Definizione e normativa
Per rifiuto si intende “qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore (persona fisica o giuridica) si
disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.
Questa definizione deriva dalla Direttiva 75/442/CEE del 15 luglio 1975 che, nell’Allegato I elenca
le categorie di prodotti, destinati sia allo smaltimento che al recupero, rientranti nella definizione di
rifiuto.
La commissione Europea, il 20 Dicembre 1993, con la Decisione 94/3/CE, ha poi istituito, come
richiesto dalla suddetta direttiva,un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie dell’Allegato I
sopracitato.
È nato così il Catalogo Europeo dei rifiuti: un elenco armonizzato ma non esaustivo dei rifiuti,
soggetto quindi a periodiche modifiche e revisioni.
Ad ogni rifiuto presente nel catalogo è associata una sequenza numerica di sei cifre riunite in
coppie, denominata codice CER, che fornisce informazioni relative al rifiuto stesso.
La prima coppia di cifre identifica il capitolo dell’elenco a cui il rifiuto appartiene, la seconda si
riferisce al processo produttivo di provenienza e la terza coppia identifica unicamente il rifiuto.
Capitoli dell’elenco del Catalogo Europeo dei Rifiuti
01 Rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera o cava, nonché dal trattamento fisico o
chimico di minerali
02 Rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca,
trattamento e preparazione di alimenti
03 Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone
04 Rifiuti della lavorazione di pelli e pellicce e dell’industria tessile
05 Rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del
carbone
06 Rifiuti dei processi chimici inorganici
07 Rifiuti dei processi chimici organici
08 Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso di rivestimenti (pitture, vernici e smalti
vetrati), adesivi, sigillanti e inchiostri per stampa
09 Rifiuti dell’industria fotografica
10 Rifiuti provenienti da processi termici
11 Rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale e dal rivestimento di metalli ed altri
materiali; idrometallurgia non ferrosa
12 Rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e
plastica
13 Oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli commestibili, 05 e 12)
14 Solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (tranne le voci 07 e 08)
15 Rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi (non
specificati altrimenti)
16 Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco
17 Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti
contaminati)
18 Rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate (tranne i
rifiuti di cucina e di ristorazione che non derivino direttamente da trattamento terapeutico
19 Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue
fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale
20 Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali
nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata
Tabella 4 Capitoli dell’elenco del Catalogo Europeo dei Rifiuti – Allgato D D. Lgs. 152/06
Parallelamente, il 20 Marzo 1978 il Consiglio delle Comunità Europee ha istituito una direttiva
riguardante quei particolari rifiuti che sono tossici e nocivi: la Direttiva 78/319/CEE.
Per rifiuti tossici o nocivi s’intendono tutti quei rifiuti che contengono, o che sono stati contaminati,
dalle sostanze o materie di natura e in quantità o concentrazioni tali da presentare un pericolo per la
salute umana o per l’ambiente.
Tali materie, precisamente 27, sono poi elencate nell’Allegato della Direttiva e comprendono talune
sostanze o materie tossiche o nocive scelte per il loro carattere prioritario.
Elenco delle sostanze o materie tossiche e nocive
1 Arsenico e suoi composti
2 Mercurio e suoi composti
3 Cadmio e suoi composti
4 Tallio e suoi composti
5 Berillio e suoi composti
6 Composti di cormo esavalente
7 Piombo e suoi composti
8 Antimonio e suoi composti
9 Fenoli e loro composti
10 Cianuri organici ed inorganici
11 Isocianati
12 Composti organoalogenati esclusi i polimeri inerti e altre sostanze considerate nel presente
elenco o in altre direttive relative all’eliminazione di rifiuti tossici o nocivi
13 Solventi clorurati
14 Solventi organici
15 Biocidi e sostanze fitofarmaceutiche
16 Prodotti a base di catrame derivanti da procedimenti di raffinazione e residui catramosi
derivanti da operazioni di distillazione
17 Composti farmaceutici
18 Perossidi, clorati, perclorati e azoturi
19 Eteri
20 Sostanze chimiche di laboratorio non identificabili e/o sostanze nuove i cui effetti
sull’ambiente non sono conosciuti
21 Amianto ( polveri e fibre)
22 Selenio e suoi composti
23 Tellurio e suoi composti
24 Composti aromatici policiclici (con effetti cancerogeni)
25 Metalli carbonili
26 Composti del rame solubili
27 Sostanze acide e/o basiche impiegate nei trattamenti in superficie dei metalli
Tabella 5 Allegato alla Direttiva 78/319/CEE
Successivamente, il 12 dicembre 1991, la nuova Direttiva 91/696/CEE ha stabilito la creazione di
un elenco di rifiuti pericolosi basato sui suoi Allegati I e II e aventi almeno due delle caratteristiche
dell’Allegato III.
Infine, il 22 dicembre 1994, con la Decisione 94/904/CE il Consiglio dell’Unione Europea ha creato
il suddetto elenco dei rifiuti pericolosi comprendente anche il codice CER.
Bisognerà aspettare il 2 maggio 2000 affinché le Decisioni 94/3/CE e 94/904/CE siano abrogate
dalla Decisione 200/532/CE, contenente l’elenco dei nuovi codici CER, che però entreranno in
vigore a partire dal 1 gennaio 2002.
