A 10 anni dalla tragedia della nave Costa Concordia, riportiamo la toccante intervista che l’ing. Ennio Aquilino, all’epoca comandante dei vigili del fuoco di Grosseto, ha rilasciato a SkyTG24.
Ripercorre le prime ore di intervento dei vigili del fuoco accorsi sul posto, in uno scenario del tutto nuovo ed imprevedibile.
In ricordo delle 32 vittime, ed in onore ai valorosi vigili del fuoco intervenuti
Link Video Intervista SkyTG24
https://video.sky.it/news/cronaca/video/naufragio-costa-concordia-il-racconto-del-vigile-del-fuoco-720631
“Quella notte – racconta Aquilino, all’epoca comandante vigili del fuoco Grosseto- tutto inizia con una telefonata del mio vice. Ero appena rientrato su Roma, ero comandante di Grosseto. Mi dice: ‘Abbiamo solo una segnalazione di una nave in difficoltà, ma nulla che non sia sotto controllo’. Poi la seconda telefonata, proprio su mia richiesta: ‘Approfondisci un attimo, sentiamo che non ci siano problemi più grandi’. Dice: ‘No, ma cautelativamente li faranno sbarcare al Giglio’. Lì, pure se non avevo notizie certe, mi si era subito fatta l’immagine di una nave che stava affondando, perché quella sola poteva essere la motivazione per far scendere circa 4mila persone in un’isoletta piccola come il Gigio, in pieno inverno. Partii subito da Roma e mi ricongiunsi ai miei a Porto Santo Stefano, cambiandomi sul molo”
Alla domanda su quale sia il ricordo più brutto degli interventi sulla Costa Concordia, Aquilino risponde: “Ricordo quando recuperammo un corpicino vicino al papà, lo riportammo sulla coperta della nave e aspettando il via libera dalla Procura della Repubblica per il trasporto all’obitorio. Sono stato un paio d’ore con il cadavere vicino, e in quei momenti pensi a tante cose, pensi ai tuoi figli. Quando si tratta di bambini non ci si abitua mai”. E conclude: “Noi pensiamo sempre, con l’immaginario, ai vigili del fuoco come una specie di supereroi. Ma non è così, siamo uomini normalissimi, che si portano appresso tutto il fardello del loro vissuto quotidiano, che è stato unico”.
La sera del 13 gennaio 2012 alle 21:45:05, la nave, in navigazione da Civitavecchia a Savona per una crociera nel Mediterraneo con partenza da Civitavecchia e scali previsti a Savona, Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, urtò il più piccolo degli scogli de Le Scole, situato a circa 500 metri dal porto dell’Isola del Giglio: l’incidente provocò uno squarcio di 70 metri nello scafo.
A seguito del danno, Costa Concordia sbandò progressivamente sul lato di dritta (ovvero di destra), sino a sommergersi abbattendosi sul lato dritto, appoggiandosi al fondale e restando in larga parte emergente. Mentre 4200 persone furono tratte in salvo (in prevalenza mediante le lance di salvataggio, e alcune centinaia, rimaste bloccate a bordo dopo il rovesciamento, mediante motovedette ed elicotteri), vi furono 32 morti, dei quali 30 corpi furono recuperati tra il momento del naufragio e la fine del marzo 2012; i resti degli ultimi 2 dispersi furono rinvenuti rispettivamente uno nell’ottobre 2013, dopo le operazioni di raddrizzamento per la rimozione della nave, l’altro il 3 novembre 2014, durante le operazioni di smantellamento della nave nel porto di Genova.
La sera del 13 gennaio 2012 il naufragio davanti all’isola del Giglio (GR) della nave da crociera Costa Concordia, su cui viaggiavano 4.000 persone tra passeggeri ed equipaggio.
Imponente l’azione di soccorso dei vigili del fuoco in questo scenario unico nel suo genere, sia nell’immediatezza dell’evento che nelle fasi successive: fin dalle prime ore 80 vigili del fuoco erano al lavoro con l’arrivo di unità navali dai comandi provinciali di Grosseto e Roma, unitamente ai nuclei sommozzatori di Grosseto, Firenze e Livorno.
Centinaia di persone, bloccate all’interno dell’imbarcazione, furono soccorse e trasportate sull’isola del Giglio.
Le operazioni, coordinate presso il posto di Comando avanzato costituito appositamente sull’isola e grazie al supporto del centro logistico istituito al distaccamento di Orbetello, consentirono lo straordinario salvataggio di una coppia di turisti coreani e del commissario di bordo, rimasti intrappolati nella parte parzialmente sommersa della nave per 24 ore.
Un’operazione lunga e complessa, portata a termine con grande impegno, professionale ed emotivo il 13 marzo, due mesi dopo la tragica sera.
Un dispositivo di soccorso, che vide l’impiego medio giornaliero di 150 unità operative e 66 mezzi tra imbarcazioni, elicotteri e veicoli terrestri, operò con turnazioni continuative di 24 ore: per giorni 206 sommozzatori effettuarono 150 ore di immersioni, esperti in tecniche speleo alpino fluviali svolsero 133 missioni all’interno del relitto per un totale di 4.679 ore di lavoro, mentre gli elisoccorritori si occuparono del trasbordo delle squadre e della strumentazione necessaria alle operazioni.