Il 26 aprile 1986, alle 01:23:49 (ora di Mosca), si verificò un incidente presso l’Unità 4 della centrale nucleare di ChNPP. L’incidente fu il più grave nell’intera storia dell’industria nucleare. Il nocciolo del reattore e i sistemi di sicurezza furono distrutti e la maggior parte delle strutture portanti del nocciolo fu danneggiata.
Il disastro di Chernobyl (Чернобильська катастрофа in ucraino) fu il più grave incidente mai occorso ad un impianto nucleare civile. Avvenne il 26 aprile 1986 con l’esplosione del reattore N°4 della centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina (allora parte dell’Unione Sovietica), vicino al confine con la Bielorussia. Va sottolineato che le esplosioni non furono in nessun caso di tipo nucleare (reazione a catena incontrollata) bensì chimica, cioè causate da reazioni fra sostanze chimiche innescate dalle elevatissime temperature raggiunte. In seguito alle esplosioni, dalla centrale si sollevarono delle nubi di materiali radioattivi che raggiunsero l’Europa orientale e la Scandinavia oltre alla parte occidentale dell’URSS. Vaste aree vicine alla centrale furono pesantemente contaminate rendendo necessaria l’evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Le repubbliche, adesso separate, di Ucraina, Bielorussia e Russia sono ancora oggi gravate dagli ingenti costi di decontaminazione. Secondo l’UNSCEAR si è registrato negli anni un notevole aumento dei casi di tumori alla tiroide negli abitanti della zona colpita, a causa dell’esposizione allo iodio radioattivo. Va precisato che probabilmente una gran parte di questi tumori avrebbe potuto essere prevenuta somministrando tempestivamente alla popolazione iodio stabile immediatamente dopo l’avvenimento, cosa che non avvenne per mancanza di un piano di emergenza e di scorte di iodio, oltre che per la volontà politica sovietica di nascondere l’accaduto. Si sono inoltre registrati casi di leucemia nei lavoratori (cosiddetti “liquidatori”) che parteciparono alle operazioni di messa in sicurezza e bonifica dell’impianto. Pur non escludendone la possibilità, l’UNSCEAR non ha rilevato altri significativi effetti sulla salute direttamente legati all’esposizione a radionuclidi
Il 25 aprile 1986 era programmato lo spegnimento del reattore numero 4 per normali operazioni di manutenzione. Si approfittò della recente fermata per manutenzione del reattore per eseguire il test sulla capacità delle turbine di generare elettricità sufficiente per alimentare i sistemi di sicurezza (in particolare le pompe dell’acqua refrigerante) nel caso in cui non fossero alimentati dall’esterno. I reattori come quello di Chernobyl avevano due generatori diesel di emergenza, ma non erano attivabili istantaneamente. Quindi si voleva sfruttare il momento d’inerzia residuo nelle turbine ancora in rotazione, ma disconnesse dal reattore, per alimentare le pompe durante l’avvio dei generatori diesel. Il test era già stato condotto su un altro reattore (ma con tutti i sistemi di sicurezza attivi) ed aveva dato esito negativo (cioè l’energia elettrica prodotta dall’inerzia delle turbine era insufficiente ad alimentare le pompe), ma erano state apportate delle migliorie alle turbine, che richiedevano un nuovo test di verifica. La potenza del reattore numero 4 doveva essere ridotta dai normali 3200 MW termici a 1000 MW termici per condurre il test in sicurezza.
Tuttavia l’inizio del test fu ritardato di 9 ore, e dopo gli operatori ridussero la potenza troppo rapidamente, raggiungendo una potenza di soli 30 MW termici. Come conseguenza, la concentrazione di xeno-135 aumentò notevolmente (normalmente è consumata dal reattore stesso a potenze più elevate). Sebbene il calo di potenza fosse vicino al massimo ammesso dalle norme di sicurezza si decise di non eseguire lo spegnimento completo, ma di continuare l’esperimento. Inoltre si decise di accelerare l’esperimento facendo risalire la potenza a soli 200 MW termici. Per contrastare l’eccesso di xeno- 135 che assorbiva neutroni furono estratte quasi tutte le barre di controllo, ben oltre i limiti delle norme di sicurezza che prevedono almeno 30 barre inserite
Il reattore iniziò a rilasciare radiazioni nell’ambiente e l’area adiacente fu contaminata da frammenti del nocciolo attivo, tra cui pezzi di barre di combustibile, grafite ed elementi strutturali. I primi valori di dose misurati intorno all’Unità 4 distrutta e in tutto il territorio della centrale nucleare di ChNPP furono allarmanti. In prossimità dell’Unità 4, il tasso di esposizione ai raggi gamma raggiunse i 2000 R/ora. I tassi di dose nel reattore superarono i 5000 R/ora. Al momento dell’incidente, il governo sovietico registrò ufficialmente solo 31 vittime.
Le particelle radioattive si diffusero in tutta Europa in quantità considerevoli e, in quantità minori, in tutto l’emisfero settentrionale, compresi Canada e Stati Uniti. Per quasi tre giorni, il Cremlino pensò di poterlo tenere segreto al mondo e insabbiare l’incidente. Il 30 aprile, il quotidiano moscovita Pravda ruppe il silenzio sovietico e annunciò l’incidente di Chernobyl. Il governo sovietico si stava rivolgendo segretamente a Svezia, Germania Ovest e Gran Bretagna per chiedere consigli su come spegnere l’incendio di grafite nel nocciolo del reattore nucleare. Ci vollero 12 giorni e 10.000 tonnellate di sabbia, piombo, argilla e boro sganciate dagli elicotteri per domare l’incendio che stava riversando nell’aria 150 milioni di curie di radioattività. I piloti degli elicotteri morirono per le radiazioni e gli elicotteri divennero così radioattivi da dover essere abbandonati insieme ad altri veicoli e attrezzature radioattive nella Zona. L’acqua fu convogliata attraverso il resto del sistema di raffreddamento di emergenza per raffreddare il nocciolo.