Prima della sua effettiva validità la decisione ha subìto ulteriori modifiche:
– il 16 gennaio 2001 con la Decisione della Commissione 2001/118/CE
– il 22 gennaio 2001 con la Decisione della Commissione 2001/119/CE
– il 23 luglio 2001 con la Decisione del Consiglio 2001/573/CE.
In definitiva, a partire dal 1 gennaio 2002 è stato recepito da tutta la Comunità europea il Catalogo
europeo dei Rifiuti costituto da 839 voci, ognuna delle quali appartenente ad una specifica categoria
di rifiuto.
Nell’elenco sono presenti i codici di tutti i rifiuti, anche di quelli pericolosi, contraddistinti da un
asterisco al termine delle sei cifre.
In Italia la nuova normativa sui rifiuti è stata successivamente inglobata, il 3 aprile 2006, nel D.
Lgs. 152/2006 “Norme in materia di ambiente”, parte quarta “Norme in materia di gestione dei
rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”, Allegato D “Elenco dei rifiuti istituito Decisione della
Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000”.
In particolare l’Art. 184 del Testo Unico Ambientale ha introdotto una metodologia di
classificazione dei rifiuti:
– Secondo l’origine: in urbani o speciali
– Secondo le caratteristiche di pericolosità: in pericolosi o non pericolosi
Negli anni a seguire il D. Lgs 04/2008 e il D. Lgs. 205/2010 hanno modificato il Testo Unico
Ambientale; in particolare l’ultimo ha introdotto alcune precisazioni nella classificazione dei rifiuti
pericolosi.
Infine il 18 aprile 2014, con la Decisione della Commissione 2014/955/UE è stato nuovamente
modificato il catalogo europeo dei rifiuti con l’introduzione di tre nuovi codici, facendo salire il
numero a 842. La decisione verrà applicata dopo il 1 giugno 2015.
Ad oggi la classificazione dei rifiuti, mediante l’apposizione dell’adeguato codice CER, viene
effettuata direttamente dal produttore e prima che il rifiuto lasci il luogo di produzione, applicando
quanto disposto nella Decisione 2000/532/CE.
In accordo con l’Allegato D del D. Lgs 152/06 un rifiuto può essere classificato:
– con codice CER non pericoloso assoluto,
– con codice CER pericoloso assoluto, la cui classificazione avviene tenendo conto di quanto
descritto nei tre Allegati della Direttiva 91/689/CEE. In questi casi le proprietà di pericolo
del rifiuto devono essere identificate e classificate nel gruppo di appartenenza, da H1 ad
H14 con le modalità di seguito descritte e senza ulteriore specificazione
– con codici CER speculari, uno pericoloso (contrassegnato da un asterisco) e uno no. Per
stabilire o meno la pericolosità del rifiuto, è necessario indagare per determinare le eventuali
proprietà di pericolo intrinseche del rifiuto in questione con le modalità contenute nel
suddetto Allegato D:
1. Individuare i composti presenti nel rifiuto, con il supporto di schede informative
del produttore e informazioni circa il processo chimico da cui il materiale deriva.
In assenza di tali strumenti sarà necessario il campionamento e l’analisi del
rifiuto
2. Definire i pericoli connessi a tali composti, individuabili attraverso etichette
presenti nelle sostanze e nei preparati, fonti informative europee e nazionali e
schede di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto;
3. Stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti siano tali da comportare
effettivo pericolo, questa operazione avviene tramite comparazione delle
concentrazioni rilevate dall’analisi chimica del rifiuto con lo specifico limite
soglia di rischio del componente in esame.
Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono state rilevate in
modo specifico con le analisi chimiche, vale il principio di precauzione secondo cui
vengono presi come riferimento i composti peggiori.
