Con la legge 241/90, in ossequio ai principi costituzionali di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa previsti dall’art. 97 Cost. e, al fine di garantire la più ampia possibile partecipazione del cittadino alla “res publica”, è stato sancito, quale principio generale dell’ordinamento, il diritto di accesso agli atti amministrativi della pubblica amministrazione.
Il legislatore, con questo innovativo provvedimento, ha voluto fissare il principio secondo il quale la conoscibilità degli atti della p.a. rappresenta uno strumento indispensabile per verificare, di volta in volta, la correttezza del suo operato.
Oltre al citato “diritto di accesso”, la legge ha previsto altri istituti che fungono da corollario al giusto espletamento di tale diritto, come il preventivo “obbligo di motivazione” del provvedimento amministrativo nonché la partecipazione del privati al procedimento di formazione dell’atto amministrativo.
L’articolo 22 della predetta legge che disciplina l’accesso ai documenti amministrativi ha ricevuto applicazione da parte sia delle amministrazioni statali che delle amministrazioni territoriali e locali;
La titolarità del diritto di accedere ai documenti amministrativi compete esclusivamente ai soggetti che vi abbiano uno specifico interesse in relazione alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante, ossia ai portatori di una situazione qualificata e differenziata
(diritto soggettivo, interesse legittimo ed interesse diffuso).
Tale interesse, come ha sostenuto di recente il TAR Lazio con sent. n. 6203/2007, richiede la rinvenibilità di un sia pur minimo legame tra la finalità per la quale il richiedente ha interesse all’accesso ed il documento richiesto. Si richiede, infatti, “la emergenza delle ragioni per le quali il richiedente intende accedere e soprattutto la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il diritto di accesso è preordinato e ciò in quanto si rende necessaria la evidenziazione, sia pure in linea sommaria, del nesso che intercorre tra la posizione di interesse del richiedente e la documentazione richiesta. In altri termini, non si può ottenere una esibizione documentale senza la esistenza di alcun nesso di teleologica finalità tra la domanda ostensiva e la ragione della stessa domanda”.
Sono obbligati, ex art. 23 L. 241/90, a consentire l’esercizio del diritto di accesso:
le pubbliche amministrazioni, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici, ivi compresi quelli economici in relazione allo svolgimento della attività di diritto pubblico, i gestori di pubblici servizi, le aziende autonome e speciali, l’autorità di garanzia e di vigilanza, l’amministrazione comunitaria nonché le imprese di assicurazione.
L’art. 24 prevede i casi di “esclusione dal diritto di accesso” prevedendo una serie di limiti, di cui una parte tassativi.
Naturalmente tali limiti sono posti a tutela della salvaguardia di interessi pubblici fondamentali sovraordinati a quelli dei singoli soggetti.
Si tratta dei documenti coperti dal segreto di stato, i procedimenti in materia di sequestri di persona e di protezione di testimoni di giustizia, i documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione (art. 9 L. 121/81) nonché i documenti esclusi dal diritto di accesso per mezzo di appositi regolamenti governativi.
In relazione ai cosiddetti limiti facoltativi gli stessi permangono fintanto la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’attività amministrativa, producendo, tali limiti, solo un differimento all’accesso.
Il diritto di accesso, come stabilisce l’art. 25, si esercita mediante richiesta motivata da inoltrare all’amministrazione che ha prodotto il documento; la richiesta può essere fatta sia per esaminare il documento che per estrarre copia.
La P.a., nel caso intendesse non accogliere la richiesta, può, con provvedimento motivato, respingerla (nei casi previsti dall’art. 24 per i c.d. limiti tassativi), limitarla esclusivamente ad una parte dei documenti richiesti oppure differirla nel tempo per quei documenti, il cui rilascio potrebbe interferire o impedire l’attività amministrativa.
La richiesta si intende, in ogni caso, respinta, laddove siano trascorsi 30 giorni.
Tutela giurisdizionale
L’art. 25 co. 5 e 6 prevedono una serie di rimedi a tutela del richiedente, a fronte della inerzia o del diniego avanzato dalla pubblica amministrazione.
In questi casi in cui il silenzio si protrae per più di 30 gg., l’interessato ha la possibilità di esperire ricorso al TAR entro 30 gg. dallo spirare del primo termine e l’organo amministrativo dovrà pronunciarsi entro 30 gg. dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso.
In alternativa, entro gli stessi termini, l’interessato può ricorrere al Difensore civico competente al fine di ottenere il riesame della richiesta avanzata, limitatamente agli atti delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali, mentre in relazione alle amministrazione centrali e periferiche dello Stato il riesame va chiesto allaCommissione per l’accesso agli atti amministrativi prevista dall’art. 27 L. 241/90.
Il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza la necessaria assistenza di un difensore.
Modalità di accesso
Con il d.p.r. 184/2006 è stato emanato il “Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”.
Una novità interessante è la possibilità di esercitare il diritto di accesso, oltre che nei confronti dei soggetti di cui alla legge 241/90, anche nei riguardi di atti e documenti emessi da soggetti di diritto privato, anche se limitatamente alle attività di pubblico interesse da loro svolte, rientranti nella disciplinata nazionale o comunitaria.
Altre precisazioni riguardano il riconoscimento del diritto a chi abbia un interesse diretto, concreto ed attuale relativo ad una situazione ritenuta dall`ordinamento giuridicamente tutelabile e collegata al documento per il quale e` richiesto l`accesso.
