pg/kg)
3. COME SI FORMANO LE DIOSSINE
Le diossine non vengono prodotte intenzionalmente, non avendo alcun utilizzo
pratico, ma sono sottoprodotti indesiderati di una serie di processi chimici e/o di
combustione.
Esse possono originarsi dai processi chimici di sintesi relativi ai composti clorurati
e dai processi di combustione non controllata che coinvolgono vari prodotti quali:
materie plastiche, termoplastiche, termoindurenti, ecc., nonché reflui e rifiuti
contenenti composti clorurati; per questo motivo tali processi vengono indicati
come “sorgenti primarie”.
Una volta immesse nell’ambiente le diossine, come visto nel precedente capitolo,
sono soggette a vari destini ambientali e danno origine a processi di accumulo in
specifici comparti/matrici ambientali (suoli e sedimenti) e di bioaccumulo in specifici
prodotti (latte e vegetali a foglia larga) ed organismi (fauna ittica ed erbivori)
per divenire a loro volta “sorgenti secondarie”, ossia successive ed aggiuntive
a quelle primarie.
Le sostanze che producono diossine a seguito della loro combustione vengono indicate
come “precursori”, mentre quelle che presentano tracce/residui di diossine
in conseguenza del loro processo di produzione35 costituiscono delle “riserve” in
grado di rilasciare diossine nell’ambiente con modalità dipendenti dal tipo di utilizzazione
e gestione (pratiche e comportamenti antropici).
Tra i processi chimici emergono quelli di produzione delle plastiche, di composti
chimici, della carta e degli oli combustibili e come tali sono anche i responsabili diretti
nella produzione di precursori e di riserve.
I processi di combustione si possono distinguere in:
• combustioni incontrollate, tra le quali:
– incendi accidentali ed all’aperto (di materiali eterogenei, quali rifiuti urbani,
pneumatici, ecc.), il cui contributo risulta di difficile quantificazione36 e
valutazione;
19
35 Reflui e rifiuti provenienti dai processi di sintesi dei composti clorurati, diserbanti, pesticidi, ecc. 36 A titolo meramente esemplificativo si evidenzia che da uno studio condotto da Alcock et al., nel 2001, risulta
che queste sorgenti possono contribuire in una misura che varia dal 13% al 70% al totale delle emissioni di
PCDD/F.
– incendi boschivi in presenza di composti chimici clorurati per la combustione
di lignina e cellulosa;
– eruzioni vulcaniche con meccanismo di produzione di diossine analogo
agli incendi boschivi.
• combustioni controllate (volontarie) di:
– rifiuti solidi urbani (incenerimento);
– fanghi (incenerimento);
– carburante/combustibili nei processi di fusione dei metalli ferrosi e non
ferrosi;
– carburante/combustibili nei processi di produzione del cemento.
• altre combustioni controllate per la produzione di energia:
– trasporti (per l’utilizzo di combustibili che contengono composti clorurati);
– combustione di legno trattato;
– combustione di oli combustibili.
La figura 8 illustra in modo schematico le relazioni tra processi, sorgenti e ambiente.
Alla luce dello schema sopra esposto, si può effettuare una distinzione tra responsabilità
del singolo processo (termico e chimico-industriale), e corresponsabilità
di entrambi, nella produzione di diossine; in una tale ottica, infatti, gli output dei
processi chimici, sovente, diventano l’input nei processi termici, generando così una
vera e propria “catena di approvvigionamento da diossine”.
È importante, inoltre, evidenziare come siano soprattutto i precursori e le riserve,
a costituire le sorgenti di diossine più difficilmente controllabili e localizzabili sul
territorio.
Tra i precursori troviamo i PCP/PCP-Na (Pentaclorofenolo), i PCB
(Policlorobifenili), le cloroparaffine negli oli usati, il cloro inorganico e le termoplastiche.
Questi composti chimici vengono utilizzati per la produzione di conservanti
del legno, di pesticidi, nell’industria del cuoio e della pelle in generale e
nell’industria delle plastiche.
Le riserve sono costituite da composti clorofenossilici (come il vecchio diserbante
2,4,5-T o acido triclorofenossiacetico e il più attuale 2,4-D o acido diclorofenossiacetico),
da composti intermedi di sintesi per i disinfettanti (esaclorofene)
e da composti clorurati alifatici che contengono tracce/residui di PCDD/F come
sottoprodotti indesiderati formati durante i processi produttivi. Altre importanti
riserve sono costituite da differenti composti organici alogenati utilizzati nell’industria
della plastica come il cloruro di vinile monomero (CVM), il polistirene
(polistirolo) e il dicloroetilene che contengono anche essi tracce/residui di
PCDD/F come sottoprodotti indesiderati formatisi durante i processi produttivi37.
Per fornire delle indicazioni generali riguardo le fonti di emissioni di diossine nel
nostro Paese si riportano in Tabella 3 i dati, presentati nell’Annuario dei dati
Ambientali38, relativi le emissioni in atmosfera di questi inquinanti originati da varie
attività e processi produttivi. Nella rilevazione e presentazione dei dati si utilizza la
classificazione SNAP39 97, in base alla quale tutte le attività antropiche e naturali
che possono dare origine a emissioni in atmosfera sono ripartite in macrosettori.
20
37 Greenpeace, 1993; Stringer et al., 1995 38 APAT, 2005
39 SNAP: Selected Nomenclature for Air Pollution
21
Figura 8: Relazioni tra processi e sorgenti
I dati analizzati riguardo le emissioni di diossine e furani in Italia sono relativi al
periodo 1990/1995-2002 e sono riportati in grammi di equivalente tossico secondo
la classificazione di tossicità I-Teq (g I-Teq/anno).
Tabella 3: Emissioni nazionali di diossine e furani per macrosettori SNAP 97
Diossine e Furani 1990 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
g I-Teq/a
A 24,73 28,42 27,27 26,59 25,02 21,94 21,97 20,77 22,63
B 24,59 27,48 26,63 28,97 28,79 32,47 33,30 33,99 29,44
C 117,47 121,20 110,07 121,75 121,44 119,97 130,14 124,49 119,63
D 67,20 71,68 62,68 66,51 67,92 63,41 71,08 73,89 74,67
G 7,41 7,48 7,03 6,35 5,57 4,91 4,19 3,80 3,27
I 199,11 193,16 148,95 132,84 126,19 110,13 57,39 37,12 36,06
M 2,15 0,45 0,24 0,72 0,95 0,61 0,93 0,73 0,33
Totale 442,67 449,87 382,87 383,71 375,88 353,43 319,00 294,80 286,03
Fonte: APAT, 2005
Legenda: A: Combustione Energia e Industria di Trasformazione; B: Combustione non Industriale; C:
Combustione Industriale; D: Processi Produttivi; G: Trasporti Stradali; I: Trattamento Smaltimento Rifiuti; M:
Altre sorgenti Emissione e Assorbimenti
La Tabella 3 evidenzia le emissioni di PCDD/F in atmosfera suddivise per 7 macrosettori
SNAP. Nell’anno 2002 si nota che circa il 42% delle emissioni è da imputare
al macrosettore “Combustione Industriale” che comprende le seguenti sottocategorie:
• combustione nelle caldaie, turbine e motori a combustione interna;
• forni di processo senza contatto;
• processi di combustione con contatto.
Circa il 26% delle emissioni è da imputare al macrosettore “Processi Produttivi” che
comprende le seguenti sottocategorie:
• processi nell’industria petrolifera;
• processi nelle industrie del ferro e dell’acciaio e nelle miniere di carbone;
• processi nelle industrie di metalli non ferrosi;
• processi nelle industrie chimiche inorganiche;
• processi nelle industrie chimiche organiche;
• processi nell’industria del legno, pasta per la carta, alimenti, bevande e altro;
• produzione di idrocarburi alogenati ed esafluoruro di zolfo.
Circa il 13% delle emissioni è da imputare al macrosettore “Trattamento Smaltimento
Rifiuti” che comprende le seguenti sottocategorie:
• incenerimento rifiuti;
• interramento di rifiuti solidi;
• incenerimento di rifiuti agricoli ;
• cremazione;
• altri trattamenti di rifiuti.
Circa il 10% delle emissioni è da imputare al macrosettore “Combustione non industriale”
che comprende le seguenti sottocategorie:
• impianti commerciali ed istituzionali;
• impianti residenziali;
• impianti in agricoltura, silvicoltura e acquicoltura.
22
Gli altri macrosettori contribuiscono con percentuali minori.
In conclusione i processi di combustione rappresentano le attività macrosettoriali
maggiormente responsabili delle emissioni in atmosfera di diossine e furani.
Venendo ora ad un tema specifico si riporta in Tabella 4 una stima effettuata
dall’Unione Europea sul rilascio di diossine e furani sulla matrice suolo, dalla
quale risulta che l’apporto maggiore della contaminazione è attribuibile alla produzione
di pesticidi e agli incendi incontrollati (accidentali/dolosi).
I valori riportati nella Tabella 4 si riferiscono alla stima della quantità di diossine
presente nei rifiuti derivanti dalle sopra citate attività e conferiti direttamente sul
suolo e quindi solo potenzialmente biodisponibile e si riferiscono all’anno 1994.
Tabella 4: Rilascio di diossine e furani sul suolo dovuti ad attività antropica e naturale
(Fonte UE, 2001)
Sorgente g I-TEQ/anno (1994) % Totale
Produzione pesticidi 13000 34
Incendi accidentali 7950 21
Incenerimento di rifiuti solidi urbani 7200 19
Interramento di rifiuti solidi 4000 10
Uso di pesticidi 1600 4,2
Fusione secondaria del piombo 1200 3,2
Combustione di legno domestico 650 1,7
Fusione secondaria del rame (recupero) 390 1
Produzione acciaio (forno elettrico) 350 0,9
Fusione secondaria dell’alluminio (recupero) 310 0,8
3.1 Sorgenti primarie
Le sorgenti primarie originano diossine tramite due tipologie di processo: i processi
chimici-industriali, per effetto di sintesi chimiche, e i processi termici, per
effetto del calore.
3.1.1 Processi chimici-industriali
Nei processi chimici le reazioni avvengono generalmente allo stato liquido e il
prodotto è trattenuto all’interno dell’impianto di reazione. I fattori che favoriscono
la formazione di PCDD/F sono le alte temperature, un ambiente basico, la presenza
di raggi UV40 (ultravioletti) e la presenza di radicali nelle reazioni chimiche.
Nei processi chimici la propensione a generare PCDD/F durante la sintesi di
composti decresce nel seguente ordine:
clorofenoli > clorobenzeni > composti clorurati alifatici > composti clorurati inorganici
Queste sostanze costituiscono riserve in quanto vengono prodotte e utilizzate con
tracce/residuo di diossine le cui concentrazioni possono variare secondo diversi
ordini di grandezza.
23
40 Da considerare che i raggi ultravioletti tendono sia a degradare i PCDD/PCDF in presenza di idrogeno (ad
esempio sulle foglie verdi delle piante) sia ad aiutare la formazione (Nazioni Unite, 1998).
In passato, la principale sorgente di PCDD/F era individuata nella produzione e
nell’uso di prodotti chimici cloroorganici quali quelli utilizzati nell’industria della
carta41; era stata inoltre rilevata una concentrazione rilevante di PCDD/F nei prodotti
finali del processo (pasta di carta, carta) e nei fanghi derivanti dagli stessi.
L’utilizzo di nuove e migliori tecnologie accompagnato da una diversa utilizzazione
delle diverse sostanze ha portato ad una progressiva riduzione delle concentrazioni
di PCDD/F presenti nei prodotti finali e nei fanghi delle cartiere.
Tra gli altri prodotti contaminati dall’utilizzo di queste sostanze – riserva si trovano:
1. il legno,
2. i prodotti tessili,
3. i prodotti in pelle e i prodotti di sughero trattati con pentaclorofenolo (PCP),
4. i fluidi dielettrici che contengono policlorobifenili (PCB), e altri additivi clorurati.
Bisogna, infine, considerare che l’industria chimica contribuisce alla produzione di
diossine anche attraverso la produzione di precursori: prodotti, reflui e rifiuti contenenti
composti clorurati.
Tra i prodotti precursori particolare rilevanza assumono le materie plastiche, termoplastiche,
e termoindurenti. Le plastiche termoindurenti, in particolare, per la loro
caratteristica di essere lavorate ad alte temperature, in fase di produzione, e
successivamente solidificate tramite raffreddamento, tendono ad inglobare le
diossine e a liberarle nell’ambito di una successiva combustione del materiale,
accanto a quelle prodotte ex novo.
3.1.2 Processi di combustione
Riguardo ai processi di combustione bisogna evidenziare che le emissioni sono
da imputare alla presenza di precursori o di diossine nei prodotti/sostanze immesse
nel processo che favorisce la loro decomposizione e trasformazione attraverso
specifiche reazioni chimiche.
In tali processi le reazioni chimiche avvengono a temperature al di sopra dei
250°C e le diossine formatesi hanno una grande propensione ad essere rilasciate allo
stato gassoso.
La Tabella 5 propone un quadro sinottico delle principali sorgenti termiche suddivise
in puntuali, più facilmente misurabili e controllabili, e diffuse, difficilmente
misurabili e controllabili.
Tabella 5: Sorgenti di PCDD/F da combustione
Sorgenti puntuali
• Incenerimento rifiuti: Rifiuti solidi urbani, ospedalieri, combustione di residui plastici generati da pratiche
agricole, combustione di gomme o pneumatici, rifiuti incontrollati, fanghi da acque reflue
• Industria dell’acciaio: Acciaierie, impianti di sintesi, produzione lastre d’acciaio
• Impianti di riciclaggio: Metalli non ferrosi (fusione; Al, Cu, Pb, Zn, Sn)
• Produzione di energia: Impianti alimentati con combustibili fossili, legno, biogas da discarica
Sorgenti diffuse
• Traffico: Automobili e mezzi pesanti
• Riscaldamento domestico: Carbone, olio, gas, legno
• Casuali: Combustione PCB, incendi negli edifici, incendi boschivi, incendi di materiali vari all’aperto,
eruzioni vulcaniche
24
41 Da una stima dell’EPA le concentrazioni riscontrate di diossine e furani in aria e nel suolo, provocate dalle
emissioni di stabilimenti industriali di carta e cartone, avevano un valore di 20 g I-TEQ l’anno.
Incenerimento di RSU
In passato, l’individuazione di elevate concentrazioni di PCDD/F nei gas combusti
dei processi di incenerimento dei rifiuti, ha indotto le diverse autorità nazionali
ad una maggiore cautela nei riguardi delle tecnologie adottate; tale fatto e l’individuazione
ed adozione di nuove soluzioni tecnologiche ha progressivamente
ridotto l’importanza di questa sorgente. Infatti misurazioni recenti sui livelli di
diossine prodotte dagli inceneritori di RSU hanno confermato il trend positivo di
abbattimento delle concentrazioni a seguito di processi di combustione. In particolare,
dati UNEP dimostrano come a partire dagli anni ‘70 i livelli di concentrazione
siano diminuiti del 99,8% grazie proprio al fatto che gli inceneritori di nuova
concezione adottano delle metodologie di incenerimento più efficienti.
Incenerimento di fanghi di depurazione
Per quanto riguarda il contenuto di microinquinanti organoclorurati nei fanghi di
depurazione, si ritiene che esso sia generalmente minore di quanto rilevato nei
RSU, essendo presumibilmente presenti nei fanghi minori quantità di precursori come
i policlorobifenili (PCB), polivinilcloruro (PVC), policloronaftaleni (PCN)
ecc.42
Con l’utilizzo di forni cosiddetti a piani, la camera di post-combustione ha il
compito di riportare i fumi ad alta temperatura e di giungere alla completa combustione
delle sostanze organiche presenti.
Combustione nei motori (trasporti)
La presenza di cloro nel carburante degli autoveicoli è causa della formazione di
diossine nel processo di combustione. Secondo risultati comparativi fra diversi
lavori mostrati in una review della UE43 riguardo valutazioni delle emissioni di
diossine relative ai trasporti su strada si conclude che il contributo è più alto per le
automobili alimentate a benzina con piombo. Per i diesel e le auto alimentate a
benzina senza piombo le emissioni sono molto più basse.
Nella Tabella 6 sono evidenziati i risultati relativi alle emissioni per quanto riguarda
la categoria trasporti.
Tabella 6: Emissioni di aria PCDD/F – Categoria trasporti stradali
Sorgente di emissione Emissioni (g I-TEQ/anno)
Veicoli alimentati con benzina con piombo 97,8
Veicoli alimentati con benzina senza piombo 7,8
Veicoli alimentati con gasolio 5,5
Combustione di legno
In presenza di donatori di cloro la combustione del legno produce diossine con
concentrazioni che dipendono dal fatto che la combustione interessi legno naturale
o legno trattato con pentaclorofenolo (PCP).