È necessario, al fine di procedere con la corretta strategia di gestione del rifiuto, identificare le sue
proprietà di pericolo così definite:
Gruppo Note
H1 Esplosivo Sostanze e preparati che possono esplodere per effetto della fiamma o che
sono sensibili agli urti e agli attriti più del dinitrobenzene
H2 Comburente Sostanze e preparati che, a contatto con altre sostanze, soprattuto se
infiammabili, presentano una forte reazione esotermica
H3-
A
Facilmente
infiammabile
Sostanze e preparati
– liquidi il cui punto di infiammabilità è inferiore a 21°C o che a
contatto con l’aria, a temperatura ambiente e senza apporto di
energia, possono riscaldarsi e infiammarsi
– solidi che possono facilmente infiammarsi per la rapida azione di
una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a
consumarsi anche dopo l’allontanamento della sorgente di
accensione
– gassosi che si infiammano a contatto con l’aria a pressione
normale, o che, a contatto con l’acqua o l’aria umida, sprigionano
gas facilmente infiammabili in quantità pericolose
H3-
B Infiammabile Sostanze e preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è pari o
superiore a 21 °C e inferiore o pari a 55 °C
H4 Irritante Sostanze e preparati non corrosivi il cui contatto immediato, prolungato o
ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria
H5 Nocivo Sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea,
possono comportare rischi per la salute di gravità limitata
H6 Tossico
Sostanze e preparati (comprese le sostanze e i preparati molto tossici) che,
per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare
rischi per la salute gravi, acuti o cronici e anche la morte
H7 Cancerogeno Sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea,
possono produrre il cancro o aumentarne la frequenza
H8 Corrosivo Sostanze e preparati che, a contatto con tessuti vivi, possono esercitare su
di essi un’azione distruttiva
H9 Infettivo
Sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine, conosciute o
ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell’uomo o in altri
organismi viventi
H10 Teratogeno
Sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea,
possono produrre malformazioni congenite non ereditarie o aumentarne la
frequenza
H11 Mutageno Sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea,
possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza
H12 Sostanze e preparati che, a contatto con l’acqua, l’aria o un acido,
sprigionano un gas tossico o molto tossico
H13
Sostanze e preparati suscettibili, dopo eliminazione, di dare origine in
qualche modo ad un’altra sostanza, ad esempio ad un prodotto di
lisciviazione avente una delle caratteristiche sopra elencate
H14 Ecotossico Sostanze e preparati che presentano o possono presentare rischi immediati
o differiti per uno o più settori dell’ambiente
L’attribuzione delle caratteristiche di pericolo “tossico” (e “molto tossico”), “nocivo”,
“corrosivo” e “irritante” è effettuata secondo i criteri stabiliti nell’allegato VI, parte I.A e
parte II.B della direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, nella versione
modificata dalla direttiva 79/831/CEE del Consiglio
Per quanto concerne l’attribuzione delle caratteristiche “cancerogeno”, “teratogeno” e
“mutageno” e riguardo all’attuale stato delle conoscenze, precisazioni supplementari
figurano nella guida per la classificazione e l’etichettatura di cui all’allegato VI (parte II D)
della direttiva 67/548/CEE, nella versione modificata dalla direttiva 83/467/CEE della
Commissione
Tabella 6 Proprietà di pericolo dei rifiuti
Una volta che si è identificato il rifiuto con l’adeguato codice CER si può far riferimento all’art. 179
del D. Lgs. 152/2006, che introduce una vera e propria gerarchia dei rifiuti, cioè una serie di criteri
di priorità nella gestione degli stessi che ha come obiettivo la diminuzione dell’impatto ambientale
correlato.
La gestione dei rifiuti deve pertanto avvenire nel rispetto dell’ottica del Life Cycle Assessment
riassunto dalla seguente gerarchia:
– Prevenzione
– Preparazione per il riutilizzo
– Riciclaggio
– Recupero di altro tipo (per esempio energia)
– Smaltimento.
In accordo con questa gerarchia, il diventa materiale di scarto solamente quando viene smaltito,
prima può diventare una vera e propria risorsa. Per questo motivo è necessario che la quantità di
materia destinata allo smaltimento sia ridotta al minimo
3.4.2.1 Gas tossici sviluppati dalla combustione: pericolosità per l’uomo
Di seguito viene riportata una panoramica dei principali gas tossici sviluppati dalla combustione e la
loro pericolosità in relazione alla salute umana.
Gas tossico Descrizione Effetti sulla salute umana
Anidride
carbonica
CO2
Gas incolore, inodore e tossico e
asfissiante che si forma sempre in
grandi quantità in tutti gli incendi
In grandi quantità provoca l’aumento del
ritmo respiratorio e, sopra la concentrazione
del 5% rende l’aria irrespirabile
Monossido
di carbonio
CO
Gas incolore, inodore e tossico che
si sviluppa in quantità notevoli in
presenza di incendi di ambienti
chiusi o scarsamente ventilati
La sua pericolosità è dovuta all’enorme
affinità che il monossido ha con
l’emoglobina, 210 volte superiore a quella
dell’ossigeno. Una sua concentrazione
nell’aria dell’1.3% produce la quasi
istantanea perdita dei sensi e la morte dopo
pochi minuti
Idrogeno
solforato
H2S
Gas incolore, infiammabile, molto
tossico, dall’odore di uova marce. Si
forma principalmente dalla
combustione di lana, gomma, pelli,
carne e capelli tutti materiali
contenenti lo zolfo.
Bruciando in aria forma anidride
solforosa.
È fortemente irritante per le vie aeree e per
gli occhi. Allo 0,07% può provocare vomito
e vertigini; in percentuali maggiori provoca
affanno e poi blocco della respirazione .
È un gas pericoloso perché, dopo le prime
inalazione, l’odore scompare e non si ha la
percezione della sua presenza nell’aria
Anidride
solforosa
SO2
Gas incolore, dall’odore pungente
che si produce nella combustione
dello zolfo e dei materiali che lo
contengono
È un gas irritante per le mucose degli occhi e
delle vie respiratorie tanto che vengono
considerate pericolose esposizioni allo
0.05%, anche se di breve periodo.
Acido
cianidrico
HCN
Gas altamente infiammabile e
tossico, dall’odore di mandorle
amare che si forma dalla
combustione incompleta di lana,
seta, resine acriliche, uretaniche e
poliamminiche
Causa avvelenamenti per inalazione, contatto
con la pelle e ingestione. Bastano poche
inspirazioni per causare incoscienza e morte.
