I vigili del fuoco, che arrivarono sul posto in pochi minuti, si misero subito al lavoro, ma le operazioni di soccorso si rivelarono molto complesse: l’ingresso del pozzo aveva un’imboccatura larga 28 centimetri e una profondità complessiva di 80 metri, con pareti irregolari e sporgenze.
A dirigere le operazioni di salvataggio il comandante dei vigili del fuoco di Roma Elveno Pastorelli: tra i vigili del fuoco impegnati ci fu Nando Broglio, scomparso pochi anni fa, che sostenne il piccolo parlandogli senza sosta per ore e ore mentre i colleghi lavoravano per cercare di salvargli la vita.
Dopo tre giorni di ininterrotti tentativi di salvataggio, tra cui l’opera di scavo di un tunnel parallelo a quello dove era precipitato il piccolo, il triste epilogo che tutti ricordiamo.
Quaranta anni fa, il 10 giugno 1981, Alfredino Rampi, un bimbo romano di soli sei anni, fu inghiottito da un pozzo artesiano a Vermicino, vicino Frascati, in provincia di Roma, a pochi metri dalla casa di famiglia. Sprofondò prima a 36 metro, poi fino a 60 metri di profondità. La foto in bianco e nero di quel bambino sorridente, con una canottiera a righe, i suoi lamenti, il battito sempre più flebile del suo cuoricino sono impressi nell’immaginario collettivo dei 21 milioni di telespettatori che quaranta anni fa seguirono in diretta tv la vicenda notte e giorno, col fiato sospeso.
A Vermicino regnarono caos e improvvisazione
Milioni di persone ipnotizzate per tre giorni davanti alla tv, poi inebetite dal drammatico finale della vicenda. Tre giorni e tre notti che fecero passare in secondo piano una crisi di governo, lo scandalo della P2, il rapimento dell’operaio Roberto Peci – fratello dell’ex brigatista Patrizio – che fu poi assassinato dalle Brigate rosse il 3 agosto. Per tre giorni a Vermicino regnarono disorganizzazione, improvvisazione. Ci furono una raffica di tentativi falliti sotto i riflettori, che misero in evidenza le carenze per affrontare gli interventi d’emergenza. La tragedia creò poi le condizioni per l’istituzione del servizio della Protezione civile come oggi lo conosciamo, dotato di tutte le competenze necessarie per intervenire in luoghi impervi e in situazioni critiche.
Il piccolo Alfredino Rampi
La passeggiata dalla quale Alfredino non tornerà a casa
Si chiamava Alfredo rampi, ma per tutti fu subito Alfredino. Alle 19 del 10 giugno il bimbo fece una passeggiata con il papà. Poi volle tornare a casa da solo. Pochi metri lo separavano dalla casa di famiglia, ma in quella casa Alfredino non tornerà mai. I genitori Franca e Ferdinando lo cercarono invano, poi alle 21.30 chiamano la Polizia. Subito arrivano le squadre di soccorso e le unità cinofile. Furono tre giorni di tentativi di salvataggio nei quali si alternarono speranza e amarezza, ottimismo e senso di sconfitta.
Il reality show della tragedia trasmesso in diretta nelle case
Il teatro del dramma si trasformò subito in un circo mediatico. Un drammatico reality show andò in onda in tutte le case degli italiani, con una diretta no stop della Rai durata tre giorni. La tv di Stato voleva raccontare a reti unificate il salvataggio di Alfredino. Ma la diretta, che iniziò quasi per caso, si trasformò in una tragedia vissuta in prima persona dagli italiani. Fu forte il coinvolgimento emotivo nelle famiglie, la vicinanza alla mamma e al papà del bambino. I televisori restarono accesi giorno e notte, con una grande partecipazione emotiva. La vicenda di Alfredino tenne per tre giorni tutto il Paese col fiato sospeso.
Il mistero dell’imboccatura del pozzo coperta da una lamiera
A mezzanotte del 10 giugno, a 5 ore dalla scomparsa del bambino, il brigadiere Giorgio Serranti sentì i flebili lamenti del piccolo dall’imboccatura di un pozzo artesiano in via Sant’Ireneo, a Vermicino, una piccola frazione di campagna vicino Frascati. Imboccatura che era coperta da una lamiera. Un mistero che sarà chiarito nei giorni successivi: fu il proprietario del terreno a rimettere la lamiera sul pozzo, senza immaginare che dentro ci fosse Alfredino. Dopo la Polizia arrivarono anche i Vigili del fuoco, ma subito l’operazione di salvataggio apparve molto complessa. Il bambino era dentro il pozzo artesiano con un’imboccatura di 28 centimetri, profondo 80 metri, con pareti irregolari, molte sporgenze e rientranze. Era incastrato a circa 36 metri di profondità.