25
42 A seguito di uno studio sulla presenza di PCDD nei pozzetti delle fognature di Milano, sono stati rilevati livelli
di concentrazione compresi tra alcuni ng/kg (ppt, parti per trilione) ed alcune centinaia di ng/kg. 43 UE, 2001. European Dioxin Inventory- Stage II
3.1.3 Sorgenti di combustione incontrollate
Incendi accidentali ed all’aperto
A causa della molteplicità e varietà dei materiali che possono bruciare (carta, plastica,
cibo, vestiti, metalli, ecc.) e della diversa natura degli incendi possibili (incendi
di edifici, di automobili, rifiuti, ecc.) risulta molto difficile effettuare una
stima precisa dei fattori di emissione specifici per questa categoria di sorgente.
Incendi boschivi
Molti ricercatori hanno cercato di individuare le modalità con cui gli incendi boschivi
danno origine alle diossine. Da uno studio44 svolto in Inghilterra risulta che
la concentrazione di diossine nei gas derivanti dalla combustione naturale di una foresta
sia dovuta alla presenza di composti clorurati (presenti in basse concentrazioni
nell’ambiente) prima dell’evento di combustione.
3.1.4 Processi di raffinazione e fusione dei metalli
Le diossine prodotte da questo tipo di sorgenti sono dovute sia alla tipologia di
combustibili bruciati nei forni per ottenere temperature sufficientemente alte da
fondere i metalli che alle materie immesse nel forno metallurgico: la carica e il
combustibile.
Quanto al combustibile, la responsabilità di possibili formazioni di diossine possono
essere circoscritte in modo relativamente semplice individuando la presenza di
frazioni aromatiche, residui pesanti suscettibili di cracking, ecc.
Per ciò che riguarda la carica, tutti i processi di rifusione di rottami non ferrosi e ferrosi
possono potenzialmente dar luogo ad emissioni di diossine per la presenza di
plastiche, oli, varie sostanze chimiche e PCB presenti nei componenti elettrici
vecchi.
3.1.5 Processi per la produzione di cemento
La fase di cottura è il cuore della produzione cementiera. Nonostante i forni possano
raggiungere temperature di 1450°C, è difficile ottenere una distribuzione
uniforme della temperatura in ogni parte del forno, che può subire brusche variazioni
a causa della grande quantità di materiali solidi presenti, ed un sufficiente
apporto di ossigeno. Questi due fattori, tenuto anche conto del fatto che come
combustibili alternativi possono essere utilizzati diverse tipologie di rifiuti, portano
alla formazione di diossine.
26
44 Douben et al., 1995
4. POLICLOROBIFENILI (PCB)
4.1 Dati generali
I policlorobifenili (PCB) sono una serie di composti aromatici biciclici costituiti da
molecole di bifenile variamente clorurate. Si tratta di molecole sintetizzate all’inizio
del secolo scorso e prodotte commercialmente fin dal 1930, sebbene attualmente
in buona parte banditi a causa della loro tossicità e della loro tendenza a
bioaccumularsi. A differenza delle diossine, quindi, i PCB sono sostanze chimiche
prodotte deliberatamente tramite processi industriali.
I PCB vengono ricavati a partire dal petrolio e dal catrame, dai quali si estrae il
benzene, che viene poi trasformato in bifenile. Il bifenile viene successivamente clorurato
a policlorobifenile, la cui formula è C12 Ha Clb (Figura 9).
In base alla posizione degli atomi di cloro nella molecola del bifenile si possono ottenere
209 congeneri: la nomenclatura IUPAC45 assegna ad ogni congenere un
numero tra 1 e 209. Le caratteristiche fisico-chimiche dei congeneri dei PCB variano
notevolmente e questa variabilità ha dirette conseguenze su persistenza e
bioaccumulo dei singoli congeneri. I congeneri dei PCB sono suddivisi in due
gruppi in base alla diversa possibilità che hanno gli atomi di cloro di disporsi su un
unico anello del bifenile o su entrambi.
27
45 IUPAC International Union of Pure and Applied Chemistry
Figura 9: Formula di struttura dei PCB_C12 Ha CIb (X può essere H o CI)
I PCB sono composti chimici molto stabili, resistenti ad acidi ed alcali ed alla fotodegradazione,
non sono ossidabili, non attaccano i metalli, sono poco solubili
in acqua ma lo sono in olio e solventi organici quali alcol e acetone. Non sono infiammabili
(quando la loro molecola contiene più di 4 atomi di cloro), evaporano
ad oltre 800˚C e si decompongono solo oltre i 1000˚C. Sono poco volatili, si possono
spandere su superfici formando sottili pellicole, hanno bassa costante dielettrica,
densità maggiore dell’acqua, elevata lipoaffinità e sono scarsamente biodegradabili.
Prima che nel 1985 fossero vietati il commercio e l’uso, i PCB erano generalmente
utilizzati in due tipologie d’applicazione (Tabella 7):
• nei sistemi chiusi come ad esempio fluidi dielettrici in apparecchiature elettriche
(principalmente trasformatori); di questi usi le principali vie di contaminazione
ambientale sono riconducibili a perdite, incendi, scarichi illeciti e
smaltimento inadeguato;
• nei sistemi aperti come additivi per antiparassitari, ritardanti di fiamma, isolanti,
vernici, ecc.; tra questi usi le principali fonti di contaminazione ambientale sono
le discariche, la migrazione di particelle e l’emissione in atmosfera a seguito
di evaporazione.
Tabella 7 – Utilizzo dei PCB
Altre fonti di contaminazione, relativamente meno importanti, sono l’incenerimento
dei rifiuti, la concimazione dei terreni con fanghi provenienti dalla depurazione
di acque di scarico, la combustione di oli usati, le riserve di PCB nei sedimenti
marini, fluviali e nei fanghi di dragaggio dei porti.
E’ stato stimato che all’inizio del secolo scorso sono state prodotte e commercializzate
più di un milione di tonnellate di PCB (dati European Commission, 2000);
28
Sistemi chiusi
Olio
Per trasformatori: centrali termoelettriche, navi, industrie,
edifici, treni, metropolitane, tram, generatori, televisori, ecc.
Per condensatori: centrali, industrie, forni elettrici, navi, motori,
lampade a mercurio e fluorescenti, apparecchi telegrafici,
lavatrici, frigoriferi, condizionatori d’aria, televisori, elaboratori
elettronici, ecc.
Altri usi Cavi elettrici, trivelle, ecc.
Sistemi aperti
Conduttore di calore Apparecchi per riscaldamento e raffreddamento
Olio lubrificante Apparecchiature operanti ad alta temperatura, alta pressione,
sott’acqua, pompe ad olio, compressori
Elasticizzante Colle, vernici, grassi sintetici, asfalto, inchiostri per stampe
Elasticizzante ed isolante Guaine per conduttori di elettricità, nastri isolanti, altri usi in
campo elettrotecnico
Elasticizzante ed
antinfiammante Fibre sintetiche, plastiche, gomme.
Carte Carte autocopianti, carte carbone, carte per fotocopie
Altri
Tinture per carte, tessuti, vernici per metalli, additivi per anticrittogamici,
coloranti per vetro e ceramiche, antipolvere,
antiossidanti per fusibili, additivi per petrolio, additivi per
fertilizzanti
anche se tali sostanze non vengono più prodotte in molti paesi, tuttavia ne restano
grossi quantitativi in apparecchiature elettriche, plastiche, edifici e nell’ambiente.
Solo 12 dei 209 congeneri dei PCB, i cosiddetti coplanari, presentano caratteristiche
chimico-fisiche e tossicologiche paragonabili alle diossine e ai furani: questi vengono
definiti PCB dioxin-like (cioè simili alle diossine) e indicati con la sigla PCBdl.
Gli elementi più importanti nel determinare lo stesso meccanismo di azione della
2,3,7,8-TCDD risultano le dimensioni molecolari e la conformazione planare dei
congeneri dei PCB. Queste caratteristiche strutturali dipendono dal numero di
atomi di cloro e soprattutto dalle loro posizioni (orto, meta e para) nella molecola
del bifenile. Ed è proprio questa somiglianza strutturale a far sì che i PCB coplanari
agiscano, a livello cellulare, in maniera simile alla 2,3,7,8-TCDD, interazione
che non è possibile per i congeneri non planari, detti non diossina-simili.
Infatti, gli effetti dei PCBdl sulla salute umana e sugli organismi sono analoghi a
quelli evidenziati per le diossine (par. 1.3).
Nella Tabella 8 vengono elencati i PCBdl con i relativi fattori di tossicità equivalente
(TEF) per esseri umani e mammiferi.
Tabella 8: PCB dioxin-like e relativi fattori di tossicità equivalente
PCBdl (nome IUPAC) PCB-TEF (Ahlborg et al., 1994) WHO-TEF (Van den Berg et al, 1998)
3,3’,4,4’-TCB (77) 0,0005 0,0001
3,4,4’,5-TCB (81) – 0,0001
3,3’,4,4’,5-PeCB (126) 0,1 0,1
3,3’,4,4’,5,5’-HxCB (169) 0,01 0,01
2,3,3’,4,4’-PeCB (105) 0,0001 0,0001
2,3,4,4’,5-PeCB (114) 0,0005 0,0005
2,3’,4,4’,5-PeCB (118) 0,0001 0,0001
2’,3,4,4’,5-PeCB (123) 0,0001 0,0001
2,3,3’,4,4’,5-HxCB (156) 0,0005 0,0005
2,3,3’,4,4’,5’-HxCB (157) 0,0005 0,0005
2,3’,4,4’,5,5’-HxCB (167) 0,00001 0,00001
2,3,3’,4,4’,5,5’-HpCB (189) 0,0001 0,0001
(T = tetra, Pe = penta, Hx = hexa, Hp = hepta)
Si riportano anche per i PCBdl in Tabella 9 i valori di fondo relativi a diverse località
del Nord America presentati in un documento EPA. I dati di tale indagine si riferiscono
a matrici ambientali che sono rappresentative di zone lontane da potenziali
sorgenti di emissione ed i valori rappresentano la media aritmetica dei TEQ e
la deviazione standard.
Tabella 9: Livelli di fondo di PCBdl nelle matrici ambientali
Matrice ambientale PCBdl (TEQ-WHO98)
Suolo urbano (ppt) 2,3
Suolo rurale (ppt) 0,59
Sedimenti (ppt) 0,53 ± 0,69
Aria urbana (pg/m3
) 0,0009
Aria rurale (pg/m3
) 0,00071
Acqua (ppq) –
29
5. LE CONTAMINAZIONI E GLI INCIDENTI PIÙ RILEVANTI LEGATI
ALLE DIOSSINE
Questo capitolo si propone di illustrare alcuni dei più rilevanti incidenti e contaminazioni
conosciute con lo scopo di richiamare alla memoria tali eventi ed, in
qualche modo, evidenziare le lezioni che se ne possono trarre sia a livello di conoscenze
che di processi legislativi.
Si può, infatti, affermare che le attuali conoscenze tecniche e scientifiche in materia
come del resto la legislazione vigente (si pensi alle Direttive comunitarie indicate
con il nome Seveso), siano conseguenza di tali eventi ed abbiano seguito uno
sviluppo suddivisibile, in prima approssimazione, in tre fasi.
La prima, cronologicamente situabile negli anni ‘50 e ‘60, dopo gli incidenti avvenuti
nelle industrie produttrici di fenoli clorurati e acido triclorofenossiacetico46,
con rilasci di quantità tali di diossine da provocare cloracne ed altre patologie negli
individui, e morte negli animali, avvia il processo conoscitivo di tali contaminanti e
delle relative ricadute ambientali.
La seconda fase, cronologicamente situabile negli anni ‘70 e ‘80, è contrassegnata
da incidenti e da contaminazioni di altro tipo (si pensi all’agente orange usato in
Vietnam), che però, come nel primo periodo, hanno causato il rilascio di quantità
rilevanti di diossine tali da provocare ugualmente effetti sull’uomo.
La terza fase del processo conoscitivo, tuttora in corso, è caratterizzata invece
dalla individuazione di diossine in una varietà di emissioni e di matrici ambientali,
a concentrazioni molto basse o, addirittura, bassissime. Tale fase non è contraddistinta
apparentemente da pericoli tossicologici immediati e diretti per l’uomo;
i livelli di contaminazione sono tali da richiedere studi ambientali, anche
complessi, che consentano l’individuazione di eventuali catene trofiche critiche
per l’uomo o gli animali ed infine l’adozione di strumenti di indagine quali l’analisi
di rischio per valutare le possibili azioni mitigative o contenitive.
31
46 I fenoli clorurati vengono sintetizzati in quanto rientrano nella sintesi dell’acido triclorofenossiacetico, usato come
potente erbicida, fungicida e battericida, sebbene l’uso sia stato limitato a partire dagli anni ottanta
5.1 Nitro, Virginia USA (1949)
Il primo incidente industriale, ufficialmente registrato come causa di cloracne tra i
lavoratori, risale al 1949, avvenne in un impianto chimico della Monsanto, a Nitro,
West Virginia47 (USA).
L’impianto produceva il 2,4,5-T (acido triclorofenossiacetico), un erbicida che
costituiva circa il 50% del defoliante “Agent orange”48, a partire dal 2,4,5-triclorofenolo.
Nel 1949, un reattore pressurizzato dell’impianto esplose, determinando
l’esposizione di centinaia di lavoratori.
Quasi immediatamente i lavoratori esposti iniziarono ad ammalarsi, presentando
eruzioni cutanee (228 svilupparono cloracne), dolori articolari ed in altre parti del
corpo, debolezza, irritabilità e nervosismo, perdita del desiderio sessuale, mal di testa
e capogiri.
La causa della cloracne fu individuata49 nelle diossine solo otto anni dopo l’incidente,
nel 1957. Si scoprì, infatti, che le diossine si formavano come sottoprodotto
della produzione del 2,4,5-T, che, di per se, presentava una tossicità moderata50.
Le diossine erano presenti nella forma 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina
(TCCD), quella in seguito considerata come la più tossica.
Oltre alla contaminazione di natura incidentale, all’epoca si determinò anche una
contaminazione indiretta dovuta ad una incauta gestione dei rifiuti industriali.
Grandi quantità di prodotti di scarto contaminati da diossine vennero, infatti, conferiti
in varie discariche, tra cui quelle di Manila Creek e Heizer Creek, ancora
oggi contaminate e, a loro volta, sorgenti secondarie di contaminazione.
Come conseguenza di decenni di dilavamento e erosione, i sedimenti dei fiumi
delle aree circostanti (Manila e Heizer Creek) vennero a loro volta contaminati da
diossine, che si trasferirono poi sui terreni adiacenti nel corso di esondazioni.
Sulla base degli esiti delle analisi condotte su campioni di tessuto di pesce raccolti
nell’Ottobre 1985, lo Stato della West Virginia consigliò di non mangiare pesce
pescato nel tratto del fiume Kanawha entro 40 miglia dall’impianto. In particolare
consigliò di non mangiare carpe, pesce gatto, branzini ed altre specie grasse ai
vertici della catena trofica. Allo stesso tempo pose il limite di un pasto al mese per
tutte le altre specie ed emanò consigli su come pulire e cucinare i pesci in modo da
ridurre l’esposizione ai contaminanti.
5.2 Midland, USA (Anni ‘60)
Nata nel 1897, la Dow Chemical è oggi la più grande industria chimica degli
USA, leader nella produzione di plastiche e pesticidi. Sin dal 1948, la Dow produceva
gli erbicidi 2,4-D (acido diclorofenossiacetico) e 2,4,5-T (acido triclorofenossiacetico),
entrambi contaminati da diossine, che si originavano nel processo
di produzione. Mescolando questi due erbicidi in parti uguali, la ditta produceva
il cosiddetto Agent Orange.
32
47 Ashe and Suskind, 1950
48 L’altro componente era il 2,4-D (acido diclorofenossiacetico). 49 Kimming and Schultz, 1957. 50 A seconda del processo di produzione, l’erbicida 2,4,5-T conteneva diverse quantità di TCDD e di altre dibenzodiossine
policlorurate. Nei campioni di 2,4,5-T degli anni ‘50 e ’60, le concentrazioni di TCDD erano superiori
a 1000 ppb*.
Prima del 1963-1964, la ditta otteneva il 2,4,5-triclorofenolo, necessario per la
sintesi dei suoi erbicidi, dalla clorurazione diretta del fenolo. Tuttavia, la maggior
richiesta di Agent Orange, in conseguenza del suo uso nella guerra in Vietnam,
spinse la società a modificare l’impianto di produzione di triclorofenolo, utilizzando
reazioni di idrolisi del tetraclorobenzene con soda caustica e metanolo, ad alta
temperatura e pressione.