Tra i sintomi troviamo irritazione alla gola,
lacrimazione, difficoltà respiratorie,
debolezze, capogiro, convulsioni e morte
55
Gas tossico Descrizione Effetti sulla salute umana
Aldeide
acrilica
CH2CHCHO
Si sviluppa dalla combustione di
petrolio, olii, grassi, glicerina sintetica,
poliuretano, resine poliestere,erbicidi
Si tratta di vapori altamente tossici ed
irritanti per le mucose, specialmente per
gli occhi. In concentrazioni superiori a
10 p.p.m è mortale
Fosgene
COCI2
Si sviluppa principalmente dal contatto
del percloroetile con metalli
incandescenti
Gas altamente tossico
Ammoniaca
NH3
Gas moderatamente infiammabile che
si forma nella combustione di materiali
contenenti azoto: lana, seta, materiali
acrilici, fenolici, resine melamminiche
gas moderatamente infiammabile,
tossico, di odore pungente irritante per
occhi, gola,polmoni.
Un’esposizione prolungata a
concentrazioni superiori 0,5% provoca
gravi danni e morte
Biossido di
azoto NO2
Gas di colore rosso-bruno che si
sviluppa da nitrocellulosa, nitrato
d’ammonio e altri nitrati organici
È un gas altamente tossico, già a
percentuali dell’0,05% risulta mortale
Acido
cloridrico
HCL
Gas incolore e caratterizzato da un
odore pungente che si sviluppa dalla
combustione di materiali contenenti
cloro, come la quasi totalità delle
comuni plastiche
Può corrodere i metalli in presenza di
umidità, liberando idrogeno gassoso
altamente infiammabile
È un gas molto tossico e irritante delle
mucose in particolare dei polmoni.
Brevi esposizioni ai fumi possono
provocare congestione polmonare
mentre concentrazioni di 1.500 p.p.m
sono fatali in pochi minuti
Fenolo
C6H5OH
Gas tossico che si sviluppa dalla
combustione di nailon e bachelite.
I gas tossici irritano le mucose specie
quelle degli occhi.
Gli effetti nocivi sono a carico del
sistema nervoso centrale con mal di
testa, ronzio, vertigini, respirazione
affannosa e polso debole
Formaldeide
HCHO
Gas altamente tossico e infiammabile
che si sviluppa dalle resine fenoliche
ed amminoplastiche ( piatti e bicchieri)
, poliammidiche e poliuretaniche (
cuscini, materassi, imbottiture ecc.)
Gas altamente tossico se ingerito o
respirato, molto irritante per occhi e
mucose
Tabella 27 Principali gas tossici sviluppati dalla combustione
3.4.2.2 Gas tossici sviluppati dalla combustione: pericolosità per l’ambiente
Molto spesso ad un fenomeno di incendio sono correlate numerose conseguenze per l’ambiente:
inquinamento ambientale di suolo, acque superficiali, falde e aria. In particolare tra i maggiori
responsabili dei più importanti danni ambientali troviamo gli ossidi di azoto, responsabili della
formazione di ozono troposferico, la riduzione di quello stratosferico e la formazione di pulviscolo
atmosferico e l’ammonica, uno dei principali GHG gas ad effetto serra.
Formazione di ozono troposferico e smog fotochimico
La troposfera è la parte più bassa dell’atmosfera, quella che si trova a diretto contatto con la
superficie terrestre. L’ozono O3 che si forma in questa fascia, detto ozono troposferico, è la
56
principale causa dell’inquinamento fotochimico caratterizzato da un numero elevato di reazioni
chimiche, per lo più catalizzate dalla radiazione solare che, in condizioni critiche, portano allo
“smog fotochimico”.
Questo fenomeno è dato dalla presenza in aria di composti inquinanti. La produzione di ozono
troposferico avviene a seguito di reazioni tra composti che vengono quindi definiti “precursori”, tra
questi troviamo gli ossidi di azoto che, reagendo con l’ossigeno o con altre specie chimiche, vanno
incontro ad un sistema di reazioni fotochimiche indotte dalla luce ultravioletta originando ozono e
ad altri prodotti dello smog fotochimico.
Vediamo la reazione che gli ossidi di azoto hanno con l’ossigeno e che porta alla formazione di uno
dei più importanti gas responsabili dell’inquinamento fotochimico: l’ozono.
2 NO + O2 ⎯⎯⎯⎯ 2 NO2
NO2 + hn⎯⎯⎯⎯ NO + O°
O° + O2⎯⎯⎯⎯ O3
Riduzione di ozono stratosferico
Un altro fenomeno direttamente collegato alla presenza in atmosfera di ossidi di azoto è la riduzione
dell’ozono stratosferico, il cosiddetto “buco dell’ozono”.
Nella stratosfera, ad un’altezza compresa fra i 30 e i 50 km dal suolo, è presente uno strato di ozono
che forma una sorta di barriera in grado di esercitare un’azione filtrante sulla Terra perché riesce
schermare le radiazioni solari dannose per la vita degli esseri viventi.
Abbiamo già visto che l’ozono non ha sorgenti dirette ma si forma all’interno di un ciclo di reazioni
fotochimiche che coinvolgono in particolare gli ossidi di azoto. La loro massiccia presenza , scatena
nella stratosfera la seguente reazione:
NO + O2 ⎯⎯⎯⎯2 NO2 + O2
Vi è quindi una progressiva riduzione dell’ozono nella stratosfera e, soprattutto in prossimità dei
poli, si forma un assottigliamento dello strato protettivo che permette alle alte intensità di radiazione
ultravioletta di giungere sulla superficie terrestre.