Migliaia di persone parteciparono alla pulizia e alla costruzione del sarcofago. Gli addetti alla pulizia, chiamati liquidatori, erano spesso coscrittori dell’esercito e soldati di età compresa tra i 18 e i 30 anni che non avevano scelta e non indossavano indumenti protettivi adeguati.
Appena prima dell’una e venticinque di notte, con le fiamme che sprigionavano alte decine di metri nel locale del reattore, l’allarme suonò alla caserma interna dei pompieri numero 2 della centrale di Chernobyl: nella stanza di controllo c’era una pulsantiera luminosa con centinaia di spie collegate ai rivelatori di fiamma, uno per ogni stanza del complesso; erano accese tutte.
Quella notte di guardia c’era Anatoli Zakharov, pompiere veterano dislocato a Chernobyl dal 1980: tra i primi a partire, appena sceso dal camion accanto all’edificio in fiamme non ci mise molto a capire da dove provenissero i pezzi di grafite incandescente conficcati nell’asfalto fuso del piazzale, portati dall’esplosione del reattore; disse: “mi ricordo che scherzavo con gli altri: ci deve essere una quantità incredibile di radiazioni, qui.
Siamo fortunati se domattina siamo ancora vivi…” Lui lo è ancora mentre 16 compagni su 28 degli equipaggi di vigili interni della centrale, i primi ad intervenire, sono morti nei giorni immediatamente successivi all’incidente.
I detriti incandescenti del reattore avevano innescato l’incendio della guaina bituminosa di copertura dei tetti degli edifici adiacenti, rischiando di fare propagare l’incendio al locale turbine o, peggio ancora, al vicino reattore numero 3; così mentre Zakharov rimase a presidiare il camion fermo sul piazzale il tenente Pravik prese con sé gli altri vigili della squadra e, appoggiata una scala, salì sul tetto per spegnere il fuoco della copertura.
Fu l’ultima volta che Zakharov vide i suoi colleghi vivi; erano privi di abbigliamento protettivo o dosimetri: i detriti radioattivi si erano fusi con il bitume incendiato e, quando il fuoco venne spento cominciarono a spostare e togliere a mani nude i pezzi di copertura per poter procedere verso il cuore dell’incendio, supportati dai rinforzi arrivati dalla vicina città di Pripyat.
Pravik e i suoi uomini riuscirono a portare le condotte d’acqua fino all’orlo del reattore in fiamme, in una ultima, eroica e purtroppo inutile azione di coraggio: la grafite delle barre di controllo esplose bruciava a oltre 2000 gradi, e continuò a farlo per molti mesi, indifferente a tutta l’acqua che le veniva buttata addosso.
I pompieri di Chernobyl vennero esposti ad una dose di radiazioni letali superiore perfino alle vittime di Hiroshima, dove si produssero raggi gamma solo nell’istante della detonazione e a 2500 piedi di altezza.
I vigili in azione sul tetto del reattore rimasero in loco per più di un’ora, esposti a raggi gamma e neutroni emessi dall’uranio e dalla grafite radioattivi in fiamme, a dosi di 20.000 roentgen/ora (la dose letale è di 400): dopo 48 secondi di esposizione la loro morte era sicura.
Vennero rilevati dai colleghi e portati, con febbre e vomito, in ambulanza all’ospedale locale e da qui trasferiti a Mosca all’ospedale numero 6, specializzato nel trattamento delle radiazioni.
Qui morirono dopo due settimane, vittime di esposizioni talmente intense da far diventare blu gli occhi castani del tenente Vladimir Pravik; il pompiere Nikolai Titenok subì ustioni interne così severe da presentare ulcerazioni al muscolo cardiaco; tutti vennero sepolti in sarcofagi sigillati in piombo.
Nelle prime ore del 26 aprile 1986, 37 squadre di vigili del fuoco – 186 pompieri e 81 camion – giunsero a Chernobyl dall’intera regione di Kiev; alle 6:35 avevano preso il controllo degli incendi visibili attorno al reattore numero 4, ed anche se il cratere continuava a bruciare il capo dei pompieri di Kiev riferì che l’emergenza era passata; il reattore numero 4 era andato; al suo posto un vulcano di uranio fuso e grafite in fiamme; un incendio impossibile da spegnere.
Ancora una volta i pompieri erano andati a sacrificare le loro vite per salvare quelle di altre persone: credo che in quell’occasione abbiano, senza retorica, salvato il mondo.
Vigili del fuoco, sepolti al cimitero Mytynsky regione di Mosca: TYSHCHURA Ivanovych Volodymyr (1959/12/15 – 1986/10/05) KYBENOK Mykolayovych Viktor (1963/02/17 – 1986/11/05) PRAVYK Pavlovych Volodymyr (1962/06/13 – 1986/05/11) IHNATENKO Ivanovych Vasyl (1961/03/13 – 1986/05/13) VASHCHUK Vasylyovych Mykola (1959/06/05 – 1986/05/14) TYTENOK Ivanovych Mykola (1962/05/12 – 1986/05/16)