Secondo le informazioni reperite nel sito web di David Linhardt, ingegnere chimico
che lavorò per la Dow Chemical dal 1963 al 1993, sembra che nel precedente
processo di clorazione le diossine presenti fossero principalmente costituite da epta
e octaclorodiossine e la formazione di TCDD fosse praticamente nulla. Nel nuovo
impianto invece, si formava TCDD in concentrazioni pari a 1.818 ppm* ed
ogni stadio delle reazioni chimiche produceva TCDD.
L’impianto si trovò così ad essere pesantemente contaminato, giungendo a livelli
pericolosi per la salute umana. Nel 1964 furono riportati 35 casi di cloracne (nel precedente
impianto risultavano 1-2 casi all’anno). Esso venne allora chiuso per due
anni, durante i quali fu riprogettato e decontaminato. Nel 1966, il nuovo impianto
riprese a funzionare e la concentrazione di TCDD nei prodotti in uscita fu, mediamente,
0,5 ppm; tuttavia si registrarono 40 nuovi casi di cloracne. Nel 1970, si
raggiunse il record di 90 nuovi casi di cloracne.
L’impianto di produzione di triclorofenoli fu successivamente smantellato e messo
in sicurezza allorquando l’EPA bandì la vendita del 2,4,5-T.
Anche la gestione dei reflui industriali determinò conseguenze sull’ambiente. Gli
scarichi nel fiume dell’impianto di trattamento biologico dei reflui fenolici furono
considerati responsabili del sapore sgradevole del pesce. Oltre all’impianto di
trattamento biologico, la fabbrica di Midland era dotata di inceneritori che bruciavano
i reflui fenolici troppo concentrati, che il depuratore non era in grado di trattare.
Fino al 1968, tali inceneritori non avevano adeguati sistemi di abbattimento
del particolato carico di diossine, e si ritiene che la maggior parte di esse che tuttora
contaminano l’area di Midland siano state emesse dai vecchi bruciatori. Nel
1968, fu installato un nuovo tipo di filtraggio che determinò una significativa riduzione
delle emissioni.
Per studiare gli impatti di tali emissioni, a partire dall’anno 2000, il Dipartimento
per la Qualità Ambientale del Michigan (DEQ) condusse delle indagini che mostravano
alti livelli di diossine in suoli posti a valle rispetto allo stabilimento, frequentemente
inondati dalle acque del fiume Tittabawassee. I livelli di diossine
superavano il limite imposto dallo stato del Michigan pari a 90 ppt-TEQ.
In zone frequentemente inondate dal fiume, si raggiungevano valori pari a 5.660
ppt-TEQ. Anche in zone esterne alla piana alluvionale ma che avevano ricevuto, per
vari motivi, materiale terroso di risulta, proveniente dalla piana, furono rilevati
elevati livelli di diossine.
Nel mese di Maggio 2002, l’EPA ha pubblicato uno studio in cui si evidenzia che
l’impianto sito nella città di Midland costituiva la più grande sorgente di diossine
del Michigan: la quantità emessa superava la somma di tutte le altre industrie del
Michigan.
Nel Maggio 2004, il DEQ ha pubblicato altre analisi che confermavano che svariate
zone di Midland erano contaminate, fino a 6.100 ppt-TEQ.
Campioni di sedimento del fiume Tittabawassee mostravano la contaminazione
di un tratto di 22 miglia, a valle rispetto al sito. In tali campioni, la concentrazione
33
di diossine51 raggiungeva i 16.000 ppt-TEQ. Nei campioni a monte rispetto al sito
i livelli di diossine risultavano invece inferiori a 5 ppt52. La contaminazione includeva
i cortili e i giardini delle abitazioni, parchi e scuole, ubicati in prossimità
della piana alluvionale del fiume.
Alcuni campioni aventi concentrazioni di diossine pari a 721 ppt-TEQ furono
scoperti anche in corrispondenza della confluenza del fiume Tittabawassee nel
fiume Saginaw, che sfocia nella omonima baia, ed anche i sedimenti di questa
baia risultarono contaminati.
Studi condotti nelle aree selvagge attorno al fiume Tittabawassee mostrano non
solo alti livelli di diossine, ma anche un accentuato fenomeno di bioaccumulo
lungo la catena trofica, e tali livelli di diossine caratterizzavano infatti pesci, anatre
e uova di gallina.
A seguito della individuazione di elevate concentrazioni di diossine nei sedimenti
e sulla piana alluvionale del Tittabawassee, il DEQ commissionò una valutazione
di rischio ecologico. I risultati, pubblicati nel Dicembre 2003, hanno evidenziato
che questa contaminazione diffusa ha esposto uccelli e mammiferi piscivori
a rischi significativi nella riproduzione e nei primi stadi vitali. Infatti il rischio di
mortalità degli embrioni e dei primi stadi di vita aumentava in maniera rilevante53.
Più in particolare, carpe, pesci gatto, alose e branzini risultavano contaminati a livelli
tali da provocare problemi riproduttivi a uccelli e mammiferi piscivori di cui
costituiscono il nutrimento.
Lo Stato del Michigan consigliò la popolazione di usare varie precauzioni, come ad
esempio indossare maschere durante la tosatura dell’erba e fare la doccia dopo lavori
in giardini e cortili.
5.3 Vietnam (1963-1975)
“Agent Orange” (Agente Arancione) era il nome in codice di un erbicida sviluppato
per scopi militari, adatto, principalmente, per applicazioni in territori con clima
tropicale soprattutto per il fogliame largo, come quello che caratterizzava le giungle
del sud-est asiatico. Il nome derivava dal colore della banda che avvolgeva le
cisterne usate per contenere il prodotto. La sperimentazione di tale erbicida partì agli
inizi degli anni ‘60, esso veniva utilizzato per defoliare le boscaglie, onde impedire
che il nemico vi si potesse proteggere o nascondere. Esso fu intensamente utilizzato
in Vietnam, ma anche in Cambogia e Laos.
L’Agente Arancione era, essenzialmente, una miscela, in parti uguali, di 2,4-D
(acido diclorofenossiacetico) e 2,4,5-T (acido triclorofenossiacetico) ed era sparso
tramite aerei e veicoli a terra, oppure direttamente a mano. Si stima che durante
la guerra, in Vietnam, furono usati 72 milioni di litri di questo prodotto.
L’Agente Arancione non fu l’unico pesticida usato dagli Americani in Vietnam,
in Tabella 10 sono elencati gli altri prodotti (sia diserbanti che disseccanti) utiliz-
34
51 Amendola e Barna 1986
52 La distribuzione geografica dei contaminanti e lo spettro dei congeneri della diossina suggerivano che l’impianto
della Dow sito a Midland fosse la sorgente più probabile dei livelli elevati di diossina trovati nel fiume
Tittabawassee. 53 Tuttavia, in questi tratti del fiume Tittabawassee e della baia di Saginaw vi sono altri impianti, e quindi altre possibili
sorgenti di contaminazione, diverse dalla Dow.
zati. Ciò che emerge dai dati disponibili è che tutti questi prodotti erano contaminati
da TCDD, conseguenza della reazione di condensazione tra due molecole di
2,4,5-triclorofenolo, usato per produrre 2,4,5-T.
Tabella 10: I diversi tipi di prodotti utilizzati in Vietnam
Descrizione Quantità TCDD (ppm) Periodo
Agente Arancione 1,77-40 1965-1970
Agente blu 32,8-45 1962-1964
Agente rosso 65,6 1962-1964
Agente bianco 65,6 1962-1964
2,4,5-T <0,1
Circa 11.250 km2 di terreni coltivati del Vietnam del Sud furono defoliati (e lo rimasero
per almeno trenta anni).
Secondo molti studi54, l’esposizione all’Agente Arancione provocò, nella popolazione,
nei soldati vietnamiti e nei soldati americani le seguenti malattie e disfunzioni
di vari organi: cloracne, cancro al polmone, laringe, trachea e bronchi, prostata,
spina bifida (nei figli dei militari).
Altri effetti minori registrati comprendevano: nausea, irritazioni agli occhi ed alla
gola, mal di testa, vertigini e diarrea.
Già nel 1964, all’aumentare dell’utilizzo dell’Agente Arancione, iniziarono a circolare
rapporti che documentavano un incremento di aborti e difetti di nascita, tra
la popolazione umana ed animale esposta. Tuttavia, a causa della guerra ancora in
corso, non era facile raccogliere dati ulteriori a sostegno di queste tesi.
Nel 1966 il governo americano diede il via ad una serie di studi sull’effetto teratogeno
dell’Agente Arancione. I risultati, diffusi nel 1969, mostravano che i ratti e i
topi, cui erano stati somministrati 21,5 mg/kg di campioni di Agente Arancione
contaminati da TCDD, durante il primo periodo di gestazione, generavano prole
morta o con gola lupina, priva di occhi, con fegato ingrossato e cisti renali.
Ulteriori studi condotti nel Toxicology Laboratory in Washington, usando campioni
di sostanze chimiche impiegate nel Vietnam mostravano la formazione di
cisti, necrosi epatiche, e deformità del becco dei polli da laboratorio.
A seguito dell’ulteriore conferma, da parte di altri laboratori, degli effetti teratogeni
su animali, il 15 aprile 1970, l’uso di 2,4,5-T in Vietnam fu bandito.
Studi più recenti, condotti da Arnold Schecter55, professore di Scienze Ambientali
presso il Southwestern Medical Centre dell’Università del Texas, a Dallas, uno
dei maggiori esperti mondiali sull’argomento, mostrano che, a circa trent’anni
dalla fine della guerra in Vietnam, alcune popolazioni del Vietnam del Sud hanno
ancora dei valori di diossine nel sangue di 100 volte superiore al normale definito
come il livello di diossine nel sangue trovato in un campione di 100 residenti di
Hanoi, dove non fu mai usato il prodotto.
Un altro aspetto importante che emerge da questi studi è che campioni di sangue di alcune
persone recentemente trasferitesi nella regione o bambini nati dopo la fine degli
spargimenti di Agente Arancione erano caratterizzati, anch’essi, da elevati valori di
TCDD. Arnold Schecter afferma che la TCDD che è percolata nei suoli, e da qui nei
35
54 E’ da notare che si nutrono dubbi sull’attendibilità e rigore scientifico di tali studi. 55 Schecter et al., 2001
sedimenti fluviali, si sta concentrando nei pesci e nei crostacei, indicando che la
diossina è entrata nella catena alimentare. È questa la più importante via di esposizione
del presente e del passato. Le famiglie con i valori di TCDD più alti sono, infatti,
quelle con regimi alimentari basati sul pesce.
5.4 Bolsover, INGHILTERRA (1968)
Nel 1991, studi condotti per il Ministry of Agriculture, Fishery and Food rivelarono
elevate concentrazioni di diossine (40-42 ng TEQ/kg grasso) nel latte di mucca
proveniente da tre fattorie, site nell’area di Bolsover, nel Derbyshire. Nelle
aree circostanti, invece, i valori rientravano nell’intervallo 1,1 – 7,1 ng TEQ/kg di
grasso. Il latte proveniente da queste fattorie fu ritirato dal mercato, fino a quando
la concentrazione di diossine non tornò inferiore alla concentrazione massima
ammissibile, pari a 17,5 ng TEQ/kg grasso56.
La contaminazione fu attribuita all’impianto di Bolsover della Coalite Chemical
Productions, che produceva fertilizzanti, pesticidi e coke. Già nel 1968, un incidente
in tale impianto aveva esposto alle diossine circa 80 lavoratori che svilupparono
cloracne57.
Al centro delle indagini fu posto, in particolare, l’inceneritore di rifiuti chimici
clorofenolici. Tali rifiuti risultarono contaminati da diossine, presenti in quantità mai
registrate precedentemente negli UK. L’inceneritore fu chiuso alla fine del
199158. Gli studi effettuati suggerivano che le diossine, rilasciate da tale inceneritore
per via aerea, finivano per contaminare il suolo; il bestiame, ingerendo quotidianamente
grandi quantità di terra a causa dello sradicamento dell’erba, assimilava,
poi, queste diossine.
Anche i reflui risultarono fortemente contaminati da diossine, a livelli 1.000 volte
superiori ai limiti di sicurezza. Nel 1991, la National Rivers Authority trovò,
nei sedimenti del fiume Doe Lea, nel Derbyshire, la più alta concentrazione di
diossine mai registrata in sedimenti fluviali inglesi, e fu, tuttavia, deciso di non rimuoverla
e di lasciarla disperdere con le correnti e contemporaneamente furono
attivate una serie di attività di ricerca, tuttora in corso, volte a chiarire il ruolo delle
esondazioni nel creare “hotspots” di alta concentrazione di diossine sui suoli
alluvionali adiacenti.
5.5 Times Beach USA (1971)
Agli inizi degli anni ‘70, la città di Times Beach stava affrontando il problema delle
polveri causate da 23 miglia di strade sterrate situate nelle sue immediate vicinanze.
Poiché asfaltare tali sterrate risultava eccessivamente costoso, nel 1971, si diede
incarico ad una ditta di trasporto rifiuti di nebulizzare olio sulle sterrate. Dal
1972 al 1976, la ditta sparse grandi quantità di olio esausto sulle strade, anche allo
36
56 La concentrazione massima ammissibile fu derivata usando un TDI (Tolerable Daily Intake*) per la TCDD
pari a 0,01 ng/kg peso corporeo al giorno, fissato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1990 e accettato
dal Regno Unito. 57 Müller, 1997 58 Nel febbraio del 1996, la Coalite fu incriminata per non aver utilizzato la migliore tecnologia disponibile per prevenire
l’emissione in atmosfera di fumi contenenti sostanze tossiche e fu multata di 150.000 sterline. Tale
multa si riferiva al periodo dal novembre 1989 al novembre 1991 (ENDS-Environmental Data ServicesReport
253, pp 48-49).
scopo di contenere le polveri nelle stalle e nelle aree di equitazione. In conseguenza
di ciò, centinaia di animali (uccelli, cani, gatti, cavalli e polli) furono trovati
morti; vari bambini ed un adulto presentarono la tipica cloracne.
Nel momento in cui altre stalle furono colpite da morie di animali, i “Centers for
Disease Control and Prevention” iniziarono ad investigare e rilevarono che l’olio
esausto utilizzato dalla ditta era stato mischiato con acque reflue, contaminate da
elevate quantità di diossine (i livelli della TCDD erano di oltre 300 ppm59), provenienti
dalle morchie dei reattori di un impianto per la produzione di erbicidi.
Tale impianto aveva un contratto con la società per lo smaltimento di 68.000 litri
di morchie di fondo reattore, contenenti più di 20 kg di diossine.
L’EPA visitò Times Beach nel 1982, e la stampa iniziò allora a parlare della scoperta
di diossine nella città. A seguito della diffusione di tale notizia, scoppiò il panico
ed ogni malattia, aborto e moria di animali furono attribuite al fenomeno legato
alle diossine.
Il 23 febbraio 1983, l’EPA ed il Missouri Department of Natural Resources annunciarono
l’acquisto della città per 32 milioni di dollari e la rilocazione permanente
dei suoi cittadini, a causa della mancanza di tecnologie idonee alla bonifica,
ed anche a causa della delicata posizione geografica della città, sita in terreno alluvionale.
Nel 1985, tutta la città fu evacuata ed il sito fu messo in quarantena.
Circa 265.000 tonnellate di suolo contaminato furono incenerite dal marzo 1996 al
giugno 1997, in un inceneritore costruito e gestito da una impresa che provvedeva
anche allo scavo ed alla rimozione del terreno contaminato. Dopo la bonifica, l’inceneritore
fu smantellato.
La scelta di un inceneritore come metodo per decontaminare il terreno contaminato
non fu immediata. Fino ad allora non era permesso agli inceneritori di trattare
rifiuti contenenti diossine. Tuttavia alcuni studi e test condotti dall’EPA mostrarono
una efficienza di distruzione e rimozione della 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina
pari ad almeno il 99%, utilizzando inceneritori con forno mobile.
Le ricerche che furono svolte successivamente circa gli effetti delle diossine sugli
uomini e sugli animali ingenerarono dubbi sulla reale necessità di evacuare la città.
Ciò anche a seguito dell’incidente di Seveso (1976), dove sebbene i residenti furono
esposti a livelli di diossine più elevati le bonifiche effettuate permisero la sopravvivenza
della cittadina lombarda.