Lo strato di ozono non riesce più a fungere da filtro per le radiazioni ultraviolette UV-B e UV-C che
riescono quindi a raggiungere la Terra provocando numerosi danni alla salute umana.
Le radiazioni UV-B possiedono un effetto sterilizzante per moltissime forme di vita, sono dannose
per gli occhi e soprattutto per la pelle perché portano alla formazione di tumori e melanomi.
Gli effetti negativi della diminuzione dello strato di ozono non si limitano alla salute umana: i raggi
UV-B infatti sono in grado di inibire la fotosintesi delle piante e di distruggere frazioni di
fitoplancton, base della catena alimentare marina.
Riscaldamento globale
Tra i gas di combustione si trova anche l’anidride carbonica, uno dei principali gas serra presenti
nell’atmosfera.
Quando si parla di surriscaldamento climatico si indica il mutamento del clima terrestre: un
fenomeno di incremento delle temperature medie della superficie della Terra, non riconducibile a
cause naturali. Nel corso della storia infatti si sono registrate numerose variazioni del clima
riconducibili principalmente a mutamenti dell’assetto orbitale del pianeta, con perturbazioni dovute
all’attività solare e alle eruzioni vulcaniche.
Nel 2007 l’International Panel on Climate Change, IPCC ha stabilito che, durante il XX secolo, la
temperatura terrestre è aumentata di 0.74 ± 0.18 °C.
Questo incremento medio è attribuito all’aumento, ad opera dell’attività umana, della
concentrazione di gas serra nell’atmosfera: alcuni gas presenti nell’atmosfera, i cosiddetti GHG
greenhouse gas sono in grado di trattenere la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre,
dall’atmosfera stessa e dalle nuvole. Questa loro proprietà causa il fenomeno dell’effetto serra
definito come la capacità di un pianeta di trattenere nella propria atmosfera parte dell’energia
proveniente dalla sua stella.
Una parte dell’energia proveniente dal Sole viene immediatamente riflessa dalle nubi e dagli aerosol
presenti nell’atmosfera, mentre un’altra parte riesce a raggiungere la superficie terrestre e viene
assorbita dalla Terra tramite i mari, le rocce, i suoli e la vegetazione. Successivamente la Terra
riemette l’energia assorbita sotto forma di radiazioni infrarosse: parte di esse riescono a sfuggire
all’atmosfera venendo irradiate nello spazio, parte vengono imprigionate e trattenute dall’atmosfera
che per questo motivo si scalda, soprattutto negli strati più vicini alla superficie terrestre,
provocando un conseguente innalzamento della temperatura media terrestre.
Formazione di pulviscolo atmosferico
Con il termine particolato o pulviscolo atmosferico si identifica l’insieme delle sostanze sospese in
aria, solide e liquide, organiche e inorganiche che, a causa delle loro piccole dimensioni, restano
sospese in atmosfera per tempi più o meno lunghi. Le polveri totali sospese vengono comunemente
indicate con il termine Particulate Matter, PM.
Questa complessa miscela è molto varia per quanto riguarda origine, dimensione e composizione. Si
parla di particelle primarie se vengono emesse come tali dalle sorgenti, siano esse naturali (eruzioni
vulcaniche, incendi boschivi, erosione e disgregazione delle rocce, piante, spore) o antropiche
(utilizzo di combustibili fossili come per esempio per il riscaldamento domestico, emissioni di
autoveicoli, usura di pneumatici e manto stradale, processi industriali e attività agricole), e di
particelle secondarie se originate da reazioni chimiche e fisiche in atmosfera. Anche queste si
suddividono in base alla loro origine naturale (ossidazione di sostanze quali ossidi di azoto liberati
durante le reazioni di combustione di un incendio) o antropica (ossidazione di idrocarburi e ossidi di
zolfo e azoto emessi dalle attività dell’uomo).
Il rapporto fra la quantità di fonti naturali e quella di fonti antropiche è molto differente e varia a
seconda dei luoghi in cui viene misurato. Infatti, anche se la parte più ponderante del particolato
atmosferico è fornita dalle sorgenti naturali le proporzioni arrivano quasi ad eguagliarsi in zone in
cui vi è un forte apporto di traffico stradale e riscaldamento domestico.
Si possono individuare due classi principali di particolato, suddivise per dimensioni e
composizione: le particelle fini sono quelle che hanno un diametro inferiore a 2,5µm, le altre sono
dette grossolane (che sono costituite solo da particelle primarie).
Tra questi due gruppi si identificano:
– PM10 cioè particolato formato da particelle inferiori a 10 µm, chiamate anche polveri
inalabili perché riescono a penetrare il tratto respiratorio superiore umano (naso e laringe);
– PM2,5 formato da particelle con diametro inferiore a 2,5 µm, viene definito anche polvere
toracica in quanto è in grado di penetrare profondamente nei polmoni
Per dimensioni ancora inferiori, come nel caso di particolato ultrafine, si parla di polveri respirabili
perché queste particelle sono in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli, le
nanopolveri riescono addirittura ad entrare nelle cellule arrivando al nucleo e provocando mutazioni
del DNA.