La tavoletta incastrata a 25 metri di profondità
Le operazioni di salvataggio complicarono subito lo scenario. Si moltiplicarono discussioni ed errori. La tavoletta di legno calata dai Vigili del fuoco per fare in modo che Alfredino vi si aggrappasse, si rivelò subito un tragico errore: si incastrò a 25 metri di profondità e rese inaccessibile il pozzo. Arrivarono gli speleologi del soccorso alpino: il caposquadra Tullio Bernabei si calò nel pozzo a testa in giù per togliere la tavoletta, ma si fermò a due metri dal traguardo per le asperità del pozzo. Vide e parlò con Alfredino, ma non riuscì a raggiungerlo. Poi provò Maurizio Monteleone, ma anche lui non raggiunse la tavoletta, saldata sei metri sopra la testa del bambino. Iniziarono le discussioni fra i soccorritori. Elveno Pastorelli, all’epoca capo dei Vigili del fuoco e responsabile delle operazioni di salvataggio, puntò sullo scavo del pozzo parallelo, con l’obiettivo di collegarlo col cunicolo al pozzo dove Alfredino era prigioniero. Agli speleologi non fu consentito di riprovare la discesa nel pozzo.
É Emilio Fede ad attivare la diretta no stop
La diretta tv no stop scattò l’11 giugno: l’incidente di Vermicino era il collegamento di chiusura della scaletta del Tg1 delle 13,30. Il capo dei Vigili del fuoco disse all’inviato della Rai che erano a un passo dal recupero del bambino e il direttore del Tg Emilio Fede, appena nominato e alla sua prima riunione per l’edizione delle 13 del tg decise di mantenere la linea aperta e di mandare una telecamera mobile sul posto. A Vermicino nacque così la tv del dolore. «Ma non è mai stato capito che nacque per esaltare la solidarietà, non la disperazione. Per raccontare le lacrime, le preghiere, il desiderio di salvare la vita. Far capire la speranza, il dovere e quindi la gioia di salvare», ha commentato Fede. La vicenda di Alfredino entrò in diretta nelle case degli italiani con tutta la drammaticità dell’evento, con un’altalena di emozioni, di coinvolgimento, di curiosità, ma anche di morbosità. In diretta il respiro affannoso del piccolo, la vocina flebile che chiamava la mamma, i lamenti che provenivano dalla profondità del pozzo straziarono l’intero Paese. L’edizione del Tg condotta da Piero Badaloni diventò una edizione straordinaria dedicata alla notizia, «che divenne l’evento degli eventi», commentò il giornalista. La Rai stravolse i palinsesti e mandò avanti la diretta fiume.
Si moltiplicano i tentativi senza successo
Con il passare delle ore si moltiplicano i tentativi di salvataggio. E i fallimenti. Iniziò la trivellazione di un pozzo parallelo, si susseguirono le discese nella cavità buia e profonda, nel tentativo di salvare il piccolo. Il vigile del fuoco Nando Broglio si immerse nel buco nero senza successo. Cercò di consolare il bambino, gli promise di portarlo sul carro rosso del corpo. Intanto la trivella che scavava il secondo pozzo procedeva a rilento. E intorno c’era il caos totale, con migliaia di persone accalcate vicino al pozzo che lanciavano i consigli più disparati. «Era diventato un reality show terrificante», fu il commento del giornalista Piero Badaloni.
Quando si abbatte il diaframma fra i pozzi, il bimbo non c’è
Scese senza successo nel pozzo buio e pieno di insidie anche Isidoro Mirabella, un manovale siciliano mingherlino. Speranza e costernazione si alternavano di ora in ora. I medici erano preoccupati per la salute di Alfredino, che aveva anche problemi cardiaci congeniti. Nel pomeriggio di venerdì sembrava fatta. La speranza di salvare il piccolo era diventata certezza. Arrivò anche il capo dello Stato Sandro Pertini sul luogo e si fece largo fra la gente. Dopo 48 ore i vigili del fuoco ruppero il diaframma fra i due pozzi. L’emozione era al culmine, ma il bambino, nel buio del tunnel, non c’era. La trivella a percussione che scavava a pochissima distanza dal pozzo artesiano lo aveva fatto scivolare a sessanta metri di profondità.