5.6 Seveso, ITALIA (1976)
Il giorno di sabato 10 luglio 1976, a Seveso, una nube tossica fuoriuscì da un reattore
dell’impianto della azienda chimica ICMESA (Industrie Chimiche Meda
Società) con 170 dipendenti e di proprietà della società Givaudan di Ginevra, a
sua volta acquisita dal gruppo Hoffmann-La Roche.
L’impianto era situato nel comune di Meda, al confine con la cittadina di Seveso,
circa 15 km a nord di Milano, e produceva intermedi per l’industria cosmetica e farmaceutica,
tra i quali il 2,4,5-triclorofenolo (TCP), composto tossico non infiammabile
utilizzato come base per la sintesi di erbicidi.
La nube tossica proveniva da un reattore di idrolisi alcalina, in glicole etilenico,
di 1,2,3,4 tetraclorobenzene (TCB) a 2,4,5-triclorofenato di sodio, composto in-
37
59 Needham et al., 1991
termedio della preparazione di triclorofenolo. Causa diretta dell’emissione fu una
sovrapressione anomala, causata da una reazione esotermica nella vasca del triclorofenolo,
insorta nel reattore dopo qualche ora dalla sospensione delle operazioni.
Tale sovrapressione provocò lo scoppio del disco di rottura nella valvola di
sicurezza. La temperatura raggiunse i 250°C e la TCDD, assieme agli intermedi
di reazione, triclorofenato di sodio, glicole etilenico e soda, fuoriuscì per molte
ore dal camino sul tetto dello stabilimento disperdendosi nell’atmosfera.
La nube venne rapidamente propagata dal vento nel territorio circostante, densamente
popolato, in direzione sud-est, per circa 6 km. Se da una parte l’elevata velocità
del vento (anomala per quel periodo) favorì l’allargamento della fascia colpita,
dall’altra favorì anche la dispersione della diossina e quindi un calo delle
concentrazioni.
Nel reattore, al momento della sospensione delle operazioni, erano probabilmente
presenti 2.030 kg di 2,4,5-triclorofenato di sodio (o altri prodotti di idrolisi del
TCB), 540 kg di cloruro di sodio e circa 2.000 kg di prodotti organici. Al momento
della successiva bonifica del reattore, vennero trovati 2.171 kg di sostanze chimiche.
Pertanto, si può assumere che almeno 2.000 kg di inquinanti siano stati emessi
in atmosfera. Per quanto riguarda la quantità di diossina presente nella nube tossica,
la letteratura propone valori molto diversi tra di loro, compresi tra 300 g e 130 kg
(1,3 kg secondo le stime della Agency for Toxic Substances and Disease Registry,
un’agenzia dell’U.S. Department of Health and Human Services).
Già il 14 luglio gli effetti dell’esposizione alla nube cominciarono ad essere avvertiti
dalla popolazione. Furono segnalati numerosi casi di intossicazione, ricoveri
e moria di molti animali, e ad una settimana dall’incidente, si registrarono 200 casi
di cloracne. Il 20 luglio, nei laboratori dello stabilimento Givaudan di Ginevra
(gruppo Hoffmann-La Roche), si riuscì frattanto ad identificare la sostanza chimica
fuoriuscita con l’incidente: era la TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina).
Il 24 luglio un’area di quindici ettari venne evacuata e cinta di reticolati, militarizzata
e suddivisa in tre zone a seconda del grado di tossicità raggiunto. Il giorno successivo,
settecento persone vennero fatte sfollare, e l’allarme si estese anche ad altri undici
comuni limitrofi, tra cui Meda, Desio, Barlassina, Bovisio Masciago, Nova
Milanese, Seregno, Lentate sul Severo e Cesano Maderno. Le analisi effettuate nei
mesi successivi all’incidente permisero l’elaborazione di mappe di contaminazione,
in base alle quali l’area contaminata venne suddivisa in tre parti: A, B ed R, a
concentrazioni di diossina nel suolo decrescenti:
ZONE Superficie [ha] Abitanti Concentrazione TCDD [μg/m2
]
A 87,3 706 580,4-15,5
B 269,4 4.613 4,3-1,7
R 1430 30.774 1,4-0,9
La zona A venne ulteriormente suddivisa in 8 sottozone, a livelli di TCDD via via
inferiori. In questa zona, i livelli di diossina riscontrati nel sangue di 19 residenti
erano compresi tra 828 e 56.000 ppt60.
Un’area di circa 1800 ettari fu quindi contaminata e monitorata con continuità per
38
60 Mocarelli et al., 1991
oltre 17 mesi. Le analisi dimostrarono che la TCDD presente nella parte superficiale
del terreno, pari ad oltre il 90% della diossina misurata, nei primi cinque mesi si ridusse
del 50%, a causa della fotodecomposizione, per poi tendere a stabilizzarsi. A
causa di ciò, l’intero strato superficiale (max 40 cm) di terreno della zona A fu rimosso
e lo stabilimento e le altre abitazioni furono demoliti. Il terreno contaminato,
macerie degli edifici e le attrezzature usate per le operazioni di bonifica furono
collocate in discariche speciali controllate, poste a poca distanza dal sito dell’incidente.
L’area identificata dalle subzone A1:A5 fu negli anni successivi convertita a parco,
il “Bosco delle Querce”.
Nelle zone A6 e A7, i primi 25 cm di terreno furono rimossi, eliminando dunque
il 90% della TCDD e riducendo le concentrazioni entro i limiti di tollerabilità.
Gli interni ed esterni degli edifici, i giardini, le aree agricole e zootecniche vennero
ripuliti e scrostati, finché non si raggiunsero i limiti di tollerabilità. Solo allora le
autorità sanitarie autorizzarono il reingresso della popolazione evacuata.
Nelle zone B ed R, la semplice aratura, effettuata a partire dal 1977 e continuata
negli anni successivi, ridusse, nei primi 7 cm di terreno, i livelli di TCDD in maniera
considerevole. L’aratura comportava, infatti, il trasferimento della diossina
dagli strati più profondi a quelli superficiali, facilitando il processo di decomposizione
fotochimica. L’aratura venne applicata anche a vaste aree di interesse
agricolo.
Per quanto riguarda le acque superficiali e sotterranee e i sedimenti, le analisi
fornirono costantemente risultati negativi.
Anche il pulviscolo volatile fu costantemente monitorato, soprattutto durante i
lavori di recupero dei suoli contaminati. I valori, ovviamente, diminuivano all’aumentare
della distanza dall’impianto.
Per quanto riguarda la vegetazione, immediatamente a seguito dell’incidente i
valori di TCDD raggiungevano qualche mg/kg (ppm, parti per milione), mentre
nella vegetazione nata negli anni seguenti i livelli diminuirono di alcuni ordini di
grandezza.
Subito dopo l’incidente, si registrò un notevole incremento della mortalità degli
animali domestici, come conigli e polli, nelle vicinanze dell’impianto. La mortalità
raggiunse livelli del 100% nelle fattorie in cui gli animali venivano nutriti
con foraggio o verdure provenienti dalle aree contaminate. La mortalità era nettamente
inferiore nelle fattorie dove gli animali venivano nutriti con mangimi
preconfezionati o con verdure raccolte prima dell’incidente o in aree lontane
dall’impianto.
Le misure di TCDD nel latte di mucca mostravano livelli più alti nelle fattorie vicine
all’impianto. Come conseguenza di tutto ciò, il consumo di prodotti agricoli
o zootecnici provenienti dalle aree A, B ed R fu vietato alla popolazione. Gli animali
allevati in fattorie appartenenti a tali aree vennero tutti abbattuti.
Per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie tossiche, la compagnia
Mannesmann Italiana nel 1982, asportò, in condizioni di massima sicurezza, i rifiuti
prodotti dal reattore, ponendoli in 41 fusti che furono successivamente trasportati
al luogo di destinazione.
I materiali provenienti dalle operazioni di bonifica dei terreni e demolizione degli
edifici furono raccolti in due vasche costruite nei comuni di Seveso e Meda.
39
5.7 FRANCIA (1998)
Nel marzo 1998 la Direzione dei servizi veterinari francesi riscontrò molti casi di
contaminazione da diossine nel latte; livelli allarmanti di diossine furono inoltre riscontrati
nel burro e in formaggi, quali il brie ed il camembert, nel nord della
Francia. Diversi test effettuati sul latte non pastorizzato delle regioni di SeineMaritime
e Pas de Calais (che producono la maggior parte dei formaggi brie e camembert)
rilevarono livelli di diossine tra 1,49 e 3,21 picogrammi per grammo di
grasso61. A seguito di ciò, le prefetture proibirono la vendita di latte ad almeno 16
aziende agricole.
Gli inceneritori per rifiuti urbani furono ritenuti responsabili di tale contaminazione;
si stabilì infatti che le sostanze inquinanti presenti nelle loro emissioni, ricadendo
al suolo ed accumulandosi lungo la catena alimentare, avessero contaminato
il latte prodotto nelle vicinanze. Il livello di diossine presente nel latte delle
mucche che pascolavano nel raggio di un chilometro dall’inceneritore di rifiuti di
Halluin superava di tre volte il livello massimo ammissibile. Gli inceneritori di
Halluin, Wasquehal e Sequedin (nella zona di Lille) furono chiusi. L’inceneritore
di rifiuti urbani di Mauberge, altra città del Nord della Francia, fu anch’esso chiuso
perché le sue emissioni di diossine superavano di 1.000 volte i limiti previsti
dalla normativa europea.
5.8 BELGIO (1999)
A seguito di eventi non ancora completamente chiariti, nel 1999 in Belgio si verificò
una massiccia contaminazione da diossine degli allevamenti di pollame e anche
dei prodotti secondari (alimenti di “seconda linea”), come le uova.
Nel mese di gennaio, in vari allevamenti di polli da riproduzione, fu rilevato un
calo nella percentuale di schiusa delle uova, la metà delle quali si aprivano scoppiando.
I pulcini sopravvissuti mostravano sintomi di intossicazioni e gravi disturbi
del sistema nervoso. Il 26 aprile, test analitici dimostrarono elevati livelli di
diossine negli alimenti degli animali e nel grasso di pollo.
Secondo gli esperti, tale contaminazione fu provocata dai mangimi destinati agli allevamenti
avicoli. Dai dati disponibili, risultò che nei polli vi erano più di
550.000 picogrammi di diossine, una quantità 500 volte superiore a quella che
l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica come “tollerabile” dall’organismo
umano.
L’origine del problema fu individuata in alcune società belghe che riciclavano
grassi animali e vegetali e raccoglievano olio fritto e scarti di macelleria e di mattatoio
per produrre mangimi. Negli stabilimenti di tali aziende furono trovati
grassi animali ad alto contenuto di diossine, forse contaminati da residui di oli
minerali usati per lubrificare i motori delle automobili o da residui di oli di origine
industriale o, addirittura, da grassi fritti vegetali riciclati (prelevati dagli scarti
dell’industria agro-alimentare, dai ristoranti e da varie comunità) e rifiuti degli
inceneritori comunali.
Un’altra possibile fonte di contaminazione potrebbe essere stata la procedura utilizzata
per liquefare i grassi, probabilmente basata su una grossa caldaia. A causa
40
61 Gli esperti della Comunità Europea raccomandano che il livello di diossine presente nei prodotti derivati dal latte
non superi la quantità di 3 picogrammi per grammo di grassi.
dell’utilizzo di autobotti non lavate per il trasporto delle merci, la contaminazione
si sarebbe trasferita da un produttore all’altro.
I prodotti contaminati furono venduti a 10 fabbriche di mangimi belghe, una
olandese, una francese. I dieci mangimifici belgi rifornivano 416 allevamenti di
pollame, 500 allevamenti di suini e 150 allevamenti di bovini; quello olandese
provvedeva a 500 allevamenti di suini e 120 allevamenti di pollame; il mangimificio
francese, infine, riforniva 70 allevamenti di pollame62.
In Italia, oltre al blocco delle importazioni dal Belgio, venne disposto il sequestro
cautelare su tutto il territorio nazionale delle partite di volatili da cortile, delle loro
carni e dei prodotti a base di carne, delle uova e dei prodotti a base di uova, introdotti
dal Belgio. Successivamente, l’allarme venne esteso ai suini e ai prodotti
alimentari di origine suina ed ai bovini, di cui venne disposto il sequestro non solo
degli alimenti a base di carne ma anche del latte e suoi derivati.
L’emergenza dei “polli alla diossina” non è stata, tuttavia, un’esclusiva belga: nel
1997, circa 350 aziende statunitensi che allevavano pollame furono costrette dal governo
federale a bloccare le vendite in quanto, nei loro prodotti, erano state trovate
diossine in quantità superiore al livello di attenzione, pari ad un pg/g di grasso.
Analogamente a quanto avvenuto in Belgio, si scoprì che le diossine arrivavano
ai polli attraverso i mangimi. In particolare, risultò contaminato uno dei tanti additivi:
la bentonite. Essa costituisce un materiale poroso che viene aggiunto ai
mangimi per evitare che formino granuli. In questo caso si appurò che l’inquinante
era presente nella cava dove il minerale era estratto.
La contaminazione osservata nei polli costringe ad una serie di riflessioni ma, in
particolare, evidenzia che la caratteristica più rilevante di questi contaminanti è la
loro progressiva concentrazione ad ogni passaggio di catena trofica ed il conseguente
incremento di rischio (sanitario ma anche ambientale) dovuto ad un innaturale
allungamento delle usuali catene trofiche con l’introduzione, nell’alimentazione
degli animali di allevamento, di farine e mangimi contenenti grassi e proteine
di origine animale nonché con l’introduzione di additivi (in questo caso la
bentonite) non adeguatamente controllati.
41
62 Come si vede, le catene alimentari si sono allungate anche da un punto di vista “geografico”, per cui è molto difficile
trovare il punto di partenza, ovvero la sorgente, che ha innescato le situazioni di emergenza.
APPENDICE 1: STRUMENTI DI CONTROLLO NAZIONALI
ED INTERNAZIONALI
La politica e i programmi internazionali di controllo
La serie degli incidenti e contaminazioni, sinteticamente riportata nel precedente
capitolo, la risonanza nazionale ed internazionale per le conseguenze, sui lavoratori
e sul pubblico, di taluni di questi (in particolare, quello di Seveso) ovvero
l’impatto mediatico sugli esiti, anche di lungo periodo, per l’uso di defolianti
quali l’agent orange in Vietnam hanno progressivamente sollecitato la comunità
scientifica allo studio approfondito sulle conseguenze per l’ambiente e la salute
umana di prodotti quali le diossine e i policlorobifenili.
L’ampliarsi delle conoscenze scientifiche ha inoltre reso possibile che le autorità nazionali,
prima, e la comunità internazionale poi, sviluppassero una normativa,
sempre più restrittiva, per la produzione, l’immissione sul mercato e lo smaltimento
di prodotti commerciali contenenti tali contaminanti.
Tra le numerose iniziative internazionali di rilievo si possono menzionare le seguenti:
• la dichiarazione adottata nel 1990 dalla Conferenza del Mare del Nord che ha
stabilito tra l’altro una riduzione del 70% delle emissioni di diossine;
• la revisione del Protocollo della Convenzione di Barcellona sulla salvaguardia
del Mediterraneo dall’inquinamento prodotto da fonti situate a terra, che contiene
un elenco di sostanze da limitare, tra cui anche le diossine;
• la Task force congiunta UNECE/WHO-ECEH63 sugli aspetti sanitari dell’inquinamento
atmosferico transfrontaliero a grande distanza ha organizzato una serie
di riunioni per preparare una valutazione dei rischi per la salute connessi agli inquinanti
organici persistenti (POPs
) dovuti all’inquinamento atmosferico transfrontaliero
a grande distanza;
• all’inizio del 2001 si è verificato uno scambio di lettere tra la Commissione e
l’OMS per rafforzare e ampliare la cooperazione. Durante un seminario
43
63 UNECE/WHO-ECEH: Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa/Organizzazione Mondiale
della Sanità-Centro Europeo per l’Ambiente e la Salute.
CE/OMS sulla cooperazione in materia di ambiente e questioni sanitarie, svoltosi
a Bruxelles nel settembre 2000, i rappresentanti dell’OMS e della CE hanno discusso
di un’eventuale futura collaborazione in riferimento alle diossine e ai policlorobifenili
e hanno stabilito una serie di azioni concrete da avviare entro breve
tempo.
In ambito internazionale sono state inoltre stipulate molte convenzioni che riguardano
i PCDD/PCDF e i PCB tra le quali le più importanti sono:
• La convenzione di Basilea per il controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti
pericolosi e del relativo smaltimento. In questa convenzione i policlorobifenili
e le diossine sono classificati come rifiuti pericolosi.