La massiccia presenza di pulviscolo atmosferico è un fenomeno particolarmente pericoloso perché
il particolato areodisperso è in grado di adsorbire gas e vapori tossici sulla superficie della particella
che, una volta respirata raggiunge e libera inquinanti gassosi nel corpo umano.
Il particolato che si deposita nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (cavità nasali, faringe e
laringe) può generare vari effetti irritativi come l’infiammazione e la secchezza del naso e della
gola.
Inoltre, per la particolare struttura della loro superficie, le particelle possono adsorbire dall’aria
sostanze chimiche acide come biossido di zolfo o ossidi di azoto trascinandole nei tratti respiratori e
prolungandone i tempi di residenza. Queste polveri aggravano le malattie respiratorie croniche
come l’asma, la bronchite e l’enfisema.
È stato inoltre dimostrato che all’esposizione frequente a queste polveri è associato un incremento
del rischio di tumore alle vie respiratorie.
Per tutti questi motivi l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato di mantenere la
concentrazione del particolato a livelli più bassi possibile.
I danni del particolato atmosferico non si esauriscono alla salute umana ma si ripercuotono anche
sull’ambiente: viene ridotta la visibilità atmosferica che porta ad una minore luminosità
indispensabile per la flora. Le polveri sospese favoriscono la formazione di nebbie e nuvole acide,
vista la presenza di ossidi di azoto, che portano poi a fenomeni di erosione e corrosione di materiali
e metalli. Le polveri possono inoltre depositarsi sulle foglie delle piante ostacolando la fotosintesi.
La combustione delle materie plastiche
La combustione è una reazione chimica che comporta l’ossidazione di un combustibile da
parte di un comburente, in genere ossigeno presente nell’aria, con sviluppo di calore e
radiazioni elettromagnetiche.
La combustione può essere classificata in tre categorie:
1. Combustione omogenea, la combustione di sostanze gassose (caratterizzata dal
sistema gas + gas);
2. Combustione eterogenea, la combustione di sostanze solide e liquide (sistemi: solido
+gas o liquido + gas);
3. Combustione dei sistemi condensati (esplosivi).
Nel caso di materie plastiche la combustione è di tipo eterogenea. Nei seguenti
paragrafi si descrivono le materie plastiche maggiormente diffuse e le caratteristiche
di una combustione di tali materie.
5.1.1 Le materie plastiche
In Tabella 5.1 sono riportate le materie plastiche maggiormente diffuse.
Tabella 5.1 Materie Plastiche
Il polietilene (PE) dotato di buona resistenza meccanica e rigidità, resistenza agli
acidi, alcali, soluzioni saline e vari solventi organici (es. oli e
benzine), scarsa trasparenza (opaco), è il polimero più diffuso si
usa per la fabbricazione dei sacchetti di plastica, bottiglie,
taniche e tappi, flaconi per alimenti, detergenti e agenti chimici,
cassette, film di vari spessori per uso agricolo, industriale, edile.
il suo potere calorico è di 46 MJ/Kg
Il cloruro di polivinile
(PVC)
ha una buona resistenza meccanica e chimica ed un’elevata
impermeabilità al vapore acqueo, sono numerosi i settori di
applicazione di questo polimero si usa per la fabbricazione delle
bottiglie per le acque minerali non gassate, pellicole per film,
flaconi di detersivo, shampoo, sacchetti, alveoli per uova e
cioccolatini, corde, tubi, telai di finestre, tapparelle, guaine per
cavi elettrici, finte pelli, giocattoli, parti di automobili e accessori
biomedicali. Attualmente questo tipo di polimero non è più
ammesso per la produzione di contenitori per alimenti,
conseguentemente esaurite le scorte non sarà più considerato.