Alfredino sprofonda a 60 metri: ogni tentativo è vano
Lo sconforto dominava. Rientrò nel tunnel parallelo lo speleologo Tullio Bernabei: il bambino era sceso nelle profondità del pozzo, precipitato a 60 metri sotto terra. La caccia ai volontari era aperta: arrivarono nani, acrobati, contorsionisti, persone magrissime, ma impreparate. Anche lo spelelogo Claudio Aprile scese, ma fu costretto a desistere. Angelo Licheri, un giovane sardo speleologo del Cai, molto magro, si calò subito dopo nella voragine. «Vedevo solo un budello nero, con la parete di roccia e il buco che si restringeva», raccontò. Licheri arrivò al bambino, tentò di consolarlo, ma il piccolo rantolava. Tentò di agganciarlo con la cinghia, senza successo. Il bimbo scivolava via. Angelo risalì e venne rianimato in ambulanza. Un ragazzo di 15 anni voleva calarsi, ma fu bloccato dal magistrato presente sul posto. Un giovane speleologo, Donato Caruso scese nel buio. E su di lui si concentrarono le speranza di salvare il piccolo Alfredino. Scese a testa in giù a 60 metri di profondità. «Legalo bene», gli dissero dall’alto. Lui provò a legarlo con delle fascette da elettricista, ma senza successo. Risalì senza il bambino nel pozzo di collegamento. Riprovò ancora, tentò di mettere al bimbo delle manette. Ma niente.
A Vermicino i soccorsi intorno al pozzo dove è prigioniero il piccolo Alfredino Rampi
Il corpo recuperato un mese dopo dai minatori di Gavorrano
Dopo tre giorni e tre notti di lavoro, dopo 63 ore di lotte, di tentativi, di speranza alternata alla disperazione, il cuore di Alfredino cessò di battere. Lo stetoscopio calato nel pozzo non registrò più alcun battito cardiaco. Morì sospeso in quell’abisso nero, sessanta metri sottoterra. Dopo la dichiarazione di morte presunta, per assicurare la conservazione del corpo, il magistrato di turno ordinò che fosse immesso nel pozzo del gas refrigerante, azoto liquido a −30 °C. Furono i minatori della Solmine di Gavorrano a estrarre dal pozzo il corpicino di Alfredino Rampi. Una squadra di 21 minatori volontari che si alternarono per una settimana dal 4 luglio, nel triste compito. Lavorarono in tre turni di otto ore, alternando martelli pneumatici a picconi. Nella notte del 10 luglio la squadra di turno entrò in contatto con una bolla di terreno ghiacciato dall’effetto dell’azoto liquido. Il mattino dopo si scopri una gamba del piccolo. Poi i calzoncini rossi affiorarono dalla terra. Il piccolo era in posizione fetale. Alle 15 dell’11 luglio il recupero. Sarà Spartaco Stacchini, 37 anni all’epoca, a separare il corpo di Alfredino dalla terra indurita dall’azoto liquido. «Quando arrivò in superficie – sottolineò Stacchini nelle cronache dell’epoca - era ridotto a un blocco di ghiaccio, fu un momento molto emozionante». Fra i minatori, giovani e meno giovani, molti piansero. Il corpo del piccolo fu recuperato 31 giorni dopo la caduta nel pozzo e ora riposa nel cimitero romano del Verano.
Con una diversa organizzazione poteva essere salvato
In quella diretta tv tutti pensavano di seguire un fatto di vita, ma si trovarono invece di fronte a un tragico epilogo. Ore di lotta combattute invano da Alfredino, morto nella solitudine di quel pozzo nero e profondo. Se si fosse salvato oggi avrebbe 46 anni. E sono molti ancor oggi a pensare che con una diversa organizzazione, Alfredino avrebbe potuto salvarsi. Il tragico epilogo della vicenda fece nascere la consapevolezza che era necessario un coordinamento nei soccorsi. L’idea portò alla nascita della Protezione civile, anche grazie all’azione del Centro Alfredo Rampi, fortemente voluto dalla mamma Franca Rampi, «che andò oltre il proprio dolore per rendere la prevenzione e la risoluzione di incidenti simili, concrete e possibili», ha ricordato la presidente Rita Di Iorio. Sabato 12 giugno all’Auditorium della Conciliazione di Roma, un evento celebrarà il quarantennale dell’Associazione dedicata al piccolo Alfredino. L’evento si intitola “Più in Là”. Sono le parole di un verso con cui Montale chiude la poesia “Maestrale”, che descrive la calma e la ripresa dopo una tempesta.
tratto da ilsole24ore.it