• La convenzione di OSPAR64 per la protezione dell’ambiente marino
dell’Atlantico nordorientale, stipulata nel 1998, allo scopo di eliminare le emissioni,
gli scarichi e le perdite di sostanze pericolose entro il 2020 e raggiungere
così concentrazioni “quasi zero” di composti come diossine e PCB nell’ambiente
marino.
• La convenzione sulla protezione dell’ambiente marino della zona del Mar
Baltico nella quale le Parti contraenti dichiarano di vietare, totalmente o parzialmente,
l’uso di PCB nel Mar Baltico e nel suo bacino.
• Il Protocollo UNECE sui POPs relativo alla convenzione sull’inquinamento
atmosferico transfrontaliero a grande distanza, firmato dall’UE ad Aärhus nel
giugno 1998, che intende controllare e ridurre le emissioni di una serie di POP per
i quali si impone un intervento assolutamente urgente, tra cui le diossine ed i
PCB.
• La convenzione di Stoccolma. Adottata il 23 maggio 2001 è un Trattato internazionale
legalmente vincolante che vieta la produzione, l’uso ed il rilascio di
sostanze chimiche pericolose conosciute come inquinanti organici persistenti
(POPs
). Oltre 120 nazioni hanno firmato tale Convenzione. Il nuovo trattato segna
una svolta per l’industria e per i programmi ambientali, dal momento che si
riconosce, per la prima volta, che il rilascio degli inquinanti tossici non può essere
controllato, ma deve essere impedito per proteggere la salute pubblica e l’ambiente.
La Convenzione di Stoccolma oltre a prevedere l’eliminazione di dodici
composti ritenuti prioritari, regola anche l’immissione sul mercato di nuovi
composti chimici che abbiano caratteristiche di tossicità e persistenza tali da poterli
classificare POPs
. Obiettivo del Trattato è eliminare tutti i POPs
, iniziando da
una lista di 12, tra cui PCB, diossine e furani, nota come “la sporca dozzina”. La
“lista nera” comprende inoltre: DDT, aldrin, clordano, dieldrin, endrin, eptacloro,
mirex, toxafene, esaclorobenzene. Si tratta di pesticidi agricoli, sostanze chimiche
industriali e sottoprodotti della combustione praticamente ubiquitari.
La normativa Comunitaria
L’intervento Comunitario su queste tematiche è legittimato dall’art. 152 del trattato
della Comunità europea che prevede: “nella definizione e nell’attuazione di tutte le
politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione
della salute umana”. L’articolo 174 inoltre stabilisce che la politica della
Comunità in materia ambientale debba contribuire alla salvaguardia, alla prote-
44
64 Convenzione di Oslo e Parigi.
zione e alla promozione della qualità dell’ambiente e della salute umana.
La Comunità europea, come già accennato, è parte contraente di molte convenzioni
a livello internazionale al riguardo ed ha sottoscritto la Convenzione di
Stoccolma sui POPs
.
In ambito comunitario sono state emanate numerose direttive ed altre misure relative
a questo problema, si tratta in particolare della legislazione in materia di:
• incenerimento dei rifiuti: Direttiva 2000/76/CE; la Direttiva/testo unico, superando
con effetto abrogativo dal 28 dicembre 2005 le precedenti 89/369/CEE
sui nuovi inceneritori per rifiuti urbani, 89/429/CEE sugli inceneritori esistenti per
i rifiuti urbani e 94/67/CEE sull’incenerimento dei rifiuti pericolosi - accorpa in
forma compiuta tutte queste categorie di rifiuti;
• prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC – Direttiva
96/61/CE);
• controllo dei pericoli legati agli incidenti rilevanti (Direttiva 96/82/CE che mira
a prevenire i pericoli e limitare le conseguenze degli incidenti);
• tutela delle acque (Direttiva 2000/60/CE, direttiva quadro sull’acqua; Direttiva
98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano; Direttive
comunitarie 91/271/CE sulle acque reflue urbane e 91/626/CE sull’inquinamento
da nitrati in agricoltura);
• restrizioni d’immissione sul mercato e di uso dei prodotti chimici (Direttiva
85/467/CE che proibisce l’immissione sul mercato e l’uso di PCB e PCT);
• trasferimento e smaltimento dei rifiuti che contengono PCB (Direttiva
96/59/CE relativa all’eliminazione dei rifiuti di PCB);
• alimenti (Regolamento 466/2001/CE sui tenori massimi per alcuni contaminanti
nei prodotti alimentari; Regolamento 2375/2001/CE; Direttiva
2002/69/CE che stabilisce metodi di campionamento e d’analisi per il controllo
di diossine nei prodotti alimentari);
• alimentazione e mangimi per animali (Direttiva del Consiglio 1999/29/CE sulle
sostanze e prodotti indesiderabili nella nutrizione degli animali; Regolamento
102/2001/ CE; Direttiva 2005/7/CE che stabilisce i requisiti per la determinazione
dei livelli di diossine nei mangimi per animali).
LE NORME E I LIMITI PER LE DIOSSINE
Normativa in campo alimentare
Le diossine sono contaminanti che permangono inalterati nell’ambiente per molti
anni e riescono, direttamente o a mezzo di catene trofiche, ad arrivare fino agli
alimenti; infatti oltre il 90% dell’esposizione umana alle diossine è riconducibile
agli alimenti. In tale contesto i prodotti della pesca ed altri prodotti di origine animale
determinano oltre l’80% dell’esposizione totale.
Il comitato scientifico dell’alimentazione umana (SCF65) dell’Unione Europea ha
adottato in data 30 maggio 2001 un parere sulla valutazione dei rischi delle diossine
e PCBdl nei prodotti alimentari. Il comitato ha stabilito un valore cumulativo
per la dose tollerabile settimanale (Tolerable Weekly Intake, TWI*) di diossine
45
65 SCF: Scientific Committee on Food.
pari a 14 picogrammi (pg) di equivalente tossico (TEQ) per chilogrammo di peso
corporeo.
Dati rappresentativi sull’assunzione settimanale indicano che i valori medi di
diossine assunti con la dieta alimentare nell’Unione Europea sono compresi tra
8,4 e 21 pg di equivalente tossico (TEQ)/kg di peso corporeo/settimana, il che significa
che una notevole parte della popolazione europea si troverebbe ancora al di
sopra del limite della dose tollerabile settimanale66.
Il Regolamento CE 2375/2001 del Consiglio, del 29.11.01, definisce i tenori
massimi di taluni contaminanti, tra cui le diossine, presenti nelle derrate alimentari.
Per le diossine i livelli massimi sono fissati principalmente per prodotti alimentari
di origine animale.
Prodotti Livelli massimi di diossine (PCDD/PCDF) (1
)
(pg WHO-PCDD/F-TEQ/g grasso o prodotto)
Carne e prodotti a base di carne di
- ruminanti (bovini, ovini) 3 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
) (3
)
- pollame e selvaggina d’allevamento 2 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
) (3
)
- suini 1 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
) (3
)
Fegati e prodotti derivati 6 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
) (3
)
Muscolo di pesce e prodotti della pesca e loro derivati 4 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g peso fresco (2
)
Latte e prodotti lattiero-caseari, compreso grasso butirrico 3 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
) (3
)
Uova di gallina e ovoprodotti 3 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
) (3
)
Oli e grassi
- Grasso animale
- di ruminanti 3 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
)
- di pollame e selvaggina 2 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
)
- di suini 1 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
)
- miscela di grassi animali 2 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
)
- Olio vegetale 0,75 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
)
- Olio di pesce destinato al consumo umano 2 pg WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso (2
)
(
1
) Concentrazioni upper bound: le concentrazioni upper bound vengono calcolate ipotizzando che tutti i valori dei
vari congeneri inferiori al limite di determinazione siano pari al limite di determinazione.
(2
) Questi livelli massimi verranno riesaminati alla luce di nuovi dati sulla presenza di diossine e PCBdl , in particolare
al fine di includere i PCBdl nei livelli da stabilire e verranno ulteriormente riesaminati entro e non oltre il
31 dicembre 2006 al fine di ridurre notevolmente i livelli massimi.
(3
) I livelli massimi non sono applicabili ai prodotti alimentari con un tenore di grasso <1%.
Attualmente nessun livello massimo si applica ai cereali, alla frutta e agli ortaggi
in quanto tali prodotti alimentari presentano generalmente bassi livelli di contaminazione
e costituiscono un fattore che contribuisce solo marginalmente all’esposizione
complessiva dell’uomo alle diossine.
Poiché la contaminazione di alimenti quali carne, latte e uova, è direttamente correlata
alla contaminazione dei mangimi è stato ritenuto indispensabile definire
non soltanto un livello massimo di tollerabilità di diossine negli alimenti animali
ma anche misure volte a ridurne le emissioni nell’ambiente.
In Italia il D.Lgs. 10/5/2004 n.149 fissa i limiti massimi di sostanze e prodotti indesiderabili
nell’alimentazione degli animali. Il decreto recepisce le Direttive co-
46
66 Strategia comunitaria sulle diossine, 2001.
munitarie n. 2001/102/CE, n. 2002/32/CE, n. 2003/57/CE e n. 2003/100/CE.
L’obiettivo della Direttiva 2001/102/CE è quello di realizzare una riduzione complessiva
di almeno il 25% nell’esposizione umana alle diossine entro il 2006.
Diossine (somma di dibenzo-p-diossine (PCDD) e di dibenzofurani (PCDF) espressi in equivalenti di tossicità
dell’Organizzazione mondiale della Sanità (O.M.S.)
Prodotti destinati all’alimentazione degli animali Contenuto massimo in
ng WHO -PCDD/F-TEQ/kg di mangime
al tasso di umidità del 12%
a) Tutti i componenti dei mangimi di origine vegetale compresi
gli oli vegetali e sottoprodotti 0,73 (1, 2)
b) Minerali intesi conformemente all’allegato della direttiva 96125/CE
relativa alla circolazione ed all’utilizzo di materie prime per mangimi 1,0 (1, 2)
c) Argilla caolinitica, solfato di calcio biidrato, vermiculite, natrolite-fonolite,
alluminati di calcio sintetici, clinoptilolite di origine sedimentaria e perlite
appartenente al gruppo degli agenti leganti, antiagglomeranti e coagulanti
autorizzati in conformità alla direttiva 70/524/CE 0,75 (1, 2)
d) Grasso animale compresi i grassi del latte e delle uova 2,0 (1, 2)
e) Altri prodotti di animali terrestri compresi il latte ed i prodotti lattiero-caseari,
nonché le uova e gli ovoprodotti 0,75 (1, 2)
f) Olio di pesce 6 (1, 2)
g) Pesce, altri animali marini, loro prodotti e sottoprodotti ad eccezione dell’olio
di pesce e degli idrolisati proteici di pesci contenenti oltre il 20% di grasso (3) 1,25 (1, 2)
h) Mangimi composti, ad eccezione dei mangimi per animali da pelliccia,
per animali da compagnia e per pesci 0,75 (1, 2)
i) Mangimi per pesci, animali da compagnia 2,25 (1, 2)
j) Idrolisati proteici di pesci contenenti oltre il 20% di grasso 2,25 (1, 2)
(1) Concentrazioni upperbound; le concentrazioni upperbound sono calcolate presupponendo che tutti i valori
dei diversi congeneri inferiori al limite di quantificazione siano pari al limite di quantificazione.
(2) Questi limiti massimi saranno riveduti alla luce dei nuovi dati sulla presenza di diossine e PCBdl , in particolare
in vista dell’inclusione dei PCBdl nei tenori da fissare, e saranno ulteriormente riveduti al più tardi entro il 31
dicembre 2006 al fine di ridurre in modo significativo i livelli massimi.
(3) Il pesce fresco consegnato direttamente e utilizzato senza trattamento intermedio per la produzione di mangimi
destinati ad animali da pelliccia è esentato dal limite massimo e un tenore massimo di 4,0 ng OMS-PCDD/FTEQ/kg
di prodotto è applicabile al pesce fresco destinato ad essere direttamente somministrato ad animali da compagnia
e ad animali da zoo o da circo. I prodotti, proteine animali lavorate, prodotte a partire da questi animali (animali
da pelliccia, animali da compagnia, animali da zoo e da circo) non possono entrare nella catena alimentare
e ne è pertanto vietata la somministrazione agli animali da allevamento tenuti, ingrassati o allevati per la produzione
di alimenti.
Normativa e linee guida in campo ambientale
Emissioni in atmosfera
Il D.M. 12/07/1990, recante linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti
degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione, stabilisce
valori di emissione per varie tipologie di sostanze inquinanti. Secondo tale
decreto le emissioni delle PCDD (classificate come sostanze di tossicità e cumulabilità
particolarmente elevate) devono essere limitate alla maggiore misura possibile
dal punto di vista tecnico e dell’esercizio. I valori limite di emissione per
PCDD/F sono di 0,01 mg/m3 se il flusso di massa è uguale o superiore a 0,02 g/h,
dove per flusso di massa si intende una massa di sostanza inquinante emessa per
unità di tempo (Allegato 1). L’allegato 2 di tale decreto fissa dei valori di emissione
per specifiche tipologie di impianto, ad esempio per gli impianti di incenerimento
di rifiuti il limite per PCDD/PCDF è 0,004 mg/Nm3
.
47
Il D.M. 25/02/2000 n. 124, regolamento recante i valori di emissione e le norme
tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento
e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della
Direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, fissa valori limite di emissione
in atmosfera per varie sostanze. Tale decreto prevede che gli impianti di incenerimento
siano progettati, equipaggiati e gestiti in modo che durante il periodo
di effettivo funzionamento dell’impianto, comprese le fasi di avvio e di spegnimento
dei forni ed esclusi i periodi di arresti o guasti, non vengano superati dei valori
limite di emissione nell’effluente gassoso. In ogni caso il valore limite di emissione
per policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani (PCDD/PCDF) non
può essere superiore a 0,1 ng/m3
, come valore medio rilevato per un periodo di
campionamento di 8 ore. Per la determinazione del valore medio, espresso come
somma PCDD+PCDF, si deve effettuare la somma dei valori delle concentrazioni
di massa di diossine e furani misurate nell’effluente gassoso, ciascuno previamente
moltiplicato per il corrispondente fattore di tossicità equivalente (I-TEF).
Il D.M. 19/11/1997 n. 503, regolamento recante norme per l’attuazione delle
Direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE concernenti la prevenzione dell’inquinamento
atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e la
disciplina delle emissioni e delle condizioni di combustione degli impianti di incenerimento
di rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di taluni rifiuti
sanitari, fissa dei valori limite di emissione per gli impianti di incenerimento.
Tale decreto fissa valori limite di emissione diversi per impianti di incenerimento
la cui costruzione è stata autorizzata precedentemente o successivamente alla sua
entrata in vigore. Agli impianti di incenerimento la cui costruzione viene autorizzata
successivamente alla entrata in vigore del presente decreto si applicano le
prescrizioni ed i valori limite di emissione indicati nell’Allegato 1; per
PCDD/PCDF il valore è pari a 0,1 ng/m3 come valore medio rilevato per un periodo
di campionamento di 8 ore. Nel caso di impianti di incenerimento la cui costruzione
è già autorizzata alla data di entrata in vigore del presente decreto sono tenuti
al rispetto delle prescrizioni e dei valori limite di emissione indicati nell’Allegato
2, fatti salvi valori più restrittivi prescritti nelle autorizzazioni già concesse dall’autorità
competente: per PCDD/PCDF il valore del limite di emissione è pari a
0,004 mg/m3 (I-TEQ).
La Direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’incenerimento
dei rifiuti prevede una serie di valori limite di emissioni per varie sostanze.
Gli impianti di coincenerimento devono essere progettati, costruiti, attrezzati e
fatti funzionare in maniera da non superare i valori limite di emissione per i gas di
scarico. L’Allegato II prevede per diossine e furani i seguenti valori:
• disposizioni speciali relative ai forni per cemento che coinceneriscono rifiuti:
0,1 ng/m3
;
• disposizioni speciali per impianti di combustione che coinceneriscono rifiuti:
0,1 ng/Nm3
;
• disposizioni speciali per settori industriali che coinceneriscono rifiuti precedentemente
non contemplati: 0,1 ng/Nm3 (I-TEQ).
Tutti i valori medi sono misurati in un periodo minimo di campionamento di 6 ore
e massimo di 8 ore.
Tale Direttiva fissa anche dei valori limite di emissione relativi agli scarichi di acque
reflue derivanti dalla depurazione dei gas di scarico evacuate da un impianto
di incenerimento o coincenerimento. Per PCDD/PCDF tale valore è pari a 0,3
48
ng/l. Per la determinazione della concentrazione totale delle diossine e dei furani,
le concentrazioni di massa devono essere moltiplicate per i rispettivi fattori di
equivalenza, prima di eseguire la somma.