Il suo potere calorico è di 20 MJ/Kg
Il polipropilene (PP) possiede buona inerzia chimica e rigidità è resistente alle
trazioni una elevata impermeabilità al vapore acqueo, lo si
utilizza nella fabbricazione di film, confezioni per gelato,
stoviglie, secchi, flaconi per detergenti e cosmetica, cassette,
sacchi industriali, mobili da giardino, fibre (per corde e sacchi),
articoli casalinghi, batterie e paraurti auto. ha un potere calorico
pari a 46 MJ/Kg
Il polistirolo (PS) ha una bassa resistenza agli urti e un buon potere coibentante si
usa per la produzione di bicchieri, coppette coperchi, e nella
fabbricazione di contenitori termici strati isolanti; nella sua
forma espansa viene utilizzato per imballaggio di oggetti, ha un
potere calorico di 41MJ/Kg
Il polietilentereftalato
(PET)
ha una buona resistenza agli urti una buona resistenza termica e
chimica ed un’ottima trasparenza e brillantezza, sono numerosi i
settori di applicazione di questo polimero e viene utilizzato per
produrre bottiglie per bevande gassate, flaconi per detergenti
domestici, vassoi e blister termoformati, film di supporto per
termoaccoppiati, viene utilizzato per la produzione di fibre per
abbigliamento, arredamento, imbottiture, cordami, uso
geotessile; film per effetti decorativi e arti grafiche; lastre
fotografiche e radiografiche; nastri audio e video, il suo potere
calorico è di 33J/Kg
Poliuretano (PUR) largamente diffuso nell’industria automobilistica per paraurti o
parti interne delle auto anche nell’arredamento per produrre la
gommapiuma; ha un potere calorico è di 18/25 MJ/Kg
Poliammidi (PA) il prodotto maggiormente diffuso è il nylon utilizzato come fibra
tessile e per produrre lenze da pesca; il potere calorico è di
19/37g
5.1.2 Combustione delle materie plastiche
Le materie plastiche sottoposte al fuoco possono essere valutate secondo differenti
normative, per metodi di prova utilizzati e secondo la presenza o meno di agenti ritardanti
quali alogenati o fosforo in grado di ritardare la propagazione delle fiamme. Questi additivi
nel processo di combustione provocano la formazione di fumi tossici che possono nuocere
alla salute delle persone. Tali emissioni possono provocare un elevato tasso di opacità che
ostacola la corretta via d fuga. Oltre a questo i fumi, essendo corrosivi, possono andare ad
intaccare le apparecchiature elettriche. I parametri che quindi si valuteranno in un’analisi in
caso di combustione di queste materie sono: la densità dei fumi sprigionati, la loro tossicità e
il limite di ossigeno. Pur essendo un materiale autoestinguente il materiale plastico quando
brucia produce fumi e gas tossici, questo lo rende più dannoso, ad esempio, di un materiale
con inferiore potere autoestinguente che però non produce gas tossici. I
polibromodifenilteri, aggiunti come agenti ritardanti rilasciano diossine e furani molto
pericolosi e altamente tossici. Nella valutazione del rischio sarà dunque importante tenere in
considerazione la presenza o meno di alogenuri che ritardino la fiamma.
5.1.3 Il flusso radiante
Mediante il modello del corpo solido emittente, basato sull’ipotesi che l’energia di un corpo
abbia dimensioni note, è possibile calcolare il flusso radiante:
dove:
q è il flusso radiante del punto in esame [kW/mq],
F è il fattore di vista che dipende dalla distanza e dalla geometria della fiamma,
100
t è il coefficiente di trasmissione atmosferica che dipende dall’umidità, dall’aria e
dalla distanza,
E [kW/mq], è l’intensità di radiazione di fiamma che dipende dal tipo di combustibile
e dalle dimensioni dell’incendio.
La potenza emessa che raggiunge l’oggetto ricevente si riduce sia per il fattore di vista
geometrico che per l’assorbimento dell’atmosfera.
5.1.4 Prodotti della combustione
Durante la combustione i gas che possono essere prodotti sono i seguenti:
monossido di carbonio;
anidride carbonica;
acido cianidrico;
fosgene;
acido cloridrico;
idrogeno solforato;
ammoniaca.
La produzione di questi gas è ovviamente dettata dalla tipologia di materiale che sta
bruciando.
Quando un materiale contiene cloro, durante la sua combustione viene rilasciato un gas
tossico chiamato fosgene. Questo gas è particolarmente nocivo negli ambienti chiusi. Se
entra in contatto con umidità od acqua il fosgene si scinde in acido cloridrico ed anidride
carbonica; è intensamente caustico e può raggiungere le vie respiratorie. La sintomatologia
di questo gas è:
irritazione (occhi, naso, e gola);
lacrimazione;
secchezza della bocca;
costrizione toracica;
vomito;
mal di testa.
Oltre a quanto fino ad ora detto è bene sottolineare e soffermarsi sulla gravità dei rilasci di
agenti inquinanti quali diossine e idrocarburi policiclici aromatici. Diossina è il nome
comunemente usato quando si parla di dibenzo-p-diossine e dibenzofurani. Si conoscono, ad
oggi, 210 tipi di composti tra diossine e furani che hanno medesime caratteristiche e livelli di
tossicità. Diossina è utilizzato come sinonimo di TCDD o 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-pdiossina. Queste molecole non sono tossiche solamente per l’uomo, ma anche per gli animali
e l’ambiente. Tra tutte le diossine la TCDD è quella di più spiccata tossicità. Si dilava nel
terreno, legandosi al materiale organico e ci mette moltissimi anni per degradarsi. La TCDD
crea i seguenti effetti:
cancro (gruppo 1 degli agenti cancerogeni dall’agenzia internazionale per la ricerca
sul cancro);
tossicità a carico del sistema immunitario;
Tossicità del fegato;
Irritazione degli occhi;
Irritazione della cute;
Irritazione del tratto respiratorio;
Effetti sul sistema cardiovascolare;
effetti sul tratto gastrointestinale;
Azione mutagena e embriotossica;
perturbatore ormonale.
La caratteristica di bioaccumulo delle diossine creano alcuni disturbi ai tessuti, tabella 5.2.
Tabella 5.2 Disturbi correlati al bioaccumulo
alterazioni del sistema immunitario, anche a dosi molto limitate con riduzione e
danneggiamento dei linfociti
danni allo sviluppo fetale, al momento della differenziazione tissutale del sistema
immunitario
alterazioni a lungo termine del sistema immunitario, sia in senso immunodepressivo che
ipersensibilizzante
disturbi alla produzione, rilascio, trasporto, metabolizzazione, legame, azione o eliminazione
di ormoni naturali del corpo, responsabili dell’equilibrio biochimico dinamico interno del
nostro organismo e della regolazione dei processi riproduttivi e di sviluppo.