La pubblica amministrazione, ricevuta la richiesta, è tenuta ad individuazione i c.d. soggetti controinteressati, ai quali verrà data loro comunicazione; questi, entro 10 gg. potranno presentare motivata opposizione alla richiesta.
Una ulteriore novità risiede nel c.d. accesso informale, ovvero la possibilità, qualora, in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati, di esercitare il diritto mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente.
L’art. 59 del D.Lgs. 196/2003 “accesso ai documenti amministrativi) stabilisce che le disposizioni di cui alla legge 241, in merito ai presupposti, alle modalità, ai limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e alla relativa tutela giurisdizionale, si applicano “ anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso”, decretando espressamente che le attività finalizzate all’applicazione di tale disciplina si considerano di rilevante interesse pubblico.
Tutela della privacy e diritto all’accesso
Il diritto alla riservatezza è previsto e disciplinato dal Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs 196/2003), che ha recepito la precedente legge sulla privacy (L. n. 675 del 1996).
Il contenuto della c.d. “riservatezza” è stato individuato sostanzialmente nel diritto a non subire interferenze non autorizzate nella propria sfera privata, nonché nel diritto di ciascuno a mantenere il controllo dei dati personali in relazione alla loro utilizzazione e diffusione.
L’attuazione del diritto alla riservatezza potrebbe entrare in conflitto col principio di trasparenza e conseguente accesso agli atti amministrativi.
Tale ipotesi si concretizza laddove i documenti oggetto del procedimento amministrativo contengano dati personali di terzi, i quali potrebbero vedere sacrificata la propria privacy, in ragione dell’esercizio del diritto di accesso ai predetti documenti da parte del soggetto direttamente interessato al procedimento.
Con l’entrata in vigore della l. 241/90, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato considerato prevalente rispetto al diritto di riservatezza, sia per la mancanza di una specifica disciplina in materia di circolazione dei dati personali, sia per l’esigenza di tutela del principio di trasparenza dell’azione amministrativa espresso con forza dalla legge 241/90.
Questa tendenza è stata sostanzialmente confermata anche dopo l’entrata in vigore della legge 675/96, ma, la distinzione posta da quest’ultima tra le varie tipologie di dati personali, ha ben presto evidenziato il problema dei c.d. dati sensibili, per i quali gran parte della giurisprudenza ha ritenuto escludere l’accesso ai documenti che li contenevano, a vantaggio della tutela della riservatezza del soggetto interessato.
La normativa in materia di protezione dei dati personali contenuta nel Codice della Privacy e le successive innovazioni introdotte con la l. 15/2005, disciplina in maniera piuttosto articolata il binomio riservatezza-accesso agli atti; questa, infatti, distingue tra documenti contenenti dati comuni, documenti contenenti dati c. d. super-sensibili e documenti contenenti dati sensibili o giudiziari.
Fermo restando che qualunque trattamento dei dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali (art. 18, comma 2 , Cod. privacy), il Codice della privacy prevede espressamente che il trattamento debba essere effettuato tenendo conto della “diversa natura” dei dati trattati (art. 18, comma 3).
In base a quanto detto possono distinguersi tre ipotesi di trattamento dei dati personali:
In caso di accesso a documenti contenenti dati comuni, il Codice della Privacy rinvia alla disciplina contenuta nella l. 241/90, la quale riconosce la prevalenza dell’accesso, a condizione che lo stesso sia finalizzato alla cura o alla difesa di propri interessi giuridicamente rilevanti. L’accesso può limitarsi alla mera visione del documento oppure all’estrazione di copia dello stesso.
In caso di documenti contenenti dati c.d. super sensibili, ossia idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale di un soggetto, il diritto di accesso è ammissibile solo se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con l’accesso è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile (art. 60 Codice privacy).
In caso di accesso a documenti contenenti dati sensibili o giudiziari, il legislatore del 2005 ha infine stabilito che l’accesso ai documenti contenenti tali dati è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini di cui all’art. 60 ove attenga a dati super-sensibili.
Dalla normativa esaminata, risulta un quadro piuttosto eterogeneo dei rapporti tra diritto di accesso e tutela della riservatezza, nell’ambito del quale il principale criterio risolutore del potenziale conflitto tra i due diritti è dato proprio dalla natura del dato trattato. Più il dato presenta i caratteri della sensibilità più il diritto di accesso al documento che lo contiene viene compresso.
In relazione alla posizione giuridica del soggetto richiedente l’accesso ai documenti amministrativi, gran parte della dottrina ritiene che, in caso di accesso a documenti amministrativi contenenti dati comuni di terzi, la P.A., limitandosi ad accertare se l’accesso è preordinato alla tutela di specifici interessi giuridici, svolgerebbe una mera attività vincolata, dunque, in capo al soggetto richiedente l’accesso sarebbe configurabile una situazione di diritto soggettivo.
Nel caso di accesso a documenti contenenti dati super-sensibili, la P.A., dovendo procedere alla ponderazione dell’interesse del richiedente l’accesso con quello del titolare dei dati in parola, svolgerebbe un’attività discrezionale, a fronte della quale la posizione del richiedente dovrebbe qualificarsi in termini di interesse legittimo.
Nell’ipotesi di dati sensibili e giudiziari, la P.A., valutando se l’accesso è o meno indispensabile ai fini della tutela della posizione giuridica del richiedente, svolgerebbe un’attività che, come nel caso precedente, potrebbe configurarsi quale attività discrezionale e, di conseguenza, la posizione del privato consisterebbe in una situazione di interesse legittimo.