Il D.M. 5/02/1998, recante individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle
procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 D.Lgs. 5 febbraio
1997 n. 22, fissa dei valori limite per le emissioni, convogliate in atmosfera, conseguenti
al recupero di materia dai rifiuti non pericolosi. Il suballegato 2 del decreto
determina valori limite e prescrizioni per le emissioni in atmosfera delle attività
di recupero energia da rifiuti non pericolosi, per PCDD/PCDF il limite è pari a
0,1 ng I-TEQ/m3
. Il suballegato 3 fissa valori limite per le emissioni dovute al recupero
di rifiuti come combustibile o altro mezzo per produrre energia tramite
combustione mista di rifiuti e combustibili tradizionali, per PCDD/PCDF il limite
è pari a 0,1 ng I-TEQ/m3
.
Acque destinate al consumo umano
Il D. Lgs. 2/2/2001 n. 31, recante attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla
qualità delle acque destinate al consumo umano, fissa per una serie di sostanze
i valori massimi ammissibili. Nella lista di queste sostanze non c’è riferimento a
PCDD/PCDF.
A titolo informativo si riporta che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense
(EPA) nel documento Drinking Water Standards and Health Advisories
(edizione 2004), relativo alle acque destinate al consumo umano, fissa una serie
di valori per la 2,3,7,8-TCDD. Nella Tabella 11 sono riportati i valori di cui sopra:
Tabella 11: Drinking Water Standards and Health Advisories (EPA 2004)
Standards Health Advisories (HA)66
10 kg-Child
Sostanza MCL67 MCLG68 One-day69 Ten-day70 RfD71 DWEL72 mg/l at 10-4
(mg/l) (mg/l) (mg/l) (mg/l) (mg/kg day) (mg/l) Cancer Risk73
2,3,7,8-TCDD 3E-08 0 1E-06 1E-07 1E-09 4E-08 2E-08
49
66 HA (Health Advisory): sono delle linee guida e rappresentano una stima della concentrazione accettabile di
una sostanza nelle acque potabili basata sulle informazioni degli effetti riscontrati sulla salute umana.
67 MCL (Maximum Contaminant Level): concentrazione massima di una sostanza permessa nelle acque potabili.
MCL viene fissato il più vicino possibile al MCLG usando le migliori tecnologie analitiche e di trattamento disponibili
e tenendo conto dei costi. MCL sono valori standard imposti.
68 MCLG (Maximum Contaminant Level Goal): obiettivo di concentrazione non imposto e che è fissato ad un valore
per il quale non si conoscono o prevedono effetti avversi sulla salute umana e che consente un adeguato
margine di sicurezza.
69 One-day HA: concentrazione di una sostanza nell’acqua potabile che si suppone non causare alcun effetto avverso
non cancerogeno per esposizione fino ad un giorno.
70 Ten-day HA: concentrazione di una sostanza nell’acqua potabile che si suppone non causare alcun effetto avverso
non cancerogeno per esposizione fino a 10 giorni.
71 RfD (Reference Dose): stima (con incertezza fino ad un ordine di grandezza) dell’esposizione giornaliera della
popolazione umana (compresi i sottogruppi sensibili) che è probabile essere senza rischi apprezzabili di effetti
avversi durante l’arco della vita.
72 DWEL (Drinking Water Equivalent Level): concentrazione di una sostanza alla quale, se esposti tutta la vita,
protegge da effetti avversi non cancerogeni e assume che l’intera esposizione al contaminante derivi dall’acqua
potabile.
73 10-4 Cancer Risk: concentrazione di una sostanza nell’acqua potabile che corrisponde ad un rischio stimato aggiuntivo
di contrarre il cancro nel corso della vita di 1 su 10.000.
Acque superficiali
La normativa italiana non fornisce obiettivi di qualità per le acque superficiali.
In questo contesto va comunque segnalato che per la Laguna di Venezia, ambiente
che necessita l’attivazione di misure di tutela poiché trattasi di ecosistema di rilevante
importanza socio-economica ed ambientale, è stato emanato il D.M.
26/05/99. Tale decreto definisce le modalità di individuazione delle tecnologie da
applicare agli impianti industriali ai sensi del punto 6 del D.M. 23/04/98 relativo
ai requisiti di qualità delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione
per la tutela della laguna di Venezia. Il decreto infatti riconosce la pericolosità di vari
inquinanti, tra cui le diossine, furani e PCB, ed è finalizzato a ridurre le emissioni
e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso. Per quanto riguarda i limiti, gli
obiettivi di qualità e le tecnologie previsti da tale decreto, relativamente alle diossine,
si rimanda al testo del decreto vista la complessità dei temi trattati.
In campo internazionale, a titolo informativo, si riporta che l’Agenzia per la protezione
dell’ambiente statunitense (EPA) raccomanda criteri di qualità nazionali
per 158 inquinanti tra cui la 2,3,7,8-TCDD, criteri che sono stati sviluppati in
conformità alla sezione 304(a) del Clean Water Act e che forniscono la guida ai
vari Stati nell’adozione dei vari standard di qualità. Nella Tabella 12 sono riportati
i criteri sopra citati:
Tabella 12: Criteri di qualità delle acque ambientali negli USA (EPA 2002)
Sostanza Salute umana per il consumo Salute umana per il consumo
di acqua + organismi (μg/l) solamente di organismi (μg/l)
2,3,7,8-TCDD 5 10-9 5,1 10-9
Acque sotterranee
Il D.M. 25/10/1999 n. 471, regolamento recante criteri, procedure e modalità per
la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai
sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 5-2-97 n. 22 e successive modifiche ed integrazioni,
fissa dei valori di concentrazione limite accettabili nelle acque sotterranee;
per diossine e furani tale valore è pari a 4 pg/l (conversione in TEQ).
Sedimenti
La TCDD, a causa delle sue caratteristiche chimico-fisiche mostra un’affinità
molto elevata verso i sedimenti.
La normativa italiana e quella comunitaria non regolamentano i limiti di concentrazione
nei sedimenti, infatti il D.Lgs. 11/5/1999 n. 152, recepimento della
Direttiva 91/271/CEE e della Direttiva 91/676/CEE, recante disposizioni sulla tutela
delle acque dall’inquinamento, stabilisce solo che le analisi sui sedimenti sono
da considerarsi come analisi supplementari eseguite per avere, se necessario,
ulteriori elementi conoscitivi utili a determinare le cause di degrado ambientale di
un corso d’acqua ed inserisce le diossine tra i microinquinanti e le sostanze pericolose
prioritarie da ricercare nei sedimenti.
50
Il D.M. 6/11/2003 n. 367, regolamento concernente la fissazione di standard di qualità
nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell’articolo 3, comma
4, del D.Lgs. 152/99, fissa dei valori standard di qualità dei sedimenti di acque marine-costiere,
lagune e stagni costieri per una serie di sostanze. Lo standard di qualità
relativo a diossine e furani è di 1,5 10-3 mg/kg (conversione in TEQ).
A titolo informativo si riporta che il Canadian Council of Ministers of the
Environment74 raccomanda i seguenti valori guida nei sedimenti di acqua dolce e in
quelli marini per diossine e furani:
Tabella 13 Valori guida nei sedimenti di acqua dolce (Canadian Environmental Quality Guidelines, 2002)
Sostanza ISQG PEL
(ng TEQ/kg peso secco) (ng TEQ/kg peso secco)
PCCD/Fs 0,85 21,5
Tabella 14 Valori guida nei sedimenti marini (Canadian Environmental Quality Guidelines, 2002)
Sostanza ISQG PEL
(ng TEQ/kg peso secco) (ng TEQ/kg peso secco)
PCCD/Fs 0,85 21,5
Il valore ISQG (Interim Sediment Quality Guideline) rappresenta la concentrazione
al di sotto della quale raramente si dovrebbero verificare effetti biologici
avversi. I valori ISQG sono ricavati, generalmente, da studi in campo e mettono in
relazione la concentrazione del contaminante con gli effetti avversi che si osservano.
Valori guida completi (SQG Sediment Quality Guideline) sono ottenibili solo nel
caso in cui sia possibile mettere in relazione su base scientifica il tipo e le caratteristiche
del sedimento (carbonio organico totale, distribuzione delle dimensioni
delle particelle), le caratteristiche della colonna di acqua sovrastante (per es. pH, ossigeno
disciolto) con il valore ISQG.
I valori guida costituiscono la base per la formulazione degli obiettivi di qualità da applicare
allo specifico sito in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche (concentrazioni
del fondo naturale, caratteristiche geochimiche) e biologiche del sito stesso.
Gli obiettivi di qualità possono quindi essere più o meno restrittivi dei valori
guida proprio in funzione del sito che si sta considerando. Il valore PEL definisce la
concentrazione al di sopra della quale è probabile si verifichino effetti avversi.
Suolo
Il D.M. 25/10/1999 n. 471 disciplina i limiti di accettabilità della contaminazione
dei suoli e dei sottosuoli in relazione alle specifiche destinazioni d’uso dei siti. La
Tabella 1 del D.M. 471/99 dell’allegato 1 fissa per diossine e furani i seguenti valori
di concentrazione limite accettabile:
Sostanza Sito ad uso verde pubblico, Sito ad uso commerciale ed industriale
privato e residenziale (mg/kg espressi come sostanza
(mg/kg espressi come sostanza secca, secca, conversione in TEQ)
conversione in TEQ)
ΣPCDD/PCDF 1·10-5 1·10-4
51
74 Canadian Council of Ministers of the Environment: Consiglio dei Ministri Canadese dell’Ambiente
A titolo informativo si riporta che i valori guida stabiliti dal Canadian Council of
Ministers of the Environment per diossine e furani, riportati nella Tabella 15 sottostante,
comprendono oltre alle concentrazioni per siti di uso commerciale, industriale
e residenziale anche quelle per siti destinati ad uso agricolo:
Tabella 15 -Valori guida nel suolo canadese (Canadian Environmental Quality Guidelines, 2002)
Sostanza Siti ad uso Siti ad uso Siti ad uso Siti ad uso
agricolo residenziale commerciale industriale
(ng TEQ/kg) (ng TEQ/kg) (ng TEQ/kg) (ng TEQ/kg)
PCDD/PCDF 4 4 4 4
Scarichi
Il D.Lgs. 152/99 disciplina gli scarichi in funzione del rispetto degli obiettivi di
qualità dei corpi idrici. Per gli scarichi sul suolo e nel sottosuolo il decreto impone
il divieto di scarico per alcune sostanze. Nella lista di queste sostanze non c’è
esplicito riferimento alle diossine ma ai composti organo alogenati e alle sostanze
che possono dare origine a tali composti.
Fanghi
Il D.Lgs. 27/01/1992 n. 99, attuazione della Direttiva 86/278/CE concernente la
protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di
depurazione in agricoltura, non stabilisce valori limite di concentrazione per
PCDD/PCDF nei fanghi di depurazione.
Attualmente in Europa si sta discutendo se sottoporre a riesame tutta la direttiva fanghi,
la 86/278/CE, proprio alla luce di nuovi studi e relazioni ove si dimostra la
presenza incomoda di tutta una serie di composti chimici, potenzialmente pericolosi
per la salute dell’uomo a causa della temuta trasferibilità tramite catena alimentare
come, appunto, le diossine.
In un rapporto dell’ottobre 2001 (Organic contaminants in sewage sludge for
agricultural use) si tenta una sintesi dei risultati di numerosi studi e ricerche riguardanti
costi e benefici sull’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione a
partire dalle principali categorie di contaminanti organici, la loro provenienza e
formazione, le modalità di trasferimento attraverso le piante e gli animali all’organismo
umano, la valutazione del rischio. Il rapporto trova motivo nella decisione
della UE di rivedere la Direttiva 86/278/CE: l’ultima analisi svolta in seno UE
con i c.d. documenti di lavoro arriva alla terza versione.
In questa terza versione risalente al 2000 le conclusioni circa i valori soglia da
non superare per l’utilizzo descritto, per PCDD/PCDF, sono riportati nella
Tabella 16 seguente:
Tabella 16: Proposta di valori limite di concentrazione delle diossine nel fango riutilizzato
Diossine Valori limite (ng TEQ/kg SS)
PCDD 100
PCDF 100
L’Agenzia statunitense, EPA, ha effettuato una nuova valutazione del rischio riguar-
52
do al riutilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura e ha proposto nel 1999 un limite
più alto, pari a 300 ng/kg sostanza secca. In Germania è stato fissato un valore
massimo di 100 ng I-TEQ/kg per PCDD e PCDF nei fanghi destinati al terreno agricolo
e un limite di applicazione di 5 t per ettaro di terreno per 3 anni. L’Austria ha
stabilito un limite per le diossine nei fanghi di depurazione pari a 100 ng TEQ/kg sostanza
secca. In Svizzera il Consiglio Federale ha annunciato l’abbandono completo
dell’uso agricolo dei fanghi di depurazione a partire dal 2005.
Rifiuti
Il D.Lgs. 13/01/2003 n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa
alle discariche di rifiuti, stabilisce requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche,
misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile
le ripercussioni negative sull’ambiente, in particolare l’inquinamento delle
acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell’atmosfera, e sull’ambiente
globale, compreso l’effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti
dalle discariche di rifiuti, durante l’intero ciclo di vita della discarica.
Secondo il decreto non sono ammessi in discarica rifiuti che contengono o sono
contaminati da diossine e furani in quantità superiore a 10 ppb.
Limiti di esposizione occupazionale
In Italia non esistono valori limite di esposizione professionale* stabiliti per diossine
negli ambienti di lavoro. A titolo indicativo si riportano i valori di riferimento
previsti dai vari organismi internazionali. Nelle tabelle elaborate dall’ACGIH
(American Conference of Governmental Industrial Hygienist)75, le più conosciute
ed utilizzate in tutto il mondo nel campo dell’igiene industriale, relative alle
concentrazioni massime accettabili negli ambienti di lavoro non viene definito il
TLV76 per la TCDD. L’Agenzia americana NIOSH (National Institute for
Occupational Safety and Health)77 raccomanda che l’esposizione occupazionale
agli agenti cancerogeni, tra i quali è annoverata la TCDD, sia limitata alla più bassa
concentrazione possibile.
In Germania, il limite di esposizione occupazionale ufficiale (MAK, Maximale
Arbeitsplatzkonzentration, che è l’equivalente del TLV) per la TCDD è pari a
10-8 mg/m3
; inoltre esiste una classificazione delle sostanze in funzione della loro
evidenza di cancerogenicità ed altri effetti avversi, per la TCDD le classi previste
sono:
• Categoria di cancerogenesi78: 4;
• Gruppo di rischio di gravidanza79: C
53
75 ACGIH: Conferenza Americana degli Igienisti Industriali del Governo.
76 TLV (Treshold Limit Value, valore limite di soglia): concentrazione ambientale di una sostanza per la quale si
ritiene che quasi tutti i lavoratori possono essere esposti giorno dopo giorno per tutta la vita lavorativa senza effetti
dannosi.
77 NIOSH: Istituto Nazionale per la Sicurezza e la Salute nei luoghi di lavoro. 78 Categoria di cancerogenesi: le sostanze della categoria 4 sono sostanze con potenziale cancerogeno per il quale
la genotossicità (indica le malattie e le metamorfosi imputabili ad alterazioni genetiche derivanti da intossicazioni
di varia natura) gioca nessuna o minima parte. Non è atteso alcun contributo a rischio di cancro nell’uomo
purché il MAK venga rispettato.
79 Gruppo di rischio di gravidanza: per le sostanze del gruppo C non c’è alcuna ragione di temere un rischio di danno
all’embrione o al feto quando venga rispettato il MAK.
Imballaggio ed etichettatura
In Italia non esistono normative riguardanti disposizioni sulla classificazione, imballaggio
ed etichettatura relative alle diossine. A titolo informativo si riporta la
classificazione delle Nazioni Unite secondo la quale la TCDD appartiene alla
classe di rischio 6.1. Le sostanze rientranti in questa classe sono ritenute tossiche,
responsabili di causare morte, serie lesioni o di nuocere alla salute umana se ingerite,
inalate o per contatto con la cute.
Inoltre, la TCDD rientra nel gruppo di imballaggio I, ossia rientra nel gruppo di
sostanze che presentano un grande pericolo.
LE NORME E I LIMITI PER I PCB
Normativa in campo alimentare
Le stime dell’esposizione a diossine e PCB dioxin-like indicano che una parte
considerevole della popolazione della Comunità Europea assume tali sostanze
con gli alimenti.