Oltre alle diossine vi sono anche oltre 100 composti chimici rilasciati nell’ambiente durante
la combustione chiamati idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). I composti che tra questi
provocano maggiori danni sulla salute dell’uomo sono:
l’acenaftene,
l’acenaftilene,
l’antracene,
il benzo(a)antracene,
il dibenzo(a,h)antracene,
il crisene, il pirene,
il benzo(a)pirene,
l’indeno(1,2,3-c,d)pirene,
il fenantrene,
il fluorantene,
il benzo(b)fluoroantene,
il benzo(k)fluoroantene,
il benzo(g,h,i)perilene;
il fluorene.
Sono generalmente presenti in miscele e mai come composti singoli. Per questo motivo è
difficile attribuire ad ognuno di essi cause specifiche. A queste miscele è dunque attribuito
l’aumento di possibilità di contrarre il cancro.
5.1.5 Il pennacchio
Il rilascio di fumi da incendio è modellabile come un pennacchio di fumo. Nel caso delle
materie plastiche le caratteristiche quali colore del fumo e densità di esso dipendono dalla
materia che si sta bruciando. Ad esempio il polietilene, che brucia rapidamente, produce
fumo denso nero e fluligginoso come anche il polipropilene. L’Acetal invece produce una
fiamma incolore con pochissimo fumo, rilascia però l’odore caratteristico della formaldeide.
Il pennacchio è modellabile attraverso la dispersione Gaussiana che è caratterizzata da
durata nel tempo, estensione in lunghezza ed altezza è caratterizzato dalla tipologia di
sostanza che brucia. Per quanto concerne l’estensione in lunghezza del pennacchio è
doveroso ricordare che essa dipende dalla velocità del vento e dalla stabilità atmosferica.
All’aumentare della distanza dal suolo la velocità del vento aumenta. Anche la localizzazione
dello stabilimento è da tenere in considerazione in quanto se si trovasse in una zona con
scarsa concentrazione di stabili il flusso non incontrerebbe ostacoli, mentre nel caso in cui si
trovasse in zone con abitazioni esse fungerebbero da ostacoli. All’aumentare della velocità
del vento aumenta anche l’effetto di mescolamento tra la massa del pennacchio e la massa
dell’aria circostante. Velocità maggiori quindi portano a una diluizione dei fumi in uscita e ad
una minore concentrazione dei prodotti di combustione, grazie al maggior effetto di
mescolamento. A parità di distanza per velocità del vento maggiori la concentrazione dei
fumi sarà minore, mentre per velocità minori la concentrazione sarà maggiore per via del
minore effetto di mescolamento.
Le classi di Pasquill Gilfort sono gli indicatori della turbolenza atmosferica. Vi sono sei classi
tra le quali vi sono ulteriori suddivisioni in funzione di varie condizioni atmosferiche al
variare della stabilità. Si riportano in tabella 5.3 le condizioni meteorologiche che definiscono
le classi di stabilità atmosferica di Pasquill.
Tabella 5.3: condizioni meteorologiche per la definizione delle classi di stabilità.
Velocità del vento
in superficie
Intensità della radiazione solare Copertura nuvolosa
notturna
m/s mi/h Forte Moderata Leggera > 50% < 50%
< 2 < 5 A A – B B E F 2 – 3 5 – 7 A – B B C E F 3 – 5 7 – 11 B B – C C D E 5 – 6 11 – 13 C C – D D D D > 6 > 13 C D D D D
Nota: la classe D si applica a cieli molto coperti, a qualsiasi velocità del vento, giorno o
notte
Si va dalla classe A (fortemente instabile) alla classe F (fortemente stabile). Le classi più
frequenti nel territorio Italiano son la D e la F. I quattro fattori che distinguono le classi sono:
velocità del vento;
radiazione solare;
copertura nuvolosa;
fase diurna o notturna del giorno.
Per trattare il problema derivante dalla diffusione degli agenti inquinanti è necessario
introdurre il fenomeno dell’inversione termica che avviene in atmosfera. All’aumentare della
quota del livello del mare vi è un progressivo aumento della temperatura; il gradiente
adiabatico della temperatura assume valori minori di zero. La dispersione degli inquinanti,
per altezze inferiori ai 200 m, è inibita fortemente dalle condizioni di stabilità. Si suppone
quindi che i moti ascensionali avvengano adiabaticamente fino ad un’altezza massima. Alla
quota massima la temperatura dell’ambiente sarà superiore di quella delle particelle. Le
particelle più calde dell’aria, tenderanno a salire, le particelle della quota massima invece
tenderanno a scendere. Questo fenomeno è analogo a quello dell’effetto delle forze di
galleggiamento espresso dalla formula di Grashof:
dove:
ρ è la densità del fluido,
β è il coefficiente di dilatazione termica,
g è l’accelerazione gravitazionale
µ è la viscosità del fluido.
Il numero di Grashof rappresenta:
Si può dunque concludere che l’altezza dello strato di diffusione sia assimilabile al punto in
cui si arrestano i moti verticali: è così possibile valutare la diffusione degli agenti inquinanti.