Il 30 maggio 2001 il comitato scientifico per l’alimentazione umana (SCF) ha
adottato un parere sulla valutazione del rischio delle diossine e dei PCBdl negli
alimenti, basato su nuove informazioni scientifiche. Il SCF ha fissato una dose
settimanale ammissibile per le diossine e i PCBdl pari a 14 pg (OMS) - equivalente
di tossicità (TEQ) /kg di peso corporeo.
Il Regolamento (CE) n. 2375/2001 del 29 novembre 2001, recante modifica del
regolamento (CE) n. 466/2001 della Commissione, definisce i tenori massimi di taluni
contaminanti, tra cui diossine e furani, presenti nelle derrate alimentari.
In tale regolamento esistono livelli massimi solo per le diossine e i furani e non
per i PCBdl, a causa della disponibilità di dati molto limitata. Tuttavia il monitoraggio
continua, in particolare per quanto riguarda la presenza di PCBdl, al fine di
includere livelli massimi anche per queste sostanze. Secondo tale regolamento i
livelli massimi verranno riesaminati alla luce di nuovi dati sulla presenza di diossine
e PCBdl, in particolare al fine di includere i PCBdl, verranno ulteriormente riesaminati
entro e non oltre il 31 dicembre 2006.
La Raccomandazione 2002/201/CE del 4 marzo 2002, relativa alla riduzione della
presenza di diossine, furani e PCB nei mangimi e negli alimenti fa le seguenti
considerazioni:
• al momento attuale i livelli accettabili di diossine nei mangimi e negli alimenti devono
essere valutati alla luce degli attuali livelli di fondo. I livelli massimi, stabiliti
per i mangimi dalla direttiva 1999/29/CE del Consiglio, del 22 aprile
199980, sono fissati a un livello rigoroso, ma fattibile, tenendo conto della contaminazione
di fondo. Questi livelli massimi dovrebbero prevenire livelli di espo-
54
80 Direttiva relativa alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli animali, modificata da ultimo
dalla direttiva 2001/102/CE e per i prodotti alimentari dal regolamento (CE) n. 466/2001 della
Commissione, dell’8 marzo 2001, che definisce i tenori massimi di taluni contaminanti presenti nelle derrate alimentari,
modificato dal regolamento (CE) n. 2375/2001 del Consiglio.
sizione inaccettabilmente elevati degli animali e della popolazione umana ed
evitare la distribuzione di mangimi e alimenti aventi un’inaccettabile contaminazione
elevata;
• sebbene da un punto di vista tossicologico, ogni livello vada applicato sia alle
diossine, che ai furani, che ai PCBdl, i livelli massimi stabiliti dalla direttiva
1999/29/CE e dal regolamento (CE) n. 466/2001 valgono soltanto per le diossine
e i furani, ma non per i PCBdl, a causa degli scarsi dati disponibili sulla diffusione
di questi ultimi. Conformemente alle raccomandazioni del SCF, risulta
quindi necessario produrre dati attendibili sulla presenza di PCBdl in una gamma
quanto più ampia possibile di componenti di mangimi, di mangimi e di alimenti,
in modo da ottenere una valida banca dati in un periodo di tempo relativamente
breve. Ciò dovrebbe consentire di rivedere i livelli massimi previsti dalla direttiva
1999/29/CE e dal regolamento (CE) n. 466/2001 e i livelli d’azione fissati
dalla presente raccomandazione, al fine di inserire i PCBdl nei livelli da definirsi;
• i livelli d’azione dovrebbero essere riveduti, non appena risulteranno disponibili
dati sufficienti sulla presenza di PCBdl nei componenti di mangimi, nei mangimi
e negli alimenti;
• accanto alla revisione dei livelli d’azione per includervi i PCBdl, si dovrebbe
prevedere un adeguamento periodico di tali livelli per tener conto della flessione
cui è soggetta la presenza di diossina, nonché dell’approccio attivo inteso a ridurre
gradualmente la loro presenza nei mangimi e negli alimenti.
Raccomanda che:
• gli Stati membri, proporzionalmente alla loro produzione, al loro uso e consumo
di componenti di mangimi, mangimi e alimenti, eseguano un monitoraggio
aleatorio della presenza di diossina e PCBdl nei componenti di mangimi, nei
mangimi stessi e negli alimenti. Tale monitoraggio deve essere effettuato conformemente
agli orientamenti e con le frequenze stabiliti dal comitato permanente
degli alimenti per animali per quanto concerne i mangimi e dal comitato
permanente per i prodotti alimentari per quanto concerne gli alimenti;
• in caso di mancato rispetto delle disposizioni della direttiva 1999/29/CE del regolamento
(CE) n. 466/2001 e (fatto salvo il punto 3) qualora si riscontrino livelli
di diossine eccedenti i livelli d’azione specificati negli allegati I e II, gli
Stati membri, in collaborazione con gli operatori:
a) avviino indagini per individuare la fonte di contaminazione;
b) verifichino la presenza di PCBdl.
Il D.Lgs. 10/05/2004 n. 149, attuazione della direttiva 2001/102/CE, della direttiva
2002/32/CE, della direttiva 2003/57/CE e della direttiva 2003/100/CE, relative
alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli animali, disciplina
le sostanze indesiderabili nei prodotti destinati all’alimentazione degli animali
e fissa i limiti massimi di sostanze e prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli
animali, tra cui diossine e furani ma non fissa limiti per i PCBdl.
55
Secondo tale decreto i livelli massimi verranno riesaminati alla luce dei nuovi dati
sulla presenza di diossine e PCBdl, in particolare in vista dell’inclusione dei
PCBdl nei tenori da fissare, e saranno ulteriormente riveduti al più tardi entro il 31
dicembre 2006.
Normativa e linee guida in campo ambientale
Emissioni in atmosfera
Il D.M. 12/07/1990, recante linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti
degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione, stabilisce
valori di emissione per varie tipologie di sostanze inquinanti. Secondo tale
decreto le emissioni di PCB, PCT81 e PCN82 (classificate come sostanze di tossicità
e cumulabilità particolarmente elevate) devono essere limitate alla maggiore
misura possibile dal punto di vista tecnico e dell’esercizio. I valori limite di emissione
per i PCB, PCT e PCN sono di 0,5 mg/m3 se il flusso di massa è uguale o superiore
a 0,5 g/h, dove per flusso di massa si intende una massa di sostanza inquinante
emessa per unità di tempo (Allegato 1). Per quanto riguarda i valori di
emissione indicati, ai fini del calcolo del flusso di massa e di concentrazione, in
caso di presenza di più sostanze della stessa classe le quantità delle stesse vanno
sommate.
Tale decreto si applica agli impianti esistenti al 1988, per gli impianti costruiti
successivamente le autorizzazioni devono stabilire i valori limite di emissione
sulla base delle migliori tecniche disponibili.
Incenerimento di rifiuti
Il D.M. 25/2/2000 n. 124, regolamento recante i valori limite di emissione e le
norme tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti
di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione
della direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e ai sensi dell’articolo
3, comma 2, del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e dell’articolo 18, comma 2, lettera
a), del D.Lgs. 5/02/1997 n. 22, stabilisce le misure e le procedure finalizzate
a prevenire e ridurre per quanto possibile gli effetti negativi dell’incenerimento
dei rifiuti pericolosi sull’ambiente.
Tale decreto (Allegato 3, suballegato 1) stabilisce norme tecniche e valori limite di
emissione per il coincenerimento di oli usati e miscele oleose.
Per essere ammessi a coincenerimento, gli oli usati e le miscele oleose devono rispettare
per i PCB i valori massimi indicati in Tabella 17:
Tabella 17 -Valori massimi per PCB
Parametri Valori
Oli usati PCB/PCT max 25 mg/kg
Miscele oleose PCB/PCT max 25 mg/kg
56
81 PCT Policlorotrifenili 82 PCN Policloronaftaleni
Inoltre, tale decreto prevede che gli impianti devono essere progettati, equipaggiati
e gestiti in modo tale che durante il periodo di effettivo funzionamento dell’impianto,
comprese le fasi di avvio e di spegnimento ed esclusi i periodi di arresti
o guasti, non vengano superati i seguenti valori limite di emissione nell’effluente
gassoso. Nel suballegato 2 (allegato 3) del decreto vengono indicati i valori
limite di emissione in atmosfera, già stabiliti dal D.M.16 maggio 1996 n. 392, e
requisiti impiantistici minimi per il coincenerimento degli oli usati; per i PCB i
valori limite sono riportati in Tabella 18:
Tabella 18 - Valori limite di emissione in atmosfera per i PCB/PCT
Sostanza inquinante Valore limite
PCB/PCT 0,1 mg/m3
Acque destinate al consumo umano
Il D. Lgs. 2/2/2001 n. 31, recante attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla
qualità delle acque destinate al consumo umano, fissa per una serie di sostanze
i valori massimi ammissibili. Nella lista di queste sostanze non c’è alcun riferimento
ai PCB.
A titolo informativo si riporta che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense
(EPA) nel documento Drinking Water Standards and Health Advisories
(edizione 2004), relativo alle acque destinate al consumo umano, fissa una serie
di valori per i PCB. Nella Tabella 19 sono riportati i valori di cui sopra.
Tabella 19: Drinking Water Standards and Health Advisories (EPA 2004)
Standards Health 83Advisories
sostanza MCL84 MCLG85 mg/l at 10-4
(mg/l) (mg/l) Cancer Risk86
PCB totali 5 10-4 0 0,01
Acque superficiali
Il D.M. 6/11/2003 n. 367, regolamento concernente la fissazione di standard di
qualità nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell’articolo 3,
comma 4, del D.Lgs. 152/99, definisce per le sostanze pericolose, individuate a
livello comunitario, standard di qualità per la matrice acquosa. Gli standard fissati
in tabella 1 dell’allegato A sono finalizzati a garantire a breve termine la salute
umana e a lungo termine la tutela dell’ecosistema acquatico.
57
83 HA (Health Advisory): sono delle linee guida e rappresentano una stima della concentrazione accettabile di
una sostanza nelle acque potabili basata sulle informazioni degli effetti riscontrati sulla salute umana.
84 MCL (Maximum Contaminant Level): concentrazione massima di una sostanza permessa nelle acque potabili.
MCL viene fissato il più vicino possibile al MCLG usando le migliori tecnologie analitiche e di trattamento disponibili
e tenendo conto dei costi. MCL sono valori standard imposti.
85 MCLG (Maximum Contaminant Level Goal): obiettivo di concentrazione non imposto e che è fissato ad un
valore per il quale non si conoscono o prevedono effetti avversi sulla salute umana e che consente un adeguato margine
di sicurezza.
86 10-4 Cancer Risk: concentrazione di una sostanza nell’acqua potabile che corrisponde ad un rischio stimato aggiuntivo
di contrarre il cancro nel corso della vita di 1 su 10.000.
Lo standard di qualità relativo ai PCB totali è di 6 10-5 μg/l, tale valore è riferito alla
sommatoria di tutti i congeneri (la concentrazione fissata costituisce lo standard
da rispettare nelle acque dolci superficiali, nelle lagune e nelle acque marine,
che devono essere conformi entro il 31 dicembre 2008 allo standard fissato).
A titolo informativo si riporta che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense
(EPA) raccomanda criteri di qualità nazionali per 158 inquinanti tra cui
i PCB, criteri che sono stati sviluppati in conformità alla sezione 304(a) del Clean
Water Act e che forniscono la guida ai vari Stati nell’adozione dei vari standard di
qualità. Nella Tabella 20 sono riportati i criteri sopra citati:
Tabella 20: Criteri di qualità delle acque ambientali negli USA (EPA 2002)
Sostanza Acqua dolce Acqua di mare Salute umana per il Salute umana per il
CCC87 CCC consumo di acqua consumo solamente
(μg/l) (μg/l) + organismi (μg/l) di organismi (μg/l)
PCB totali 0,014 0,03 6,4 10-5 6,4 10-5
Acque sotterranee
Il D.M. 25/10/99 n. 471, regolamento recante criteri, procedure e modalità per la
messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi
dell’articolo 17 del D.Lgs. 5-2-97 n. 22 e successive modifiche ed integrazioni,
fissa dei valori di concentrazione limite accettabili nelle acque sotterranee; per i
PCB tale valore è pari a 0,01 mg/l.
Sedimenti
La normativa italiana e quella comunitaria non regolamentano i limiti di concentrazione
nei sedimenti, infatti il D.Lgs. 11-05-1999 n. 152, recepimento della
Direttiva 91/271/CE e della Direttiva 91/676/CE, recante disposizioni sulla tutela
delle acque dall’inquinamento, stabilisce solo che le analisi sui sedimenti sono da
considerarsi come analisi supplementari eseguite per avere, se necessario, ulteriori
elementi conoscitivi utili a determinare le cause di degrado ambientale di un
corso d’acqua ed inserisce i PCB tra i microinquinanti e le sostanze pericolose
prioritarie da ricercare nei sedimenti.
Il D.M. 6/11/2003 n. 367, regolamento concernente la fissazione di standard di
qualità nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell’articolo 3,
comma 4, del D.Lgs. 152/99, fissa dei valori standard di qualità dei sedimenti di acque
marine-costiere, lagune e stagni costieri per una serie di sostanze. Lo standard
di qualità relativo a diossine e furani e PCBdl è di 1,5 10-3 mg/kg (conversione
in TEQ), mentre lo standard di qualità relativo ai PCB totali è provvisorio88 ed
è pari a 4 mg/kg.
A titolo informativo si riporta che il Canadian Council of Ministers of the
58
87 CCC (Criterion Continuos Concentration) è una stima della concentrazione più alta in acque di superficie alla
quale una comunità acquatica può essere esposta per un periodo di tempo indeterminato senza incorrere in un effetto
inaccettabile.
88 Lo standard è riferito alla sommatoria di tutti i congeneri. L’autorità preposta al controllo deve specificare i
singoli congeneri ricercati. Si segnalano, secondo tale decreto, i congeneri più significativi sotto il profilo sanitario
ed ambientale: PCB 28, PCB 52, PCB 77, PCB 81, PCB 101, PCB 118, PCB 126, PCB 128, PCB 138, PCB
153, PCB 156, PCB 169, PCB 180.
Environment raccomanda i seguenti valori guida nei sedimenti di acqua dolce e in
quelli marini per PCB (Tabelle 21 e 22):
Tabella 21: Valori guida nei sedimenti di acqua dolce (Canadian Environmental Quality Guidelines, 2002)
Sostanza ISQG (μg/kg) PEL (μg/kg)
PCB totali 34,1 277
Tabella 22: Valori guida nei sedimenti marini (Canadian Environmental Quality Guidelines, 2002)
Sostanza ISQG (μg/kg) PEL (μg/kg)
PCB totali 21,5 189
Il valore ISQG (Interim Sediment Quality Guideline) rappresenta la concentrazione
al di sotto della quale raramente si dovrebbero verificare effetti biologici
avversi. I valori ISQG sono ricavati, generalmente, da studi su campo e mettono in
relazione la concentrazione del contaminante con gli effetti avversi che si osservano.
Valori guida completi (SQG Sediment Quality Guideline) sono ottenibili solo nel
caso in cui sia possibile mettere in relazione su base scientifica il tipo e le caratteristiche
del sedimento (carbonio organico totale, distribuzione delle dimensioni
delle particelle), le caratteristiche della colonna di acqua sovrastante (per es. pH, ossigeno
disciolto) con il valore ISQG.
I valori guida costituiscono la base per la formulazione degli obiettivi di qualità da
applicare allo specifico sito in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche (concentrazioni
del fondo naturale, caratteristiche geochimiche) e biologiche del sito
stesso. Gli obiettivi di qualità possono quindi essere più o meno restrittivi dei valori
guida proprio in funzione del sito che si sta considerando. Il valore PEL definisce
la concentrazione al di sopra della quale è probabile si verifichino effetti avversi.
Biota
Il D.Lgs. 11/05/1999 n. 152, per la caratterizzazione dello stato degli ecosistemi marini,
anche ai fini della formulazione del giudizio di qualità ecologica ed ambientale
delle acque marine costiere, afferma che dovranno essere eseguite indagini
sulle biocenosi di maggior pregio ambientale (praterie di fanerogame, coralligeno,
etc.) e su altri bioindicatori.
Allo scopo di individuare particolari situazioni di criticità dovute alla presenza di
sostanze chimiche pericolose presenti in tracce nelle acque e di concorrere alla
definizione del giudizio di qualità chimica, sul biota dovranno essere eseguite
analisi di accumulo di metalli pesanti e composti organici, tra questi composti figurano
anche i PCB.
Secondo tale decreto i PCB più rilevanti sotto il profilo ambientale consigliati anche
in sede internazionale (EPA, UNEP) sono: PCB 52, PCB 77, PCB 81, PCB
128, PCB 138, PCB 153, PCB 169.
Suolo
Il D.M. 25/10/1999 n. 471 disciplina i limiti di accettabilità della contaminazione
dei suoli e dei sottosuoli in relazione alle specifiche destinazioni d’uso dei siti. La
tabella 1 dell’allegato 1 del DM 471/99 fissa per i PCB i seguenti valori di concentrazione
limite accettabile (Tabella 23):
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Tabella 23 - Valori limite nel suolo per i PCB
Sostanza Sito ad uso verde pubblico, Sito ad uso commerciale
privato e residenziale ed industriale
(mg/kg espressi come sostanza secca) (mg/kg espressi come sostanza secca)
PCB 1·10-3 5
A titolo informativo si riporta che i valori guida stabiliti dal Canadian Council of
Ministers of the Environment per i PCB, riportati nella Tabella 24 sottostante,
comprendono oltre alle concentrazioni per siti di uso commerciale, industriale e
residenziale anche quelle per siti destinati ad uso agricolo.
Tabella 24 -Valori guida nel suolo canadese (Canadian Environmental Quality Guidelines, 2002)
Sostanza Siti ad uso Siti ad uso Siti ad uso Siti ad uso
agricolo residenziale commerciale industriale
(mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg)
PCB 0,5 1,3 33 33
Scarichi
Il D.Lgs. 152/99 disciplina gli scarichi in funzione del rispetto degli obiettivi di
qualità dei corpi idrici. Per gli scarichi sul suolo e nel sottosuolo il decreto impone
il divieto di scarico per alcune sostanze. Nella lista di queste sostanze non c’è
esplicito riferimento ai PCB ma ai composti organo alogenati e alle sostanze che
possono dare origine a tali composti.
Fanghi
Il D.Lgs. 27/01/1992 n. 99, attuazione della Direttiva 86/278/CE concernente la
protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di
depurazione in agricoltura, non stabilisce valori limite di concentrazione per PCB
nei fanghi di depurazione.
Attualmente in Europa si sta discutendo se sottoporre a riesame tutta la direttiva fanghi,
la 86/278/CE, proprio alla luce di nuovi studi e relazioni ove si dimostra la
presenza incomoda di tutta una serie di composti chimici, potenzialmente pericolosi
per la salute dell’uomo a causa della temuta trasferibilità tramite catena alimentare.
In un rapporto dell’ottobre 2001 (Organic contaminants in sewage sludge for
agricultural use) si tenta una sintesi dei risultati di numerosi studi e ricerche riguardanti
costi e benefici sull’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione a
partire dalle principali categorie di contaminanti organici, la loro provenienza e
formazione, le modalità di trasferimento attraverso le piante e gli animali all’organismo
umano, la valutazione del rischio. Il rapporto trova motivo nella decisione
della UE di rivedere la Direttiva 86/278/CE: l’ultima analisi svolta in seno UE
con i c.d. documenti di lavoro arriva alla terza versione.
In questa terza versione risalente al 2000 le conclusioni circa i valori soglia da
non superare per l’utilizzo descritto, per i PCB, sono riportati nella Tabella 25 seguente:
60
Tabella 25: Proposta di valori limite di concentrazione di PCB nel fango riutilizzato
PCB Valore limite (mg/kg)
(il valore si riferisce per ognuno dei congeneri:
PCB 28, PCB 52, PCB 101, PCB 138, PCB 153, PCB 180) 0,2
In Germania e Austria è stato fissato un valore massimo di 0,2 mg/kg per PCB nei
fanghi destinati al terreno agricolo e un limite di applicazione di 5 t per ettaro di terreno
per 3 anni.
Rifiuti
Il D.Lgs. 5/02/1997 n. 22, recante attuazione della direttiva 91/156/CE sui rifiuti,
della direttiva 91/689/CE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi
e sui rifiuti di imballaggio, disciplina la gestione dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi,
degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi, fatte salve disposizioni specifiche
particolari o complementari, conformi ai principi del presente decreto, adottate
in attuazione di direttive comunitarie che disciplinano la gestione di determinate
categorie di rifiuti. Ai fini del presente decreto si intende per rifiuto qualsiasi
sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il
detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; i PCB rientrano nella
seguente categoria di rifiuti:
• Sostanze contaminate (ad esempio olio contaminato da PCB, ecc.)
Inoltre nell’allegato A viene presentato il catalogo europeo dei rifiuti, per i PCB
le categorie CER89 sono le seguenti:
• 13; categoria oli esauriti: oli isolanti e di trasmissione di calore esauriti ed altri liquidi
contenenti PCB e PCT;
• 16; categoria rifiuti non specificati: trasformatori e condensatori contenenti
PCB o PCT.
Nell’allegato D figurano vari tipi di rifiuti pericolosi ai sensi dell’art. 1, paragrafo
4 della direttiva 91/689/CE, tra cui sostanze contenenti PCB (oli esauriti).
Il D.Lgs. 13/01/2003 n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa
alle discariche di rifiuti, stabilisce requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche,
misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile
le ripercussioni negative sull’ambiente, in particolare l’inquinamento delle
acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell’atmosfera, e sull’ambiente
globale, compreso l’effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti
dalle discariche di rifiuti, durante l’intero ciclo di vita della discarica.
Secondo il decreto non sono ammessi in discarica rifiuti che contengono o sono
contaminati da PCB, come definiti dal D. Lgs. 22-5-99 n. 209, in quantità superiore
a 50 ppm.
Il D.Lgs. 22/05/1999 n. 209, recante attuazione della direttiva 96/59/CE relativa allo
smaltimento dei PCB e dei PCT, disciplina lo smaltimento di PCB usati e la de-
61
89 Codice Europeo dei Rifiuti
contaminazione e lo smaltimento dei PCB e degli apparecchi contenenti PCB, ai fini
della loro completa eliminazione. L’articolo 3 del citato decreto prevede che:
coloro che detengono apparecchi contenenti PCB con volume superiore ai 5 dm3 sono
tenuti ad effettuare una comunicazione biennale alle sezioni regionali o delle
Province autonome del Catasto Nazionale Rifiuti. I detentori di apparecchi contenenti
PCB in concentrazioni superiori allo 0,05% in peso devono riportare in tale
comunicazione varie informazioni, tra le quali il quantitativo e la concentrazione
di PCB detenuto. Per tale tipo di apparecchi, il decreto fissa alla data del
31.12.2010 il termine per la decontaminazione o lo smaltimento degli stessi.
Inoltre, l’articolo 7 di tale decreto, individua l’incenerimento come la tecnica di
smaltimento più idonea per gli apparecchi contenenti PCB.
Il D.Lgs. 22/5/1999 n. 209 definisce PCB:
1) i policlorodifenili;
2) i policlorotrifenili;
3) il monometiltetraclorodifenilmetano, il monometildiclorodifenilmetano, monometildibromodifenilmetano;
4) ogni miscela che presenti una concentrazione complessiva di qualsiasi delle
suddette sostanze superiore allo 0,005% in peso.
Il D.Lgs. 27/01/1992 n. 95, attuazione delle direttive 75/439/CE e 87/101/CE relative
alla eliminazione degli oli usati, stabilisce che la detenzione e l’attività di
raccolta e di eliminazione degli oli usati siano organizzate e svolte secondo le
modalità previste nel presente decreto in modo da evitare danni alla salute e all’ambiente
e di consentire, ove compatibile, il recupero di materia e di energia.
L’articolo 3, comma 4 del decreto prevede i seguenti obblighi e divieti:
• l’eliminazione dell’olio usato che contenga quantità e/o concentrazioni tali da
farlo classificare come rifiuto tossico nocivo, inclusi i PCB ed i PCT e loro miscele,
in misura eccedente 25 ppm, nonché dei residui dei processi di trattamento
degli oli usati, è regolato dalle disposizioni vigenti in materia di rifiuti.
In particolare a oli contaminati da PCB e PCT si applicano le disposizioni del sopra
citato D.Lgs. 209 del 1999.
Inoltre secondo l’articolo 9, comma 3 del decreto è vietata la combustione degli
oli usati contenenti PCB e PCT in concentrazione superiore a 25 ppm.
Il Regolamento (CEE) n. 259/93 del 1 febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e
al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché
in entrata e in uscita dal suo territorio, riguarda l’applicazione, da parte degli Stati
membri, di un sistema di autorizzazione preliminare per le spedizioni di rifiuti.
Il sistema istituito prevede una distinzione tra i rifiuti:
• destinati allo smaltimento definitivo (ammasso, incenerimento);
• destinati al recupero (riciclaggio).
Per quanto concerne i rifiuti che saranno oggetto di riciclaggio, il regolamento prevede
una distinzione tra i rifiuti della lista “verde”: ad esempio rifiuti di metalli e loro
leghe (allegato II del regolamento), rifiuti della lista “ambra”: rifiuti derivati
dalla lavorazione del ferro e dell’acciaio (allegato III), rifiuti della lista “rossa”: rifiuti
contenenti PCB e PCT , ad un livello pari o superiore a 50 mg/kg (allegato IV)
e, infine, rifiuti non ancora classificati in una lista.
62
Restrizioni sulla commercializzazione e l’uso di sostanze chimiche
Il D.P.R. 24/05/1988 n. 216, recante attuazione della direttiva CEE numero
85/467 recante sesta modifica (PCB/PCT) della direttiva CEE n. 76/769 concernente
il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative
degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul
mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi, ai sensi dell’art. 15 della
legge 16 aprile 1987 n. 183, regola i divieti e le limitazioni in materia di immissione
sul mercato e di uso nel territorio nazionale dei policlorobifenili e policlorotrifenili,
nonché degli impianti ed apparecchi e fluidi che li contengono.
Tale decreto ha introdotto nel nostro ordinamento il divieto di immissione sul
mercato di apparecchiature o sostanze contenenti PCB in concentrazioni superiori
a 100 ppm (0,01%). L’uso degli impianti e delle apparecchiature, che superano
questa percentuale di concentrazione, è consentito sino all’eliminazione o al termine
della durata operativa, nel caso fossero già operanti o utilizzati prima dell’entrata
in vigore del decreto stesso, purchè siano sottoposti a controlli almeno annuali e rispondano
alle norme tecniche adottate nel settore. Inoltre, tali apparecchiature e
sostanze contenenti PCB in concentrazione superiore a 100 ppm devono essere
denunciati all’autorità competente, come pure la cessazione d’uso, nonché le modalità
di smaltimento.
Successivamente il D.M. 29 luglio 1994 ha modificato il D.P.R. 24 maggio 1988
abbassando il limite di concentrazione ammessa di PCB da 0,01% a 0,005%.
Limiti di esposizione occupazionale
In Italia non esistono valori limite di esposizione professionale stabiliti per PCB negli
ambienti di lavoro.
Imballaggio ed etichettatura
In Italia il D.Lgs. 22/05/1999 oltre a regolamentare lo smaltimento di PCB usati e
la decontaminazione e lo smaltimento dei PCB e degli apparecchi contenenti
PCB, definisce l’etichettatura da apporre sugli apparecchi contenenti PCB.
Secondo tale decreto, gli apparecchi contenenti PCB per un volume superiore a 5
dm3 devono essere contrassegnati da un’etichetta con su scritto “Apparato contenente
PCB” accompagnata dai simboli di pericolo Xn90, N91 e le frasi di rischio
R3392, R5093, R5394, che fanno riferimento ai liquidi dell’apparecchio contenente
PCB.
Gli apparecchi con un volume superiore a 5 dm3 contenenti PCB in concentrazione
compresa fra lo 0,005% in peso e lo 0,05% in peso devono riportate una etichetta
in cui oltre ai simboli suddetti deve essere presente la dicitura “Contaminazione
da PCB inferiore a 0,05%”.
63
90 Xn: indica un preparato nocivo che in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo può essere letale
oppure provocare lesioni acute o croniche.
91 N: indica che si tratta di sostanze che qualora si diffondano nell’ambiente presentano o possono presentare rischi
immediati per una o più delle componenti ambientali.
92 R33: indica pericolo ed effetti collaterali cumulativi.
93 R50: indica che si tratta di sostanze altamente tossiche per gli organismi acquatici.
94 R53: indica sostanze che possono provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente acquatico.
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68
GLOSSARIO
Bioaccumulo: capacità di una sostanza di accumularsi all’interno di un organismo
(a seguito di una esposizione ad essa attraverso l’ambiente circostante e/o attraverso
la catena alimentare). Le sostanze ad elevato potere di bioaccumulo sono
quelle con elevata solubilità nei grassi.
Bioconcentrazione: processo che porta ad una maggiore concentrazione di una
sostanza in un organismo rispetto a quella presente nell’ambiente.
Biomagnificazione o magnificazione biologica: processo nel quale un composto
chimico si accumula in modo seriale attraverso la catena alimentare passando
da concentrazioni più basse nelle specie preda a concentrazioni più alte nelle specie
predatrici.
Congenere: membro di una famiglia di sostanze chimiche che differiscono fra loro
solo per il numero e la posizione del medesimo sostituente.
Degradazione biologica: processo di demolizione della struttura molecolare delle
sostanze organiche ad opera di diverse specie di microrganismo con formazione
di sostanze minerali semplici quali ad esempio acqua, anidride carbonica, ammoniaca,
ecc.
Degradazione chimica: nella chimica organica indica il passaggio di un composto
ad un altro contenente un diverso gruppo funzionale ed un numero più piccolo
di atomi di carbonio.
Emivita: indica il tempo richiesto perché la concentrazione di una sostanza chimica
si riduca della metà.
Limite di esposizione professionale: livello di esposizione al quale si ritiene che
la maggior parte dei lavoratori possa essere esposta senza effetti negativi per la
salute.
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Liposolubilità: tendenza di una sostanza a dissolversi nei grassi.
Nanogrammo (ng): unità di misura pari ad un milionesimo di milligrammo.
Particolato: il materiale particolato presente nell’aria è costituito da una miscela
di particelle solide e liquide di piccole dimensioni.
Picogrammo (pg): unità di misura pari ad un miliardesimo di milligrammo.
POPs (Persistent Organic Pollutants): composti organici persistenti, per lo più di
origine antropica.
ppb: parti per bilione (1 bilione = 1 miliardo)
ppm: parti per milione.
ppq: parti per quadrilione
ppt: parti per trilione (1 trilione = 1000 miliardi)
Pressione di vapore: la pressione di vapore descrive la tendenza di una sostanza
a trasferirsi da e verso la fase gassosa ed è, per definizione, la pressione di vapore
saturo di un composto chimico all’equilibrio (dinamico) con la sua fase condensata
sia essa liquida o solida.
Recettore biologico: proteina localizzata sulla superficie o all’interno delle cellule
in grado di riconoscere e legare in maniera selettiva una determinata sostanza
chiamata legante (per esempio un ormone, un antigene, uno zucchero). Il legame
tra il recettore biologico ed il legante può essere visto come quello che occorre tra
una serratura ed una chiave, dove il recettore rappresenta la serratura ed il legante
la chiave. Il legame di una sostanza al proprio recettore provoca una cascata di
reazioni che culminano in una precisa risposta della cellula alla sostanza legata,
che agisce da segnale.
Recettore Ah: o recettore degli idrocarburi aromatici (Ah, aromatic hydrocarbon)
presente nelle cellule degli organismi viventi. I composti aromatici, come le
diossine e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), vi combaciano perfettamente,
come una chiave in una serratura. Il complesso formato dalla molecola (legante)
e dal recettore è in grado di attraversare le membrane cellulari avviando così l’azione
tossica.
Tossicità: capacità di una sostanza di provocare effetti dannosi sugli organismi
viventi quando supera un certo livello di concentrazione. E’ strettamente legata
alla sua possibilità di assorbimento, trasporto, metabolismo ed escrezione nell’organismo
vivente. Si parla di tossicità acuta per risposte che si manifestano in tempi
brevi e di tossicità cronica per risposte che si rendono palesi dopo tempi prolungati.
TDI (Tolerable Daily Intake): dose tollerabile giornaliera, è una stima della quantità
di un contaminante nel cibo o nell’acqua potabile che può essere ingerita gior-
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nalmente nell’arco della vita senza causare rischi apprezzabili alla salute.
TEF (Toxicity Equivalence Factor): Fattore di Equivalenza Tossica. Permette di
confrontare il livello di tossicità dei diversi congeneri, appartenenti alla famiglia delle
diossine, in relazione alla 2,3,7,8 TCDD.
TEQ: quantità totale di tossicità che si genera sommando la tossicità relativa di
ogni singolo congenere.
TWI (Tolerable Weekly Intake): dose tollerabile settimanale, è una stima della
quantità di un contaminante nel cibo o nell’acqua potabile che può essere ingerita
settimanalmente nell’arco della vita senza causare rischi apprezzabili alla salute.
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